«E quindi uscimmo a riveder le stelle»

Dantedì 25 marzi 2021, che sia anche un giorno di speranza contro la pandemia da Covid 19

Dopo 24 ore, Dante uscì dall’inferno e «tornò a riveder le stelle». A termine della giornata dedicata al Sommo poeta, nell’anno del settimo centenario della morte dell’Alighieri, visto il momento difficile di pandemia, la frase che conclude il XXXIV canto dell’Inferno sia di auspicio anche per riveder le stelle dopo il periodo di buio della Covid. L’invito di RTAlive è di rileggere un altro capitolo della Divina Commedia, il XXV del Paradiso, sulla speranza, qui di seguito:

Se mai continga che ’l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m’ha fatto per molti anni macro, 3

vinca la crudeltà che fuor mi serra
del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra; 6

con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò ’l cappello; 9

però che ne la fede, che fa conte
l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte. 12

Indi si mosse un lume verso noi
di quella spera ond’ uscì la primizia
che lasciò Cristo d’i vicari suoi; 15

e la mia donna, piena di letizia,
mi disse: «Mira, mira: ecco il barone
per cui là giù si vicita Galizia». 18

Sì come quando il colombo si pone
presso al compagno, l’uno a l’altro pande,
girando e mormorando, l’affezione; 21

così vid’ ïo l’un da l’altro grande
principe glorïoso essere accolto,
laudando il cibo che là sù li prande. 24

Ma poi che ’l gratular si fu assolto,
tacito coram me ciascun s’affisse,
ignito sì che vincëa ’l mio volto. 27

Ridendo allora Bëatrice disse:
«Inclita vita per cui la larghezza
de la nostra basilica si scrisse, 30

fa risonar la spene in questa altezza:
tu sai, che tante fiate la figuri,
quante Iesù ai tre fé più carezza». 33

«Leva la testa e fa che t’assicuri:
ché ciò che vien qua sù del mortal mondo,
convien ch’ai nostri raggi si maturi». 36

Questo conforto del foco secondo
mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti
che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. 39

«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti
lo nostro Imperadore, anzi la morte,
ne l’aula più secreta co’ suoi conti, 42

sì che, veduto il ver di questa corte,
la spene, che là giù bene innamora,
in te e in altrui di ciò conforte, 45

dì quel ch’ell’ è, dì come se ne ’nfiora
la mente tua, e dì onde a te venne».
Così seguì ’l secondo lume ancora. 48

E quella pïa che guidò le penne
de le mie ali a così alto volo,
a la risposta così mi prevenne: 51

«La Chiesa militante alcun figliuolo
non ha con più speranza, com’ è scritto
nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: 54

però li è conceduto che d’Egitto
vegna in Ierusalemme per vedere,
anzi che ’l militar li sia prescritto. 57

Li altri due punti, che non per sapere
son dimandati, ma perch’ ei rapporti
quanto questa virtù t’è in piacere, 60

a lui lasc’ io, ché non li saran forti
né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
e la grazia di Dio ciò li comporti». 63

Come discente ch’a dottor seconda
pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
perché la sua bontà si disasconda, 66

«Spene», diss’ io, «è uno attender certo
de la gloria futura, il qual produce
grazia divina e precedente merto. 69

Da molte stelle mi vien questa luce;
ma quei la distillò nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce. 72

’Sperino in te’, ne la sua tëodia
dice, ’color che sanno il nome tuo’:
e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? 75

Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,
e in altrui vostra pioggia repluo». 78

Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno
di quello incendio tremolava un lampo
sùbito e spesso a guisa di baleno. 81

Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo
ancor ver’ la virtù che mi seguette
infin la palma e a l’uscir del campo, 84

vuol ch’io respiri a te che ti dilette
di lei; ed emmi a grato che tu diche
quello che la speranza ti ’mpromette». 87

E io: «Le nove e le scritture antiche
pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. 90

Dice Isaia che ciascuna vestita
ne la sua terra fia di doppia vesta:
e la sua terra è questa dolce vita; 93

e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
là dove tratta de le bianche stole,
questa revelazion ci manifesta». 96

E prima, appresso al fin d’este parole,
’Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì;
a che rispuoser tutte le carole. 99

Poscia tra esse un lume si schiarì
sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. 102

E come surge e va ed entra in ballo
vergine lieta, sol per fare onore
a la novizia, non per alcun fallo, 105

così vid’ io lo schiarato splendore
venire a’ due che si volgieno a nota
qual conveniesi al loro ardente amore. 108

Misesi lì nel canto e ne la rota;
e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
pur come sposa tacita e immota. 111

«Questi è colui che giacque sopra ’l petto
del nostro pellicano, e questi fue
di su la croce al grande officio eletto». 114

La donna mia così; né però piùe
mosser la vista sua di stare attenta
poscia che prima le parole sue. 117

Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa; 120

tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
per veder cosa che qui non ha loco? 123

In terra è terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che ’l numero nostro
con l’etterno proposito s’agguagli. 126

Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro». 129

A questa voce l’infiammato giro
si quïetò con esso il dolce mischio
che si facea nel suon del trino spiro, 132

sì come, per cessar fatica o rischio,
li remi, pria ne l’acqua ripercossi,
tutti si posano al sonar d’un fischio. 135

Ahi quanto ne la mente mi commossi,
quando mi volsi per veder Beatrice,
per non poter veder, benché io fossi 138

presso di lei, e nel mondo felice!

Parafrasi
Se mai avverrà che il poema sacro al quale hanno cooperato Cielo e Terra, e che mi ha consumato fisicamente per molti anni, vinca la crudeltà che mi bandisce dal bell’ovile (Firenze) in cui io dormii come agnello (in cui sono nato e cresciuto), nemico ai lupi che gli fanno guerra;

con voce ben diversa e i capelli canuti ritornerò lì come poeta, e cingerò le tempie con l’alloro poetico sul fonte del mio battesimo (nel battistero di S. Giovanni);

poiché fu lì che io entrai nella fede, che rende le anime vicine a Dio, e in seguito san Pietro girò intorno alla mia fronte dopo avermi esaminato su quella virtù.

Poi un altro spirito si mosse verso di noi da quella corona di anime da cui uscì il primo dei vicari che Cristo lasciò in Terra (san Pietro);

e la mia donna (Beatrice), piena di gioia, mi disse: «Guarda, guarda: ecco il santo (san Giacomo Maggiore) per cui sulla Terra si va in pellegrinaggio in Galizia (a Santiago de Compostela)».

Come quando il colombo si avvicina al suo compagno, e i due si girano attorno e tubano, manifestando il loro affetto reciproco, così io vidi ognuno dei due gloriosi beati accolto dall’altro, lodando il cibo spirituale (la beatitudine) che li nutre lassù.

Ma dopo la fine delle loro felicitazioni, ognuno dei due si fermò silenzioso vicino a me, talmente splendente che la mia vista non poteva sostenerne lo sguardo.

Allora Beatrice, sorridendo, disse: «O anima illustre, che scrivesti della liberalità del Paradiso, parla della speranza in questa altezza: tu la conosci bene, poiché la raffiguri tante volte quante Gesù mostrò a voi tre (Pietro, Giacomo, Giovanni) la sua predilezione».

«Alza la testa e rassicurati, poiché ciò che viene quassù dal mondo terreno deve perfezionarsi alla nostra luce».

Questo incoraggiamento venne a me dalla seconda luce (san Giacomo); allora io alzai gli occhi per guardare i monti che, prima, li piegarono col peso eccessivo (per guardare la loro luce).

«Giacché il nostro Imperatore (Dio) vuole per sua grazia che tu, prima della morte, ti incontri nella sua stanza più segreta coi suoi alti dignitari, cosicché, una volta vista la verità di questa corte (del Paradiso), tu possa confortare in te e negli altri la speranza, che fa innamorare del vero bene, dimmi cos’è questa virtù, di’ in quale grado la possiedi e spiega da dove ti è venuta». Così mi disse il secondo beato.

E quella donna gloriosa che guidò le penne delle mie ali a un volo così elevato, mi precedette così nella risposta:

«La Chiesa militante non ha nessun altro figlio con maggiore speranza di Dante, come è scritto nel Sole (la mente divina) che illumina tutta la nostra schiera:

perciò gli è concesso venire dall’Egitto (dalla Terra) nella Gerusalemme celeste (in Cielo) per vedere, prima che la morte ponga fine alla sua milizia (alla sua vita terrena).

Io lascio a lui le altre due domande, che non gli sono state poste per conoscere, ma affinché egli riferisca al mondo quanto questa virtù ti aggrada: esse infatti non saranno difficili per lui, né gli daranno occasione di vantarsi; dunque risponda da solo e la grazia divina lo aiuti in questo».

Come un allievo che risponde al maestro con prontezza e buona volontà in ciò in cui è esperto, per manifestare la sua conoscenza, io dissi: «La speranza è la attesa sicura della futura beatitudine, la quale è prodotta dalla grazia divina e dai meriti acquisiti.

Questa luce (virtù) mi viene da molte stelle (fonti); ma colui che per primo la fece entrare nel mio cuore fu il supremo cantore di Dio (David, autore dei Salmi).

Egli dice nel suo canto in onore di Dio: ‘Sperino in Te, coloro che sanno il Tuo nome’: e chi non lo sa, se possiede la mia fede?

Insieme a David anche tu mi infondesti la speranza con la tua Epistola, cosicché sono ripieno di questa virtù e posso diffonderla anche sugli altri».

Mentre io dicevo questo, nella viva profondità di quella luce tremava un lampo intenso e frequente, come un balenìo di luce.

Poi mi disse: «L’amore che io provo ancora per la speranza che mi seguì fino al martirio e alla fine della mia vita terrena, vuole che io mi rivolga a te che di essa sei ripieno; e mi è gradito che tu dica ciò che la speranza ti promette».

E io: «L’Antico e il Nuovo Testamento indicano il termine, ed esso mi indica il fine, delle anime che hanno raggiunto la beatitudine.

Isaia dice che ciascuna di esse indosserà una doppia veste (l’anima e il corpo) nella sua terra, e la sua terra è questa vita beata in Paradiso;

e tuo fratello (san Giovanni Evangelista) ci rende manifesta questa rivelazione in modo ancor più chiaro, là (nell’Apocalisse) dove tratta delle stole bianche (i corpi uniti alle anime)».

E prima, subito dopo la fine di queste parole, sopra di noi si udì ‘Sperino in Te’, voce a cui si unirono tutte le corone di beati danzanti.

Poi tra di loro si fece splendente un lume, tale che se la costellazione del Cancro avesse una stella così luminosa, l’inverno avrebbe un giorno della durata di un mese.

E come una fanciulla lieta si alza ed entra nella danza, solo per rendere omaggio alla sposa novella e non per un intento superbo, così io vidi quella luce intensissima (san Giovanni Evangelista) avvicinarsi alle altre due che ruotavano e cantavano, in modo confacente al loro ardore di carità.

Entrò nella loro danza e si unì al loro canto; e la mia donna teneva lo sguardo fisso su di loro, proprio come una sposa silenziosa e immobile.

«Costui è quello (san Giovanni) che mise la testa sul petto di Cristo, e fu scelto dalla croce all’alto compito (di sostituire Gesù come figlio di Maria)».

Così disse Beatrice; tuttavia, prima e dopo aver parlato, non distolse lo sguardo dalle tre luci.

Come colui che osserva e tenta in ogni modo di vedere una parziale eclissi di sole, e che, per voler vedere, diventa cieco;

tale divenni io mentre fissavo quella terza luce, mentre il beato mi disse: «Perché ti abbagli per vedere una cosa che non è qui (il corpo mortale di san Giovanni)?

Il mio corpo si decompone sulla Terra, e resterà lì con tutti gli altri finché il numero di noi beati non raggiungerà il limite fissato dalla volontà divina.

Solo le due luci che sono salite all’Empireo (Cristo e Maria) si trovano in Paradiso con i loro corpi, e tu riferirai questo quando sarai tornato sulla Terra».

All’inizio di queste parole la danza delle tre luci si arrestò insieme con la dolce mescolanza del loro canto, proprio come tutti i rematori lasciano cadere i remi – con cui prima fendevano l’acqua – al fischio del timoniere, per porre fine alla fatica o evitare un pericolo.

Ahimè, quanto mi turbai quando mi voltai per vedere Beatrice, poiché non potevo vederla, anche se ero vicino a lei e nel mondo della beatitudine eterna (in Paradiso)!

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