Il fondatore della Nco è deceduto nel carcere di Parma
Il boss della camorra Raffaele Cutolo, dopo una lunga malattia, é morto nel reparto sanitario del carcere di Parma. Il fondatore nonché capo della Nuova Camorra Organizzata aveva 79 anni ed era il carcerato al 41bis più anziano. Lo si apprende da fonti della polizia penitenziaria. Tra le tante malefatte, fu il mandante dell’omicidio del sindaco di Pagani, Marcello Torre, nel 1980, sul quale non hai detto quali fossero i mandanti politici di quel vile assassinio. Il criminale è stato uno dei maggiori responsabili di una delle stagioni più sanguinarie dalla Campania. Negli anni Ottanta è stato a capo di un’organizzazione che ha causato, assieme alle fazioni criminali opposte, centinaia di morti, anche tra giovanissimi, servitori dello Stato, amministratori pubblici e di tante altre vittime innocenti. È diventato per molti un simbolo a cui rifarsi, per colpa di una sottocultura diffusa e di un substrato di mediocrità umana purtroppo ancora diffuso.
LA MORTE
Cutolo è morto alle 20:21 all’ospedale Maggiore di Parma. Nell’ultimo periodo era stato più volte trasferito dal carcere al reparto ospedaliero. Nel respingere l’ultima istanza di differimento della pena, fatta dalla difesa del boss per le condizioni di salute, il tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva sottolineato, a giugno 2020, come le sue condizioni fossero compatibili con la detenzione. Ma soprattutto come, nonostante l’età, Cutolo fosse ancora un simbolo. “Si può ritenere che la presenza di Raffaele Cutolo potrebbe rafforzare i gruppi criminali che si rifanno tuttora alla Nco, gruppi rispetto ai quali Cutolo ha mantenuto pienamente il carisma”, scrivevano i giudici. E subito proseguivano: “Nonostante l’età e la perdurante detenzione rappresenta un ‘simbolo’ per tutti quei gruppi criminali” che continuano a richiamarsi al suo nome. “Sono cresciuto riguardando continuamente “Il Camorrista”, il film di mio padre Joe -ha scritto Giampiero Marrazzo, figlio del giornalista Giuseppe -. Ora Raffaele Cutolo è morto, e dopo la giustizia dei tribunali renderà conto a quella del Signore. Finisce un’era, si chiude una storia figlia del meridione peggiore. Ma non finisce quella della camorra, che ancora porta avanti i suoi profitti criminali, in parte ispirandosi all’immagine cutoliana.
UNA VITA BUTTATA
Per molti è stato un simbolo, ma chi oggi, ancora oggi e nonostante tutto quello che ha commesso questo criminale, lo osanna dovrebbe ricordare che Cutolo, nato il 4 novembre del 1941 a Ottaviano, ha trascorso 55 in carcere, di cui più di 38 al carcere duro: da uomo libero ha quindi vissuto 25 anni della sua vita, e da maggiorenne solo sette. Ecco perché la sua è stata una vita buttata, oltre ad essere stato uno dei peggiori rappresentanti del genere umano nato in Campania.
LA CARRIERA DELL’ORRORE
Il primo omicidio, Cutolo lo commise a 17 anni, a causa di una parola sbagliata, uno sguardo di troppo nei confronti di sua sorella Rosetta. Durante la sua presenza da protagonista della vita criminale della Campania si contarono circa 1.500 morti nella guerra di camorra soltanto nel periodo 1978-1983, un continuo bollettino di guerra che imbottì gli obitori della Campania di camorristi e vittime. Lui creò la Nco, la Nuova camorra organizzata, che si contrapponeva al cartello detto Nuova Famiglia, al centro la guerra per la gestione del mercato della droga, delle estorsioni e dei fondi del dopo terremoto del 1980.
La sera del 23 novembre 1980, mentre si susseguivano le scosse telluriche nel carcere napoletano di Poggioreale i clan ne approfittarono per una carneficina. Si raggiunse l’acme con i 265 omicidi del 1982. Nomi importanti tra le sue vittime, dal vice direttore del carcere di Poggioreale, Giuseppe Salvia, al boss della mala milanese Francis Turatello al già luogotenente Antonino Cuomo e a sua moglie, Carla Campi. Lasciarono un piccolo orfano cui Cutolo dedicò una poesia: “Purtroppo i genitori erano maestri di tradimento, infamie, calunnie./ Bimbo testimone innocente, cresci sano e diverso./ Dimentica tutto per una vita migliore”. Perché Cutolo fu poeta. Un primo libro nel 1980 (‘Poesie e pensieri’) che colpì persino Goffredo Parise (il quale non s’era accorto che ‘o professore plagiava parzialmente il grande poeta napoletano Ferdinando Russo); un secondo (‘Poesie dal carcere’) nel 2019. E Cutolo fu anche poetato. Da Fabrizio De Andre’ nella tarantella “Don Raffae'”. Da Giuseppe Tornatore col film ‘Il camorrista’ (nei suoi panni Ben Gazzara), che si continua a proiettare e continuerà a ispirare – quest’è la verità – chi ha preso la via sbagliata. E che sostanzia la “inalterata fama criminale” (parole dei giudici) di ‘o professore, perché le tv locali ancora lo ritrasmettono.
Non per i segreti che porta nella tomba, e che tanto non avrebbe mai rivelato, ma per le misteriose ostinazioni di una mente da capo irriducibile che ha sopportato in lucida follia la durezza, ancora prima del 41 bis, del carcere dell’Asinara dove il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, pressò per spedirlo nel 1982. Lui, cinque anni dopo, scriveva ai giornali: “Per superare lo sconforto, la disperazione” dei primi mesi “allevai una mosca. Sì, proprio una mosca e con questa inventavo dei lunghi discorsi, con domande e risposte. S’intende, ero soltanto io a a parlare, per me e per la mia fedele amica mosca”. Aveva comprato il castello dei Medici a Ottaviano (365 stanze, una al giorno che non si godette mai), aveva cercato di piacere alla mafia d’Oltreoceano dei Gambino, aveva mosso politici di primo, secondo e terzo piano, si compiaceva di ricevere l’omaggio nelle apparizioni in tribunale di divi locali e calciatori (il presidente dell’Avellino gli portò il nuovo acquisto Juary a baciarlo in aula), aveva ripristinato la mistica dell’antica camorra dichiarata – per illusione – morta per sempre a inizio Novecento col processo Cuocolo, poi rimorta (per sempre) allo scoppio della Prima guerra Mondiale, poi rimorta per l’ennesima volta col Fascismo e nel Secondo dopoguerra, quando Lucky Luciano tornò nella terra d’origine e fu schiaffeggiato dai nuovi guappi, i quali a loro volta sarebbero stati spazzati via da traffici più moderni, dalla camorra imprenditoriale che devastò la faccia dell’ultimo, “‘o Malommo” Antonio Spavone. Per ordine di don Raffaele. Che, ispirato anche dai calabresi, ricostituì rituali, gerarchie, “tribunali”. E da Ottaviano, alle falde del Vesuvio, dichiarò guerra alla camorra cittadina dei Giuliano, che ostentava, cantava, sfoggiava ori, automobili, femmine: napoletani di città, quelli che “tengono il mare”. ‘O professore veniva dalla terra. Camorra contro camorra in una pagina da brivido della meridionale storia nera.
L’ultima volta che ha fatto parlare di sé è stata a metà 2020, per la vicenda legata alla sua malattia e alla circolare del Dap a marzo che consentiva a detenuti anche al 41 bis di andare ai domiciliari se anziani e con patologie. E il boss entrato nella leggenda già da vivo come ‘o professore era anziano, 80 anni molti dei quali passati in molti istituti di pena italiani, e malato. Il 19 febbraio 2020 infatti era già stato ricoverato all’ospedale civile di Parma per una crisi respiratoria e aveva anche rifiutato cure e tac. Dimesso a inizio aprile, e tornato nel carcere di Parma, il suo avvocato, Gaetano Aufiero, aveva chiesto i domiciliari al tribunale di Reggio Emilia a causa delle condizioni di salute, ma l’istanza venne respinta poiché può essere curato in cella, le sue patologie non erano “esposte a rischio aggiuntivo”, dato che il regime di 41 bis gli permetteva “di fruire di stanza singola, dotata dei necessari presidi sanitari”. Cutolo riprova a reiterare la richiesta e il 10 giugno il tribunale di Sorveglianza di Bologna la rigetta di nuovo: “Si può ritenere che la presenza di Raffaele Cutolo potrebbe rafforzare i gruppi criminali che si rifanno tuttora alla Nco, gruppi rispetto ai quali Cutolo ha mantenuto pienamente il carisma”, scrivono i giudici. Per Cutolo “non appare ricorrere con probabilità il rischio di contagio da Covid-19”, e, “nonostante l’età e la perdurante detenzione rappresenta un ‘simbolo’ per tutti quei gruppi criminali che continuano a richiamarsi al suo nome”. La sua presenza “potrebbe rafforzare i gruppi criminali che si rifanno tuttora alla Nco, gruppi rispetto ai quali Cutolo ha mantenuto pienamente il carisma. In tanti anni di detenzione non ha mai mostrato alcun segno di distacco dalle sue scelte criminali”.
Il 30 luglio 2020 è trasferito dal carcere di nuovo in ospedale. Per l’avvocato non è più lucido, dato che la moglie è andata a trovarlo il 22 giugno e Cutolo non l’ha riconosciuta. Raffaele Cutolo, ‘o professore nonostante abbia solo una licenza elementare, è figlio di un mezzadro e di una lavandaia di Ottaviano, paesino alle falde del Vesuvio, Michele e Carolina Ambrosio. Nasce il 4 novembre 1941 e la sua carriera criminale l’ha costruita nella cornice di avventure romanzesche e forse romanzate. Poeta e duellante con la ‘molletta’ dentro un carcere; pazzo per finta o per davvero; evaso dal manicomio giudiziario di Aversa; latitante, padre che vede l’unico figlio maschio ed erede ucciso dalla ‘ndrangheta; l’uomo che forse ha ispirato il celebre ‘professore’ di Fabrizio De André e probabilmente ha urinato sulle scarpe di Totò Riina come racconta un pentito; il boss che ha sposato nel carcere dell’Asinara una donna molto giovane e che poi l’ha resa madre con l’inseminazione artificiale, ha quattro ergastoli sulle spalle e ha compiuto pochi mesi 79 anni. A 22 anni commise il suo primo omicidio, il 24 settembre 1963, durante una rissa; la vittima e’ Mario Viscito, che ha fatto un apprezzamento di troppo alla sorella di Cutolo, Rosetta, la donna che lo ha affiancato anche anni dopo nella gestione del potere criminale. Ha riconosciuto due figli, Roberto, nato dalla breve relazione con Filomena Liguori, e Denise, figlia di Immacolata Iacone, la donna che sposerà nel carcere dell’Asinara, concepita con l’inseminazione artificiale e che lo vedrà sempre dietro le sbarre. Due i nipoti, Raffaele, 34 anni, suo omonimo, e Roberta, 30 anni, entrambi figli di Roberto, pregiudicato, ucciso a Tradate, in Lombardia, da affiliati della ‘ndrangheta il 19 dicembre 1990, per volontà di uno dei maggiori antagonisti di Cutolo, il boss vesuviano Mario Fabbrocino.
