Il compenso al legale quando si giunge a transazione, quali novità?

A cura della Camera Civile di Nocera Inferiore

L’annosa questione del pagamento del compenso al professionista è diventato negli anni un tema sempre più affrontato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. Il cittadino che si rivolge al legale per vedere tutelato un suo diritto, forte di questo, vorrebbe che il pagamento delle competenze del legale, se parte vittoriosa, fossero pagate interamente da parte soccombente, cosa che non succede spesso, soprattutto perché talvolta le liquidazioni giudiziali non tengono conto delle tariffe forensi, a maggior ragione se controparte è un soggetto “pubblico”.

Dopo questo breve excursus preme soffermarsi sul compenso legale a seguito di transazione, sia in fase stragiudiziale che in fase giudiziale, infatti la Legge 247/2012 “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” all’art. 13 di questa e precisamente al comma 8, ha stabilito che “Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della solidarietà”. Dobbiamo premettere che i compensi in fase stragiudiziale e cioè il pagamento per l’assistenza prestata sono dovuti anche se il professionista non ha ricevuto un incarico al mandato scritto o non abbia fornito il preventivo scritto. L’autonomia della fase stragiudiziale viene per la prima volta nettamente distinta quando vengono introdotte nel nostro sistema giudiziario di Civil Law, le Alternative Dispute Resolution (“ADR”) appartenenti più al mondo anglosassone ed ad un sistema giudiziario di Common Law, scardinando la centralità del “magistrato” per la risoluzione della controversia e assegnando questo ruolo all’avvocato, tanto che nel 2018 è stata introdotta la apposita tabella B 25 bis, in materia di mediazione e negoziazione assistita, con l’art. 5 comma III del decreto del Ministero della Giustizia 8 marzo 2018 n. 37, affiancandola alla tabella 25 del dm 55/2014 che attiene ai compensi stragiudiziali per la mediazione obbligatoria (legge n. 98 del 9 agosto 2013) e la negoziazione assistita (d.l. 12.9.2014 n. 132).

Anche la giurisprudenza, ha riconosciuto tale autonomia, infatti la Suprema Corte con Ordinanza n. 21565 del 7 ottobre 2020, della II Sezione civile, ha statuito l’autonomia delle spese stragiudiziali rispetto a quelle giudiziali e il compenso è dovuto anche se il legale ha prestato sua opera in giudizio purché le attività stragiudiziali non siano connesse e complementari con quelle giudiziali, contraddistinguendo le spese stragiudiziali come voce autonoma rispetto a quelle giudiziali, non assumendo nessun rilievo l’inevitabilità della lite, né tantomeno l’esito negativo delle trattative (Cassazione Civile Sez. II, 7 ottobre 2020, n. 21565). I giudici di Palazzo Cavour hanno riconosciuto un autonomo compenso per le attività stragiudiziali, criterio che non può consistere nella presunta inevitabilità della lite, non essendo pregiudicata, in linea di principio, la soluzione transattiva o bonaria della controversia neppure se questa abbia un esito negativo delle trattative. Le tariffe degli onorari e delle indennità spettanti agli avvocati in materia stragiudiziale civile sono statuite nell’art. 2 del D.M. n. 127 del 2004, e sono applicabili ratione temporis. I rimborsi ed i compensi previsti per le prestazioni stragiudiziali sono dovuti dal cliente anche se il professionista abbia prestato la sua opera in giudizio, sempre che dette prestazioni non siano connesse e complementari con quelle giudiziali, da costituirne il naturale completamento, infatti tale connessione deriva dallo stesso tenore della tariffa, allorquando le prestazioni concretamente svolte siano esplicitamente catalogate tra le attività giudiziali: in tal caso, compete unicamente il compenso per l’assistenza giudiziale, con le eventuali maggiorazioni previste per la complessità delle questioni giuridiche trattate e per l’importanza della causa, tenuto conto dei risultati del giudizio e dell’urgenza richiesta (Cass. 4411/1979; Cass. 6214/1992, Cass. 6214/1992; Cass. 14770/2007; Cass. 14443/2008).

In generale anche l’attività finalizzata alla conclusione di una transazione che ponga termine alla lite, ancorché la definizione della controversia abbia avuto luogo non sotto forma di conciliazione davanti al giudice, ma mediante un negozio extraprocessuale rientrante fra le prestazioni giudiziali (Cass. 25675/2009; Cass. 5415/2009; Cass. 9381/1991; Cass. 2250/1971), anche se in taluni casi e per talune prestazioni alcune non trovano corrispondenza nella tariffa giudiziale (Cass. 4441/1977; Cass. 3292/1975), in relazione alle tipologie contemplate, stabilendo più in generale, che per quanto compiuto dal difensore nella fase anteriore all’instaurazione del giudizio, quali prestazioni fossero strettamente funzionali o preordinate allo svolgimento di attività propriamente processuali o fossero ad esse complementari.

Riaffermando il principio consolidato dalle Sezioni Unite (Cass. Civ. Sez. Unite 30 ottobre 1992 n. 11847), che non bisogna confondere il diritto con l’azione che compete allo stesso, infatti l’esercizio del diritto è diverso dalla proponibilità in concreto dell’azione giudiziaria: “l’esercizio del diritto non deve avvenire necessariamente mediante l’esperimento dell’azione giudiziaria, ma può essere attuato anche con qualunque altro atto consentito dalla legge”, anche mediante atti stragiudiziali definiti come “semplice fattispecie complessa” (Cass. Civ. Sez. III 09 febbraio 2000 n. 1444; Cass. Civ. Sez. I 15 maggio 1980 n. 3206). Infatti il diritto nasce prima dell’azione e si distingue da essa, questa diversa posizione concettuale del diritto, che inizia nella fase stragiudiziale e non in quella giudiziale, porta a far sì che la posizione di equilibrio di tale diritto nasca nella fase stragiudiziale, vi è un interessante Sentenza della Suprema Corte in materia assicurativa che fa un netto distinguo tra diritto ed azione “l’intervento di un professionista […] è necessario non solo per dirimere eventuali divergenze su punti della controversia, quanto per garantire già in questa prima fase la regolarità del contraddittorio, ove si osservi che l’istituto assicuratore non solo è economicamente più forte, ma anche tecnicamente organizzato e professionalmente attrezzato per affrontare tutte le problematiche in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale, attesa la complessità e molteplicità dei principi regolatori della materia” (Cass. Civ. Sez. III 31 maggio 2005 n. 11606).

Per i compensi in fase giudiziale dovuti al professionista a seguito di transazione, troviamo una recente ed interessante Ordinanza della Suprema Corte (Cassazione. Civ., Sez. VI, ordinanza 16 dicembre 2020, n. 28830) che uniformandosi ai suoi orientamenti precedenti ha ribadito che ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell’avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal codice di procedura civile, il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito di transazione (Cass. Sez. 2, 23/01/2017, n. 1666; Cass. Sez. 2, 22/10/1975, n. 3496) e che ai fini della liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti all’avvocato nella disciplina vigente ratione temporis, la quantificazione degli onorari va effettuata in base alla tariffa professionale forense vigente al momento in cui le attività professionali sono state condotte a termine, identificandosi tale momento con quello dell’esaurimento dell’intera fase di merito o, per il caso in cui le prestazioni siano cessate prima, con il momento di tale cessazione, mentre i diritti di procuratore vanno liquidati alla stregua delle tariffe vigenti al momento delle singole prestazioni (cfr. Cass. Sez. 3, 11/03/2005, n. 5426; Cass. Sez. L, 21/11/1998, n. 11814) e il credito dell’avvocato per il pagamento dei compensi professionali costituisce un credito di valuta (né si trasforma in credito “di valore” per effetto dell’inadempimento del cliente), restando in quanto tale soggetto al principio nominalistico.

La rivalutazione monetaria del credito dell’avvocato non può, perciò, essere automaticamente riconosciuta, dovendo essere adeguatamente dimostrato il pregiudizio patrimoniale risentito a causa del ritardato pagamento del credito, senza che possa trovare applicazione la disciplina dell’art. 429 c.p.c.. Dalla mora conseguente all’inadempimento del cliente discende, quindi, la corresponsione degli interessi nella misura legale, indipendentemente da ogni prova del pregiudizio subito, salvo che l’avvocato creditore dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, il quale, può, peraltro, ritenersi esistente in via presuntiva, sempre che il medesimo creditore alleghi che, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali (Cass. Sez. 2, 26/02/2002, n. 2823; Cass. Sez. 2, 15/02/1999, n. 1266; Cass. Sez. 2, 24/09/2014, n. 20131; Cass. Sez. 2, 22/06/2004, n. 11594; Cass. Sez. 2, 15/07/2003, n. 11031; Cass. Sez. U, 16/07/2008, n. 19499). Per quanto suddetto possiamo affermare, che anche la giurisprudenza, adeguandosi ai tempi, ha statuito che il compenso legale a seguito di transazione, sia in fase stragiudiziale che in fase giudiziale è sempre dovuto al professionista, tracciando sempre più il solco per dare una nomofilachia sulla certezza nella quantificazione del compenso.

Avvocato Carmela Ferrara

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