Villani M5s: “Megalizzi diventi esempio integrazione fra culture”

“A quasi un anno dalla sua morte, Antonio Megalizzi è stato ricordato attraverso parole, cortei, marce e numerose altre iniziative.

Oggi, la nostra mozione è la prova che possiamo fare ancora di più per non dimenticare quanto è accaduto quella maledetta sera a Strasburgo”. Lo ha sottolineato Virginia Villani, deputata del Movimento 5 Stelle in commissione cultura, intervenendo in Aula sulla mozione per introdurre iniziative in memoria del giovane giornalista. “La vita di Antonio deve diventare un esempio per una generazione a favore di un’integrazione interculturale, fondamentale per costruire davvero un’Europa unita che possa combattere ogni forma di violenza, in primis il terrorismo. Dopo il clamore mediatico, l’arma più efficace per dar voce a quanto Antonio Megalizzi in vita ha provato a fare, è di aprire la strada ai suoi pensieri, abbattere il silenzio e tendere la mano affinché le culture possano avvicinarsi e creare un’Europa unita nel suo ricordo”, ha proseguito Villani. “Antonio usava le parole per raccontare l’Europa della ‘generazione Erasmus'”, ha osservato la deputata del Movimento 5 stelle Alessandra Carbonaro, “con tutte le sue contraddizioni ma anche con tutte le sue opportunità, e rendeva partecipi i suoi coetanei”. Il ricordo di Antonio “dovrà ispirare gli studenti a coltivare uno spirito critico autonomo e consapevole, esprimendo i propri talenti e le proprie idee in modo da accrescere la responsabilità civile e sociale dell’intera collettività. Perché è attraverso strumenti straordinari come la partecipazione, l’ascolto, la conoscenza che abbiamo l’opportunità di migliorarla questa Europa. Così come Antonio aveva iniziato a fare”, ha concluso.

Di seguito l’intervento in aula della deputata Villani su istituzione del premio giornalistico Antonio Megalizzi. E’ interessante leggere i passaggi dell’intervento in allegato, che si concentra sul sistema professionale e sul precariato continuo di questa categoria.
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Grazie Presidente, Onorevoli colleghi, saluto il nostro sottosegretario Lucia Azzolina,
E’ particolarmente significativo il fatto che oggi, insieme con la Legge di delegazione  europea, venga presentato in quest’aula la mozione sull’istituzione del premio Antonio Megalizzi, ovvero  la creazione di una borsa di studio in suo nome presso una scuola di giornalismo di una delle università pubbliche italiane per il praticantato di giornalista professionista, destinata a giovani desiderosi di diffondere una informazione chiara, corretta e diretta;
“Mi sono innamorato dell’Unione Europea. Sono molto, molto focalizzato e coinvolto in cose che stanno nascendo fortemente europeiste”. Con queste parole il giovane Antonio giustificava l’amore per il suo lavoro di giornalista europeo. Egli era uno dei conduttori di Europhonica, uno dei format radiofonici di RadUni, associazione che raggruppa radio universitarie italiane. Era arrivato a Strasburgo qualche giorno prima dell’attacco per seguire l’ultima plenaria del parlamento Europeo dell’anno.

Raccontare la storia di Antonio Megalizzi, ancora oggi riempie il cuore di dolore e commozione per il triste epilogo di una giovane vita strappata alla sua famiglia e ai suoi affetti, dalla piaga sociale che è il terrorismo internazionale.
Nell’attentato di Strasburgo persero la vita altre persone, morte nei primi momenti o nei giorni successivi, e altre undici risultarono ferite. Insieme ad Antonio perse la vita un altro giovane e valente  giornalista europeo, il polacco Barto Pedro Orent-Niedzielski, Bartosz per gli amici, collega giornalista e amico di Megalizzi.
Giovani che guardavano al futuro con fiducia e ottimismo e che con il loro lavoro volevano aiutare i coetanei a conoscere e costruire un’Europa più giusta e solidale attraverso una corretta informazione.
Quel tragico 11 dicembre 2018, Antonio fu colpito da un proiettile alla testa e in poche ore, insieme a lui, si spensero sogni, ambizioni, speranze e prospettive. Una fine ingiusta dopo i tanti sacrifici di un giovane poco più che 29enne, che aveva deciso di dare voce all’Europa e studiare quelli che sono i meccanismi della plenaria dell’Unione Europea attraverso un mezzo di comunicazione divenuto innovativo, come la radio.
Europhonica, un  progetto radio dell’Università di Trento in cui Antonio era impegnato. Essa ha lo scopo di diffondere tra i giovani europei valori importanti, in un linguaggio in grado di parlare ai ragazzi. L’obiettivo è quello di sensibilizzare la nuova generazione sull’importanza di un’Europa unita.
Megalizzi aveva scelto di essere giornalista e di raccontare l’Europa. Meglio, l’Unione Europea, il suo Parlamento, per tentare di colmare la distanza che sussiste fra Strasburgo e Roma, tra la prospettiva parziale che deriva dalla lontananza e la conoscenza profonda delle opportunità offerte.
Voleva spiegarli, i meccanismi di quel progetto politico virtuoso e visionario consegnatoci dai padri di cui troppe volte si faticano a distinguere i contorni e i punti di forza.

I suoi erano messaggi costruttivi, semplici e diretti volti ad un futuro nuovo in cui si sogna di poter raccontare un mondo diverso, senza barriere, tipico dei principi che sottendono al progetto della stessa Unione Europea.

Dall’emittente Europhonica Antonio parlava di un mondo nuovo possibile, a portata di mano, fra cittadinanza e orizzonti innovativi verso cui i giovani non possono che essere protesi con fiducia e ottimismo. Con analisi lucide, puntuali, spiegava come e perché questo grande progetto fosse soprattutto un obiettivo di civiltà e di progresso, umano prima ancora che economico e giuridico.
Un mondo connesso dai valori di integrazione e uguaglianza che tutti noi  abbiamo il dovere di promuovere, anche potenziando progetti come Euphonica ed Erasmus.
Egli  impersona per molti di noi  l’immagine di una generazione di giovani che studiano e lavorano in tutto il mondo per realizzare qualche cosa che va oltre il solo conseguimento del titolo di studio, per dare corpo e sostanza a principi e ideali che costituiscono le fondamenta di quella  società moderna, più aperta e inclusiva in cui ciascuno di noi aspira a vivere. Vittima di un atto crudele e insensato, Antonio e Bartosz non potranno portare a termine il lavoro che si erano prefissi. Il nostro impegno sarà anche quello di tenere viva la loro memoria.”

Il terrorista responsabile dell’uccisione di Antonio, non solo ha strappato una giovane vita ai suoi cari, ma ha anche colpito al cuore l’Europa in quanto il reporter rappresentava un uomo che con i suoi progetti, i suoi sogni, la sua vita e tutte le sue ambizioni, impersonava l’antiterrorismo.
Un giornalista europeo volto ad un mondo senza confini, convinto che soltanto l’informazione e la sensibilizzazione siano in grado di abbattere tutte le barriere di tipo culturale, religioso, sociale e civile. Il crimine terroristico uccidendo Antonio ha inferto all’Italia e all’Europa una pugnalata molto profonda.
A quasi un anno dalla morte del giovane reporter, Antonio è stato ricordato attraverso fiumi di parole, tanta musica, cortei, marce e numerose altre  iniziative. Oggi, la nostra mozione è la prova che possiamo fare ancora di più per non dimenticare quanto è accaduto quella maledetta sera a Strasburgo.
La vita di Antonio deve diventare un esempio per una generazione che cerca di contrastare il populismo estremo a favore di un’integrazione interculturale fondamentale per costruire davvero un’Europa unita che possa combattere ogni forma di violenza, in primis il terrorismo. Dopo il clamore mediatico, l’arma più efficace per dar voce a quanto Antonio Megalizzi  in vita ha provato a fare, è di aprire la strada ai suoi pensieri, alle sue emozioni, abbattere il silenzio e tendere la mano affinché le culture possano avvicinarsi e creare un’Europa unita nel suo ricordo.
In questi dieci mesi si sono spese migliaia di parole ascoltate o scritte, tutte volte a raccontare la breve vita di un reporter appassionato, che aveva scelto la radio per diffondere messaggi di aggregazione tra culture e lingue molto differenti, ma vicine in modo inaspettato. Antonio Megalizzi ha provato a unire sotto la stessa bandiera, un’Europa rappresentata da un valore intrinseco che andava difeso contro i sovranismi, il populismo estremo e soprattutto, contro violenza e terrorismo.
Il modo in cui il mezzo radiofonico è stato utilizzato da questo giovane cronista con lo scopo di farlo diventare un aggregatore sociale per l’inclusione politica e culturale, va enfatizzato e coltivato.
Molto spesso i mezzi di comunicazione di massa rischiano di finire vittime di chi vuole manipolarli con ideologie estreme, con dichiarazioni politiche nette e strutturate. Invece, dobbiamo seguire la strada indicata da Antonio: quella dell’ascolto, di riuscire a fare in modo che i media possano diventare strumento di aggregazione e non di divisioni, uno strumento per diffondere le idee e non per far diventarevoci differenti, motivo di scissioni.
Solo così Antonio non sarà morto invano!
Di certo, la perdita di una vita umana, di un giovane come Antonio, sarà sempre per la sua famiglia e i suoi genitori, una ferita che non può essere rimarginata e che non può avere nessun tipo di giustificazione. Eppure, i familiari di Antonio hanno gestito questo dolore con discrezione e sobrietà esemplare, in un contesto storico in cui la società è abituata a enfatizzare ogni tipologia di emozione in modo eccessivo, morboso e talvolta anche scomposto. Invece, anche in questo caso, pure con la sua morte e attraverso l’esempio dei suoi familiari, il decesso del giovane cronista è stato di insegnamento. I suoi cari ci hanno fatto capire come l’enfatizzazione mediatica della cronaca, molto spesso finisce per dividere e non per unire nel dolore di una morte ingiusta. I sentimenti sinceri di chi ha vissuto il lutto di Antonio in ogni parte d’Italia, in particolare quelli dei suoi cari, non sono mai stati contornati o inviperiti da parole di odio.
Durante i funerali del 20 dicembre 2018, il suo amico e collega Andrea Fioravanti l’ha ricordato con delle parole di semplicità e soprattutto, ha voluto sottolineare come Antonio avrebbe reagito davanti alla sua morte. Lui stesso, probabilmente, avrebbe cercato di stemperare sentimenti di odio e di divisione che molto spesso, accompagnano stragi come quella avvenuta a Strasburgo nel dicembre 2018. La sua passione superava rancori di ogni sorta: un amore per il giornalismo che può essere riassunto in una frase che descriveva spesso con un hashtag le sue foto “my job is better than your vacation”, ovvero “il mio lavoro è meglio della tua vacanza”.
La ricerca della  felicità di Antonio Megalizzi passava attraverso la sua professione, in quanto nel suo lavoro era costantamente animato da una dedizione più grande e profonda, quella  verso l’unità dei popoli.
La morte del reporter segna un momento importantissimo nella nostra storia: non perché la sua vita valga più di quella delle altre che sono state strappate ingiustamente dal terrorismo a Strasburgo o in altre città, ma perché rappresentava il sogno di diffondere un sentimento di solidarietà che noi, non possiamo non coltivare.
Un sogno che dobbiamo difendere.
Attraverso Antonio oggi, come Istituzioni, abbiamo il dovere di sostenere chi parla al mondo “del mondo”, superare ogni confine, cercare di non farci accecare dall’odio, dalle divisioni e quanto piuttosto concentrarci sulla costruzione di un’Europa che non abbia pregiudizi, che non abbia confini.
Questa è una battaglia che dobbiamo iniziare in Italia, dobbiamo continuare in Europa, fino a espanderci al mondo intero. In qualità di membro della Commissione Cultura, ma anche come ex dirigente scolastico, professionista della scuola e cittadina di questa Nazione fondata su valori di democrazia e di solidarietà, non ho alternative se non quella di facilitare ad altri ragazzi  la strada
che un giovane cosmopolita come Antonio mi ha indicato. Vicende come la sua si offrono alla narrazione di una vita di proporzioni inverse, nello spazio vasto dell’ideale europeo, volta all’apertura nei confronti di culture e lingue differenti, in una durata temporale rivelatasi atrocemente breve, ma che lascia un messaggio di inestimabile valore per le generazioni presenti e future.
Un percorso che la sua morte ha scolpito a vita, nella mente di tutti.
Questa battaglia di civiltà e tale ricordo profondo devono essere diffusi in tutti i modi possibili e soprattutto, nelle forme e nei linguaggi che il giornalista ha utilizzato nel corso della sua breve vita e carriera.

Sposò l’idea di promuovere l’utilizzo della radio come strumento di comunicazione privilegiato, in modo tale da riuscire ad abbattere le banalità e luoghi comuni che molto spesso caratterizzano altri media. La radio o web radio infatti, rende più partecipi i coetanei di Antonio, gli fa capire quanto sia importante l’unità e la solidarietà tra i popoli.  Il giusto linguaggio media è in grado di motivarli. Una forma di giornalismo diretta, genuina che non può essere abbandonata e che dobbiamo sostenere in tutti i modi possibili.
Esperienze come quella Erasmus e Europhonica, sono molto importanti perché riescono a garantire la partecipazione attiva dei nostri giovani cittadini alla vita politica italiana, europea ed internazionale. Una comunicazione partecipata fondamentale per la costruzione di nuove dinamiche in cui istituzione e società finalmente possano “far pace” e collaborare per un mondo migliore. Per mantenere vivo il ricordo di Antonio, non c’è ricetta più adatta se non quella di mescolare fratellanze ed ambizione, a favore di un’informazione diretta, chiara, corretta e che possa passare attraverso le istituzioni scolastiche nazionali.
Costruiamo una generazione di giornalisti che possa fare propri questi valori!
Questo Paese ha bisogno di un classe giornalistica libera, lontana dalle logiche politiche, partitiche, economiche. Molto spesso infatti, è proprio la situazione finanziaria dei giornalisti italiani che li costringe a “stracciare” la carta deontologica per rispondere a dei bisogni quotidiani. Il precariato e l’assenza talvolta anche di uno stipendio, rendono il sogno di diventare giornalisti difficile, se non impossibile, da realizzare. C’è chi si arrende e svende la propria ambizione di fare informazione libera.
Le ingiustizie sono tante nella professione giornalistica e ci sono casi di stipendi da fame. La paga di appena 3 euro ad articolo per i giornalisti, talvolta non viene neanche onorata. I sacrifici dell’esercito dei pubblicisti sottopagati non possono lasciarci indifferenti: questi professionisti, in Italia devono spesso affrontare la miseria che da troppo tempo accompagna uno dei mestieri più belli del mondo.
Dobbiamo chiederci perché nel nostro Paese, l’informazione nazionale ha difficoltà ad emergere in una veste migliore: ci scontriamo quotidianamente con le questioni relative alla scarsa indipendenza dei media, l’autocensura, la difficoltà di garantire il pluralismo, una struttura e un’infrastruttura complesse da superare per chi vuole fare informazione “pura”.
Secondo l’ultimo rapporto 2019 di Reportes Sans Frontiers (Rsf), il numero di Paesi sicuri per un giornalista tende a diminuire ancora nel mondo. Questa classifica non tiene conto solo delle minacce o delle intimidazioni che gli stessi reporter subiscono dalla criminalità, ma anche da parte di rappresentanti che appartengono al mondo della politica locale o all’universo economico che ruota intorno ai media. Secondo l’analisi di Reportes Sans Frontiers (Rsf), il mondo della stampa deve affrontare un’escalation di odio e di violenza, di blocchi e di censure, davvero ingiustificabile.
I reporter oggigiorno lavorano in Paesi con uno scarso livello democratico. L’Italia nell’ultimo anno è migliorata sotto questo aspetto salendo in classifica dal 52esimo posto del 2017, al 46esimo del 2018 fino al 43esimo nel 2019 su 180 Stati. Purtroppo però, la situazione nel resto d’Europa sta tutt’altro che migliorando. Ad esempio, le condizioni sono cambiate negativamente in Serbia, Montenegro, Malta, Ungheria e Slovacchia. La situazione non migliora neanche in Africa e tantomeno, nei Paesi come la Cina o il Vietnam. Ancora oggi, secondo lo studio effettuato dalla no profit francese, sono ancora numerosi i pericoli delle organizzazioni estremiste o le lobby che detengono talvolta anche il potere economico, che vanno a minacciare la libertà di stampa: questa è una realtà che dobbiamo scongiurare.
Il giornalismo quando è al servizio del lettore e quando si pone come scopo quello di informare per creare sentimenti di solidarietà e non divisioni o ideologie estremiste, è un meccanismo culturale fondamentale di una società democratica e va tutelato sotto ogni forma. Molto spesso hanno accusato il MoVimento 5 Stelle di essere contro la stampa. In realtà, questo assunto è totalmente falso perché noi riteniamo che il giornalismo, quello pulito e scevro da ogni tipo di catena, va tutelato come fosse un patrimonio immateriale dell’umanità.
Il problema è che molto spesso, ci troviamo davanti un contesto professionale completamente diverso, ma dobbiamo anche capire perché siamo arrivati a tanta pochezza.
È il “sistema” che ha creato e continua a creare l’ignobile classe dei “giornalisti servi”. Il “sistema” che il MoVimento 5 Stelle ha sempre combattuto e continua a combattere.
Quel “sistema” che dobbiamo abbattere grazie anche all’esempio di Antonio Megalizzi che invece, ha utilizzato in maniera corretta ed esemplare, un mezzo di comunicazione di massa come la radio o la web radio, che trova nei giovani i suoi principali referenti.
“Dove la stampa è libera e tutti sanno leggere, non ci sono pericoli” con queste parole Thomas Jefferson ha racchiuso l’importanza della cultura, che nella stampa trova la sua massima diffusione, dopo le istituzioni scolastiche. Per questo, unire questi due poli della cultura nazionale ed internazionale promuovendo tutte le iniziative volte a diffondere il ricordo di Antonio nelle istituzioni scolastiche, significa dare un’occasione agli aspiranti giornalisti di capire quanto è importante il ruolo che andrannoa svolgere.
Saranno loro il sale della democrazia: infatti, la libertà di stampa è essenziale per illuminare le persone libere, cercare anche di tenere sotto controllo quelli che detengono il potere.
Istituire dei riconoscimenti culturali o premi, per onorare il ricordo di Antonio Megalizzi, significa anche ricordare il fondamentale ruolo della “comunicazione per l’integrazione”.
I media hanno una responsabilità sociale che può rallentare, agevolare e addirittura dalle volte impedire i processi di integrazione in atto. È per questo che bisogna aprire sul ricordo del reporter, un nuovo ciclo di attenzione. Come Istituzioni dobbiamo diffondere un messaggio di solidarietà per sottolineare quali sono i motivi di unione e le somiglianze che avvicinano i popoli, piuttosto che dividerli. Molto spesso, i media sottolineano il “diverso”, incrementano l’odio. Questa logica va smantellata perché la notiziabilità non può superare i limiti della civiltà!
La stampa, in veste di “Quarto potere”, deve garantire pluralismo, deve essere credibile e trasparente. E’ opportuno perseguire l’obiettivo di dare voce a tutti garantendo di rafforzare la sua vocazione verso l’unione, ovvero la sintesi creativa di pensieri e di popoli di ogni etnia, religione o razza, in modo tale da stimolare la formazione e suscitare emozioni positive.
Promuovere il ricordo di Antonio Megalizzi significa anche diffondere un’informazione diretta, chiara e corretta affinchè attraverso le università italiane e le scuole di giornalismo nazionali, si diffonda anche un linguaggio comunicativo europeo, superando tutti i confini del nostro Stato. Sarà un’occasione di crescita!
La cultura infatti, è sempre un investimento. Tale politica di comunicazione non può che essere anche di aiuto per le istituzioni, per riuscire finalmente ad ascoltare i cittadini, considerarne le preoccupazioni, le loro opinioni e soprattutto cercare di influenzare la vita quotidiana attraverso quelle che sono le politiche attive dell’Unione Europea. Un’informazione così diffusa tra gli studenti di oggi, giornalisti del futuro, significa riuscire a stabilire nuovi contatti con il pubblico, chedal locale si diffondono nel contesto prima nazionale e poi europeo.
La politica Europea è in grado di influenzare la vita dei cittadini anche del più piccolo comune italiano, ma ciò non tutti ancora lo sanno. Per questo dobbiamoinsegnare attraverso le scuole, riconoscimenti, borse di studio e con tutte le azioni attuabili, che“comunicare l’Europa” è possibile in modo semplice e diretto.
Abbiamo il dovere di contribuire a sviluppare il senso di appartenenza dei giovani ad un contesto cosmopolita ed internazionale. Il vero collante per un’Europa unita, si forma a stringendo le maglie del tessuto sociale.
Si forma diffondendo la cultura dell’integrazione e quella della convivenza pacifica e civile tra popoli di diverse religioni ed etnie.
Solo così realizzeremo il sogno di Antonio di un’Europa senza barriere culturali!

Una lotta condotta da giovani come Antonio, che dai microfoni della sua radio informava gli ascoltatori sui lavori del Parlamento europeo.

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