Ora le istituzioni facciano quadrato per arginare il fenomeno con iniziative concrete a sostegno del lavoro e dei prodotti agroalimentari sani e legali”.
Un plauso alle forze dell’ordine per l’operazione di contrasto al fenomeno del caporalato in provincia di Salerno, che ha portato all’adozione di misure cautelari nei confronti di 35 persone ma anche un appello alle istituzioni e all’imprenditoria affinchè facciano concretamente la loro parte per debellare il fenomeno e favorire chi lavora in modo legale in agricoltura. La Cgil Salerno ha tenuto martedì mattina una conferenza stampa nella sede di via Francesco Manzo per chiedere di tenere alta l’attenzione sul mondo agricolo in provincia di Salerno pervaso, nonostante gli sforzi di magistratura e forze dell’ordine, dalla criminalità organizzata. “Siamo contenti dell’esito di questa operazione, che ha messo in luce anche le denunce fatte in passato dal sindacato sulle truffe legate al decreto flussi. Un plauso – hanno detto in conferenza stampa il segretario generale della Cgil Salerno, Arturo Sessa, la segretaria generale della Flai Cgil Salerno, Giovanna Basile ed il presidente dell’assemblea generale della Cgil Salerno, Anselmo Botte – va alle forze dell’ordine perché non era facile portare avanti un’indagine così complessa senza denunce che aiutassero a costruire tutto il percorso truffaldino. Ma – avverte la Cgil Salerno – non ci dobbiamo fermare alla fase repressiva che da sola non è sufficiente a sconfiggere il fenomeno del caporalato. Le istituzioni, i Comuni, facciano la loro parte perché l’illegalità si combatte tutti insieme. Le aziende che ricorrono ai caporali fanno concorrenza sleale e avviare percorsi per mettere in piedi quegli strumenti come il collocamento pubblico ad una rete di trasporti che possa garantire spostamenti ai migranti sui luoghi di lavoro”.
Tra le proposte rilanciate dal sindacato, l’attivazione del collocamento e del trasporto pubblico in agricoltura, in collaborazione con i Comuni e le aziende agricole, l’istituzione di un comitato provinciale contro il caporalato ed il lavoro irregolare. “Occorre mettere in campo una sinergia tra Istituzioni, imprenditori, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali – ha ribadito la Cgil Salerno – per contrastare un fenomeno che, anche dalla recente inchiesta, è diffuso, ramificato, radicato e pericoloso, pur rappresentando soltanto la punta dell’iceberg”. La Cgil Salerno chiede poi di avviare una riflessione sulla possibilità di utilizzare correttamente i fondi europei attraverso progetti condivisi tesi all’emersione del fenomeno. Secondo il sindacato sono a disposizione 25 milioni di euro. La Cgil ha poi rilanciato l’idea di “un marchio etico e di qualità per i prodotti agroalimentari della Piana del Sele. Istituzioni ed aziende sane – hanno concluso Sessa, Basile e Botte – si mettano in gioco per ridare legalità al settore”. Nel corso della conferenza stampa sono stati illustrati anche i dati di un dossier elaborato da Cgil e Flai sul fenomeno del lavoro nero in agricoltura. Secondo i dati elaborati dal sindacato, la forza lavoro impiegata in agricoltura nella Piana del Sele è costituita in stragrande prevalenza da lavoratori migranti (si calcola che su 27mila lavoratori agricoli, il 50% dei braccianti sia di origine straniera). Alla sostituzione di manodopera è seguita anche quella dei caporali che oggi sono esclusivamente stranieri. I caporali etnici hanno caratteristiche che li differenziano da quelli nostrani, soppiantati ormai da tempo, perché hanno arricchito il loro bagaglio delinquenziale con un nuovo elemento criminale. Infatti, oltre alla intermediazione di manodopera, al sottosalario, al lavoro nero, al controllo dei ritmi di lavoro, gestiscono anche la fase degli ingressi e sono diventai uno dei punti cardine della tratta di esseri umani. Non tutte le etnie si comportano allo stesso modo in questa attività criminale.
I caporali marocchini si avvalgono del decreto flussi riservato ai lavoratori stagionali emanato ogni anno. In questo caso i caporali sono l’anello di congiunzione tra i migranti che aspirano all’ingresso e le aziende agricole. Per ogni ingresso il costo della tangente si aggira intorno ai 7-10.000 euro. Spesso, se non sempre, i migranti subiscono una vera e propria truffa, in quanto il rapporto di lavoro non si perfezione e di conseguenza neppure la regolarizzazione, alimentando in questo modo il proliferare dei migranti irregolari.I lavoratori indiani, pakistani e ucraini si affidano invece a dei leader connazionali che controllano le comunità insediate nel territorio e che si avvalgono, per i nuovi ingressi e relativo permesso di soggiorno, di avvocati e consulenti locali compiacenti. Nel mese di aprile 2015 sono finiti agli arresti domiciliari due avvocati che operano nella Piana del Sele, su disposizione della Procura di Brescia con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina e compravendita di falsi contratti di lavoro. I due si avvalevano anche di un’agenzia di consulenza per stranieri e altri indagati appartenenti alle comunità di origine indiana, pakistana e africana che si prestavano come rappresentanti di connazionali desiderosi di ottenere il permesso di soggiorno. I lavoratori rumeni, pur essendo comunitari e quindi non bisognosi del permesso di soggiorno, sono alla mercé di una rete ramificata di autisti/caporali che promettono, in patria, rapporti di lavoro sicuri nelle fabbriche alimentari, alloggi decenti, e che invece si sostanziano in lavoro nei campi e tuguri veri e propri. La tangente in questo caso si aggira intorno ai 3.00 euro. Un recente intervento dei Carabinieri (aprile 2015) ha dato esecuzione all’arresto di 9 indagati per associazione a delinquere finalizzata alla intermediazione di manodopera. I provvedimenti riguardano cittadini rumeni e italiani.
In tutti e tre i casi, spesso si tratta di falsi rapporti di lavoro e i migranti una volta arrivati restano abbandonati a se stessi e a caporali senza scrupolo che spesso li privati dei documenti. E’ qui la loro riduzione in schiavitù: nella difficoltà di liberarsi da questi criminali dopo aver sborsato cifre ingenti. E la riduzione in schiavitù rende sempre più dinamici i caporali; circa un mese fa abbiamo appreso che alcuni caporali rumeni hanno costretto circa 300 braccianti a votare alle primarie di Eboli, l’indagine ha scoperchiato la situazione di estremo degrado nella quale vivevano i lavoratori e la loro estrema fragilità nei confronti dei caporali. Ciò ci preoccupa in quanto abbiamo buoni motivi per ritenere che i caporali così come sono stati in grado di costringere i lavoratori a votare candidati che neppure conoscevano, siano in grado di costringerli a crimini di varia natura. Fermare la tratta di manodopera deve rappresentare una delle priorità nel nostro territorio, anche perché alcune aree della Piana del Sele (la fascia pineta in località Campolongo) sono diventate terra di nessuno, dove l’illegalità è diffusa e dove lo Stato stenta a marcare la sua presenza. É per questo che la prima proposta operativa è quella di promuovere presso la Prefettura di Salerno una discussione per la formulazione di un protocollo d’intesa contro la tratta di manodopera nei luoghi di lavoro, la prevenzione e il contrasto al fenomeno dello sfruttamento della manodopera italiana e straniera, al quale devono aderire la magistratura, la polizia, gli enti locali e quelli ispettivi. Oggi il successo dei caporali sta nel fatto che hanno la capacità di smistare rapidamente la manodopera agricola in una rete ramificata e intricata di aziende agricole, solo nella Piana del Sele se ne contano a migliaia. Pensate, migliaia di aziende che quasi tutte le mattine all’alba hanno esigenze di manodopera diversa per numero e per qualifica qualche volta. Se un’azienda agricola decidesse di rivolgersi ad una struttura pubblica o privata per un avviamento che ha queste caratteristiche non troverebbe nessuno in grado di soddisfare tale esigenza. Ecco dove sta il trionfo dell’attività di questi mascalzoni. E allora riteniamo che li si debba sfidare su questo terreno: mettere in campo un’attività legale capace di soddisfare l’intricato mercato del lavoro dell’agricoltura, nella pratica: istituire opportuni dispositivi di assunzione leciti, creando un luogo pubblico, e controllato, dove si incontrino domanda e offerta di lavoro. Togliere il terreno da sotto i piedi ai caporali, altre alternative non ne vediamo, superare la debolezza delle istituzioni, liberare la mente da ogni timore e metterci alla testa di un sistema di attività di intermediazione legale, nella speranza di liberare dalla secolare schiavitù il lavoro agricolo.
La fragilità dei lavoratori e delle lavoratrici è creata da molti fattori che li rendono vittime predestinate del caporale, prima di tutto quello di trovare lavoro in un contesto nel quale delle volte i datori di lavoro neanche si sa chi siano (spesso la superficie agricola viene affittata per pochi mesi a commercianti che non hanno alcuna intenzione di perdere tempo appresso alle assunzioni), e poi la necessità di spostamenti rapidi per raggiungere l’azienda e per spostarsi da un’azienda all’altra nei periodi di intenso lavoro. Il trasporto diventa l’altro elemento vincolante dei lavoratori al caporale. Occorre intraprendere percorsi con i Comuni, La Provincia e la Regione, per individuare idonee politiche per il trasporto pubblico dei lavoratori sui luoghi di lavoro, ad esempio utilizzando le “linee agricole” che in alcune regioni sono già incluse nei Piani di Bacino per il trasporto pubblico. Anche se ci rendiamo conto che anche il più sofisticato sistema di trasporto pubblico non sarebbe in grado di soddisfare le esigenze del contesto in cui ci muoviamo. I termini del problema sono molto semplici: si tratta, nella Piana del Sele, di spostare in 30 minuti, ogni mattina, circa 5.000 lavoratori e smistarli in 3-400 aziende. E allora vogliamo sperimentare sul nostro territorio un modello che può sembrare estemporaneo.