Parcheggio via Canale, il Consiglio di Stato dà ragione al Comune di Nocera Inferiore definitivamente

Vicenda nata nel 1980.

Si chiude con la decisione del massimo organo della giustizia amministrativa uno degli scontri più lunghi e longevi tra il Comune e un privato a Nocera inferiore. Una grande contrapposizione anche nella vita politica cittadina, con buona parte delle forze politiche schierate, chi per un motivo chi per un altro, a favore delle richieste dei proprietari. Non a caso una lunga inchiesta di Le Cronache e di Rtalive tra la fine 2016 e l’inizio 2017 su questa annosa vicenda con l’intervista ai protagonisti dal 1978 in poi, foto d’epoca e tanti elementi, per il solo fatto di mettere in dubbio parzialmente le richieste della proprietà, fu ricoperta da insulti e maldicenze di vario genere (e non dai proprietari), che oggi trovano l’ennesima consacrazione di falsità per anni contrabbandate per verità alternative, via Canale testimonia anche del modo di fare politica di questa città, dove lo scontro politico è spesso contrapposizione a prescindere e vale il principio “Chi è contro di me è un furfante”. In questo clima dove mediocri e sedicenti commentatori e pensatori sono ovunque, si intrufola sempre chi cerca di sfruttare le vicende altrui per avere un minimo di visibilità, finora operazione miseramente fallita.

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LA SENTENZA
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Pubblicato il 26/10/2018
N. 06105/2018REG.PROV.COLL.

N. 08473/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 8473 del 2015, proposto dal
Fallimento n.60/14 Farmacia Liliana Russo del Dott. De Francesco Vincenzo s.a.s e del socio accomandatario De Francesco Vincenzo, in persona del curatore fallimentare pro tempore, De Francesco Ferdinando Maria, Russo Ferdinando, Russo Armida, Avallone Maria Pia, rappresentati e difesi dall’avvocato Carmine Cosentino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Silla, 28;
contro

Comune di Nocera Inferiore, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sabato Criscuolo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carmine De Vita in Roma, via Gallia, 122, e dall’avvocato Filippo Castaldi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Isaia Sales in Roma, piazza Regina Margherita, 27;
per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede staccata di Salerno, sezione seconda, n.619 del 16 marzo 2015, resa tra le parti, concernente la determinazione del risarcimento del danno conseguente all’illegittima occupazione.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Nocera Inferiore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018 il consigliere Nicola D’Angelo e uditi, per gli appellanti, l’avvocato Carmine Cosentino, e, per il comune di Nocera Inferiore, gli avvocati Filippo Castaldi e Sabato Criscuolo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Fallimento n.60/14 Farmacia Liliana Russo del Dott. De Francesco Vincenzo s.a.s e i signori Ferdinando Maria De Francesco, Ferdinando Russo, Armida Russo e Maria Pia Avallone, con due distinti ricorsi hanno chiesto al T.a.r. per la Campania, sede staccata di Salerno, il risarcimento dei danni conseguenti all’annullamento, pronunciato con sentenza dello stesso Tribunale n. 250 del 1998, confermata da questa Sezione con sentenza n. 742 del 1999, dei provvedimenti del comune di Nocera Inferiore (ordinanza del 6 dicembre 1980 e decreto del 31 ottobre 1984) con i quali era stata disposta la requisizione prima e l’espropriazione poi dell’area di mq. 5.445 di loro proprietà.

L’occupazione era stata disposta a far data dall’11 dicembre 1980 e fino al 9 settembre 2001 ai fini della installazione di prefabbricati leggeri per le popolazioni colpite dal terremoto.

2. Il T.a.r per la Campania, dopo aver riunito i due ricorsi, li ha accolti con la sentenza n. 3986 del 2009, accertando che, una volta caducati i predetti provvedimenti, la materiale occupazione, a far data dalla immissione in possesso dall’11 dicembre 1980 fino alla effettiva restituzione, avvenuta il 9 febbraio 2001, doveva ritenersi sine titulo, disponendo di conseguenza il risarcimento del danno secondo i seguenti criteri:

“a) calcolando, per ogni anno di occupazione, l’indennità di requisizione dovuta ex l. 874/1980, maggiorata di interessi e rivalutazione monetaria, detratto quanto già corrisposto;

b) stimando, in base allo stato di consistenza redatto con verbale dell’11 dicembre 1980, il valore del soprassuolo arboreo e floreale già esistente al momento della (occupazione, n.d.e.), rivalutato all’attualità;

c) aggiungendo – in quanto concretamente documentate – le spese per la rimessa degli immobili in pristino stato”.

La stessa sentenza è stata confermata da questa Sezione con decisione n. 5177 del 2012.

3. I ricorrenti, non avendo comunque ottenuto dal Comune la formulazione di una congrua proposta risarcitoria, hanno nuovamente adito il T.a.r. per la Campania, sede staccata di Salerno, che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso per la definizione del quantum dovuto, secondo criteri in parte diversi da quelli indicati nel ricorso.

4. Contro la predetta sentenza, il Fallimento n.60/14 Farmacia Liliana Russo del Dott. De Francesco Vincenzo s.a.s e i signori Ferdinando Maria De Francesco, Ferdinando Russo, Armida Russo e Maria Pia Avallone, hanno quindi proposto appello, prospettando i seguenti motivi di censura.

4.1. Violazione ed elusione del giudicato di cui alla sentenza del T.a.r. di Salerno n. 3896 del 2009, confermata con la decisone del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5177 del 2012. Illogicità e contraddittorietà. Violazione dei principi del contraddittorio, dei diritti di difesa e del giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.). Travisamento dei fatti e degli atti di causa.

4.1.1. Il T.a.r. avrebbe eluso il giudicato formatosi sulla sentenza n. 3896 del 2009. Contrariamente a quanto indicato nella stessa sentenza nella quale era stato individuato un unico criterio per l’individuazione dell’indennità di occupazione abusiva (art. 3, comma 5, della legge n. 874/1980), il giudice di primo grado ha individuato i criteri per la determinazione del risarcimento, distinguendo il periodo di occupazione da requisizione (1980 – 1984) e il periodo di occupazione da esproprio (1985 – 2001).

4.1.2. Secondo gli appellanti, tale distinzione non sarebbe giustificata in ragione della circostanza che a seguito dell’annullamento dei provvedimenti di requisizione e di esproprio l’intero periodo di occupazione avrebbe dovuto essere considerato come conseguenza della requisizione illegittima e quindi essere risarcito ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge n. 847/1980.

4.1.3 La requisizione, infatti, non sarebbe stata incisa dal decreto sindacale del 31 ottobre 1984 con il quale è stato disposto l’esproprio dell’area, essendo stato anch’esso annullato con la sentenza n. 250 del 1998.

4.1.4. L’occupazione, in sostanza, secondo i ricorrenti, si configurerebbe per tutto il periodo come requisitiva essendo stata fin dall’inizio effettuata esercitando il potere di requisizione di cui alla legge n. 874/1980.

4.1.5. Inoltre, l’applicazione di un diverso criterio di determinazione dell’indennità di occupazione sarebbe stata operata dal giudice di primo grado senza dare alle parti la possibilità di contraddire sul punto.

4.2. Illogicità e manifesta ingiustizia. Travisamento dei fatti.

4.2.1. Gli appellanti hanno censurato la sentenza impugnata la quale ha respinto la loro richiesta di risarcimento delle spese di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto non documentate, ed ha compensato le spese di giudizio.

4.2.2. Il risarcimento del danno per i lavori di ripristino, secondo gli appellanti, sarebbero stati dimostrabili solo dopo la riacquisizione dell’area e comunque il T.a.r. avrebbe potuto riconoscere anche una condanna generica.

4.2.3. Quanto alla compensazione delle spese di giudizio, la sentenza sarebbe erronea laddove ha giustificato la compensazione integrale con il mancato raggiungimento dell’accordo tra le parti.

5. Il comune di Nocera Inferiore si è costituito in giudizio il 17 dicembre 2015 ed ha depositato ulteriori memorie il 18 febbraio 2016 ed il 14 maggio 2018, eccependo l’irricevibilità del ricorso, per una asserita tardività nella sua proposizione, e comunque la sua infondatezza.

6. Gli appellanti hanno anch’essi depositato ulteriori scritti difensivi, in particolare una memoria di replica il 25 maggio 2018. In relazione a quest’ultima, hanno anche chiesto, il 31 maggio 2018, di essere rimessi in termini non avendo potuto depositare l’ultimo giorno utile la stessa memoria (24 maggio 2018) a causa dell’impossibilità di accedere al server della giustizia amministrativa.

7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 14 giugno 2018.

8. Preliminarmente, va esaminata la questione relativa alla tempestività del deposito della memoria di replica degli appellanti.

8.1. Sul punto, a prescindere dalla natura del giudizio de quo (ordinario o di ottemperanza) sollevata in sede di discussione dalla parte appellante ai fini della dimidiazione del termine, il Collegio ritiene di poter configurare, in ragione delle comprovate difficoltà di accesso al sito della giustizia amministrativa, una causa che giustifica il deposito della memoria di replica il giorno successivo alla scadenza del termine utile.

9. Al contrario va ritenuta tardiva l’eccezione di irricevibilità dell’appello formulata dal comune di Nocera Inferiore (secondo quest’ultimo l’appello, vertendo su un giudizio di ottemperanza, avrebbe dovuto essere proposto nei termini dimezzati di cui all’art. 87 cpa).

9.1. Premesso che la dimidiazione dei termini, di cui all’art. 87, comma 3, cpa, nel giudizio di ottemperanza si applica solo ai termini diversi da quelli di proposizione del ricorso in appello (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2013, n. 1603), l’eccezione è comunque tardiva in quanto è stata proposta non nell’atto di costituzione in giudizio, ma solo con la memoria del 17 maggio 2018 (cfr. art. 101, comma 2, cpa).

10. Nel merito l’appello non è fondato.

11. Dopo l’annullamento disposto dalla sentenza del Ta.r. di Salerno n. 250 del 1998 (confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 724 del 1999) degli atti di requisizione ed esproprio dell’area di proprietà dei ricorrenti, questi ultimi proponevano ricorso al Tribunale di Nocera Inferiore per la restituzione della stessa (concluso con sentenza n. 881 del 1991) e poi due distinti ricorsi per il risarcimento dei danni al giudice ordinario e al T.a.r., presso cui, infine, si svolgeva il relativo giudizio a seguito della decisione sulla giurisdizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ordinanza n. 24624/2007.)

11.1. All’esito dei suddetti ricorsi, la sentenza del T.a.r. per la Campania, sede staccata di Salerno, n. 3986 del 2009, confermata dal Consiglio di Stato con decisione n. 5177 del 2012, condannava il comune di Nocera Inferiore al risarcimento del danno conseguente alla illegittima occupazione dei suoli di proprietà degli appellanti sulla base dei seguenti criteri:

a) riconoscimento di un’indennità di requisizione dovuta ai sensi della legge n. 874/1980 per ogni anno di occupazione, maggiorata di interessi e rivalutazione monetaria, detratto quanto già corrisposto;

b) stima, in base allo stato di consistenza redatto con verbale dell’11 dicembre 1980, del valore del soprassuolo arboreo e floreale già esistente al momento dell’occupazione, rivalutato all’attualità;

c) aggiunta, in quanto concretamente documentate, delle spese per la rimessa degli immobili in pristino stato.

11.2. Con successiva sentenza n. 619 del 2015, lo stesso Tribunale, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio (ordinanza istruttoria n. 948 del 20 maggio 2014), ha concretamente determinato la somma dovuta agli stessi ricorrenti.

11.3. Il Comune intimato in attuazione della statuizione del T.a.r. ha provveduto alla liquidazione della somma di euro 1.346.891,54, oltre all’importo di euro 328.494,86, già precedentemente corrisposto.

11.4. I ricorrenti hanno tuttavia proposto appello contro la suddetta sentenza n. 619 del 2015, ritenendo la stessa in parte elusiva del giudicato di cui alla sentenza dello stesso T.a,r. per la Campania n. 3986 del 2009.

11.5. In particolare, hanno contestato la parte della sentenza nella quale il giudice di primo grado ha individuato i criteri per la determinazione del risarcimento, distinguendo il periodo di occupazione da requisizione (1980 – 1984) e il periodo di occupazione da esproprio (1985 – 2001).

11.6. Secondo gli appellanti, tale distinzione non sarebbe giustificata in ragione della circostanza che a seguito dell’annullamento dei provvedimenti di requisizione e di esproprio l’intero periodo di occupazione avrebbe dovuto essere considerato come conseguenza della requisizione illegittima e quindi essere risarcito ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge n. 847/1980.

11.7. Inoltre, hanno censurato la sentenza impugnata la quale ha respinto la richiesta di risarcimento delle spese di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto non documentate, ed ha compensato le spese di giudizio.

12. Ciò premesso, va innanzitutto rilevato che l’appello riguarda un giudizio che non può ritenersi solo di mera ottemperanza, essendo stato instaurato come seconda fase del giudizio risarcitorio definito, relativamente ai suoi criteri generali, dalla sentenza del T.a.r. n. 3986 del 2009 (peraltro, nessuna delle parti ha eccepito in ordine alla trattazione della causa secondo il rito ordinario).

12.1. In questa seconda fase, il giudice di primo grado ha determinato concretamente il quantum dei criteri liquidatori individuati nella prima fase, avendo esplicitamente osservato che la sentenza n. 3986 del 2009: “si limita ad indicare i criteri per indirizzare l’attività liquidatoria, di carattere negoziale, delle parti, senza esaurire ogni spazio di cognizione e di decisione funzionale alla compiuta risoluzione della questione risarcitoria”.

12.3. In tale contesto va dunque esaminata la sentenza impugnata e il suo ambito di cognizione rispetto anche ai criteri indicati nella precedente sentenza n. 3986 del 2009.

13. Sotto questo profilo, non sembra pertanto esorbitare i criteri in precedenza indicati la scelta del T.a.r. di distinguere due periodi nell’ambito dell’occupazione abusiva, quello conseguente al provvedimento di requisizione e quello successivo al provvedimento di esproprio.

13.1. Se è vero, infatti, che relativamente alla sentenza 3986 del 2009, per effetto del rigetto dell’appello proposto dall’Amministrazione, si è formato il giudicato, sono tuttavia rimaste da definire, ai sensi dell’art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 80/1998, con l’accordo delle parti o, in mancanza, mediante l’intervento suppletivo ed integrativo del giudice, le concrete modalità applicative dei suddetti criteri.

13.2. Di conseguenza, mentre per il periodo 1980-1984, relativamente al quale il criterio giudiziale di liquidazione è stato ancorato all’indennità di requisizione ex lege n. 874/1980, il diritto risarcitorio dei ricorrenti è stato soddisfatto, avendo gli stessi percepito la corrispondente indennità di requisizione in forza della citata sentenza civile n. 881/1991, per il periodo 1985-2001, successivo al provvedimento di espropriazione dell’area, il T.a.r. non poteva considerare, al fine di una compiuta determinazione del danno, lo stesso parametro di quello precedente.

13.3. Il provvedimento di esproprio, seppure annullato, ha infatti determinato la trasformazione del titolo giuridico dell’occupazione, con la conseguenza che la disciplina di cui all’art. 3, comma 5, della legge n. 784/1980, richiamata dalla sentenza n. 3986/2009, è risultata inidonea ad individuare il quantum spettante ai ricorrenti per il periodo di illecita occupazione successiva all’anno 1984.

13.4. D’altra parte, la sentenza di questa Sezione n. 5177 del 2012 che ha confermato la decisione del T.a.r. n. 3896 del 2009, ha evidenziato: “ la domanda proposta attiene al risarcimento del danno patito per effetto di occupazione illegittima, conseguente all’annullamento dell’ordinanza di requisizione e del decreto di esproprio, con il connesso titolo di responsabilità ex art. 2043 cod. civ., onde il riferimento alla indennità di requisizione, quando anche erroneo e non inteso ad indicare una base parametrica del risarcimento (quale in effetti poi recepita dal giudice amministrativo salernitano), non potrebbe, in nessun caso, incidere sulla chiara ed esatta percezione del contenuto della domanda di accertamento e condanna”.

13.5. In sostanza, non può trascurarsi, pur in presenza dell’obbligo a risarcire il danno, che l’occupazione successiva al piano di recupero e al provvedimento di esproprio, annullati dalla sentenza n. 250 del 1998, sono stati posti in essere nell’esercizio di un diverso ed autonomo potere pubblicistico (nella procedure di esproprio vi è stata peraltro la relativa dichiarazione di pubblica utilità).

13.6. Né può ritenersi errata la prospettazione del T.a.r. che muovendosi nell’ambito dei poteri derivanti dall’art. 35, comma 2, del d. lgs 31 marzo 1998 n.80, poi sostanzialmente trasfuso nell’art. 34 comma 4 c.p.a, ha provveduto all’integrazione dei criteri liquidatori già individuati. Non vi è, infatti, dubbio, che il giudice con i poteri dell’ottemperanza (cfr. rinvio del comma 4 al titolo I del libro IV del c.p.a.) può adottare, in sede di interpretazione integrativa del precetto racchiuso nella sentenza da eseguire, una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo eventuali problemi interpretativi che sarebbero comunque devoluti alla propria giurisdizione così da realizzare il contenuto conformativo della sentenza ed emanare tutti i provvedimenti idonei ad assicurare al ricorrente vittorioso il bene della vita effettivamente perseguito (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2018 n. 2391).

13.7. Ed in effetti, l’indennizzo da requisizione, ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge n. 874/1980, deve essere determinato “secondo le norme previste dalla L. 29 luglio 1980, n. 385, calcolando per ciascun anno di occupazione un quarto dell’indennità che dovrebbe essere corrisposta, ai sensi della predetta L. 29 luglio 1980, n. 385, per l’espropriazione delle aree da occupare, ovvero per ciascun mese o frazione di mese un dodicesimo dell’indennità annua come sopra determinata”.

13.8. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 62 dell’8 febbraio 1991, ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui stabilisce che le indennità di occupazione vanno determinate secondo le norme previste dalla 1egge 29 luglio 1980, n. 385, perché, relativamente alle aree aventi destinazione edificatoria (quali devono considerarsi quelle oggetto di controversia), non assicura un congruo ristoro degli interessi del proprietario sacrificato dall’adozione dell’atto di occupazione.

13.9. Pertanto, applicando la norma al caso di specie, il calcolo per la liquidazione dell’indennizzo collegato al valore di mercato dell’area, seppure ridotto al quarto, condurrebbe dopo quattro anni di durata della requisizione, alla corresponsione al proprietario di una somma equivalente al valore venale dell’area oggetto di apprensione e nel periodo successivo alla corresponsione ai proprietari di una somma capitale ben superiore al valore dell’area. E ciò si porrebbe con evidenza in contrasto con la funzione compensativa del risarcimento, tenuto conto che vi sarebbe nella sostanza una concorrente applicazione del criterio liquidatorio di cui al citato art. 3, comma 5, della legge n. 874/1980 e del criterio indennitario del valore del bene, bene che comunque è tornato in possesso dei ricorrenti.

14. Relativamente al mancato riconoscimento del risarcimento delle spese relative alle opere di ripristino dello stato dei luoghi, va innanzitutto rilevato che nella sentenza n. 3986 del 2009 le stesse erano espressamente subordinate alla condizione della loro “concreta documentazione”.

14.1. Sul punto, va condivisa la conclusione del T.a.r. in ordine alla loro mancata documentazione. Anzi, dopo la restituzione dell’area agli appellanti (9 febbraio 2001) non vi sono state opere di ripristino (così come risulta dal contratto di cessione al Comune della medesima per adibirla a parcheggi sottoscritto l’8 aprile 2003).

14.2. Né sarebbe possibile, come sostenuto dalla parte appellante, una condanna generica, avendo la sentenza n. 3986 del 2009 onerato la stessa parte di comprovare le spese sostenute, in relazione alla sussistenza stessa del danno.

15. Quanto, infine, alle compensazione delle spese di giudizio non può che essere condiviso l’assunto del T.a.r. che ha ritenuto il mancato accordo, da cui è poi scaturito il giudizio, conseguenza dell’atteggiamento contrastante delle parti.

16. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.

17. La complessità della controversia giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Luca Lamberti,Consigliere

Nicola D’Angelo, Consigliere, Estensore

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