Vent’anni fa, tra il 5 e il 6 maggio 1998, una immane colata di fango scendeva su Sarno cancellando per sempre tutto ciò che incontrava sul suo cammino,strade,case, palazzi e ben 137 vite umane.
Altre 23 persone furono seppellite dalla lava fredda e nera nei Comuni di Siano e Bracigliano, in provincia di Salerno, e in quello di Quindici, sul versante avellinese di quella stessa montagna, il monte Saro, contrafforte dell’appenino campano, dai cui fianchi denominati del Pizzo d’Alvano, vennero giù dopo 3 giorni di pioggia battente , oltre 2 milioni di metri cubi di terra. La frazione Episcopio di Sarno venne completamente distrutta da 5 metri di fango, tanto da essere soprannominata la «Pompei del 2000»; anche l’ospedale della cittadina, il Villa Malta, venne spazzato via dalla furia assassina della natura. Fatali furono l’enorme quantità di pioggia, ( oltre 30 cm ) ma a pesare sulle coscienze anche i ritardi nella comunicazione dell’allarme imminente alla popolazione, il mancato sgombero di alcune famiglie e soprattutto l’incapacità a coordinare una situazione mai accaduta prima in quei territori. Anche la mancanza di una regia che potesse percepire il dramma che stava per scatenarsi e che interessava non singoli comuni ma quelli alle falde di un’unica montagna che stava lanciando segnali di cedimento, ha pesato enormemente sulla tragedia.
Nessuno in grado di mettere insieme i pezzi, gli allarmi e le notizie che giungevano prima da Bracigliano, qui alle 15.00 del 5 maggio 1998 fu registrato il primo movimento franoso, e poi a seguire gli smottamenti di Sarno, e poi Siano nel tardo pomeriggio fino alle “zampate” assassine della serata e della nottata tra il 5 e il 6 maggio.
A pagare, per tutti, l’ex sindaco di Sarno, Gerardo Basile, processato e prima assolto, poi condannato a 5 anni di domiciliari. Dopo quel disastro si decise finalmente la sistematica mappatura del rischio idrogeologico in Italia. L’evento, che ebbe forte impatto emotivo sugli italiani, portò i legislatori a scrivere e rendere legge il cosiddetto “decreto Sarno”, un decreto legge poi riconvertito in legge dello Stato che finalmente dava una spinta alla realizzazione di quella mappatura del rischio idrogeologico di cui in realtà l’Italia aveva bisogno da decenni, da prima dell’alluvione di Firenze del 1966. Servirono tante, nuove vittime purtroppo, perché le cose si muovessero.
Nel giro di poco tempo le Autorità di Bacino, enti creati dalla legge 183 del 1989, avrebbero dovuto realizzare i cosiddetti PAI (Piani di Assetto Idrogeologico), documenti contenenti fra le varie cose anche la mappatura delle aree a rischio alluvione ed a rischio frana. Oggi questi documenti sono stati realizzati per tutto il territorio, così come i piani su cui è scritto cosa bisognerebbe fare per mitigare i rischi. Purtroppo questo utile strumento è ancora troppo poco valorizzato, perché nonostante sulla carta le aree a rischio siano segnate ed evidenziate, troppe poche volte si procede a una reale mitigazione. Inoltre le mappe di rischio andrebbero costantemente aggiornate, ma spesso mancano fondi. Gli investimenti per mitigare il rischio idrogeologico sono quasi nulli, e nel frattempo a distanza di 20 anni da Sarno si continua a morire di alluvioni e frane.
20 anni dopo Sarno, la città più colpita, quella che ha pagato il prezzo più alto in termini di vite umane, ha visto completarsi l’85% delle opere previste anche se a venire meno sarebbe stata proprio la messa in sicurezza della montagna. Il cosiddetto ‘vascone’ di Sarno è stato pensato perché dovrebbe raccogliere una gran mole d’acqua nel caso di precipitazioni enormi, come quelle della primavera del 1998. Ad allungare lo strazio dei parenti delle vittime anche la questione risarcimenti. I giudizi pendenti sarebbero ancora una settantina.
A Sarno le case distrutte furono 193, 306 quelle parzialmente distrutte, 561 quelle danneggiate. Complessivamente gli immobili distrutti e danneggiati furono 867. La frazione di Episcopio fu l’area maggiormente colpita. 48 le unità abitative ricostruite dai privati nel comparto Casasale-Pedagnali, mentre gli immobili ricostruiti direttamente dal Commissariato di Governo-Arcadis nell’ambito del cosiddetto lotto 11 sono 21. L’importo complessivo dei contributi per la ricostruzione e la riparazione delle abitazioni ammonta a circa 53 milioni di euro.
Opere di messa in sicurezza.
Le opere di messa in sicurezza post-frana realizzate dal Commissariato di Governo per la ricostruzione: 11 vasche per la raccolta di acque e fango per una capacità complessiva di 2 milioni di metri cubi; 20 km di canali per il convogliamento e il deflusso delle acque nelle vasche; strade di accesso ai fondi pedemontani. Resta da realizzare la vasca Vallone Santa Lucia e la messa in sicurezza del Saretto. Complessivamente per le opere di messa in sicurezza sono stati spesi finora 150 milioni di euro.
Intanto oggi è il giorno del ricordo, della memoria, delle celebrazioni per non dimenticare una tragedia che ha segnato per sempre le nostre popolazioni e che dovrebbe restare come monito per quelle future.
Luisa Trezza – RTAlive
immagine – protezione civile.