I Borbone e la Capitale “pulita”

Ferdinando II e quel decreto del 1832 che regolamentava la gestione dei rifiuti: “Tutti possessori o fittuari di case, giardini cortili, di posti fissi o volanti, avranno l’obbligo di far spazzare la estionsione di strada corrispondente davanti della rispettiva abitazione»

«Tutto induce a credere che una terra felice come questa produca anche gente dall’indole felice».
La terra dei fuochi, delle discariche a cielo aperto, della mondezza, dei «colerosi e terremotati che col sapone non vi siete mai lavati», come racconta un “affettuoso” coro da stadio nel dipingere la «Napoli degradante» come qualcuno nella televisione di Stato l’ha definita qualche tempo fa.
Napoli come mondezzaio d’Italia, dunque, secondo la pubblica opinione, dimenticando che la parte cospicua di rifiuti tossici che avvelenano le nostre terre e l’aria sono un “cadeaux” dei nostri cari amici del nord.

Pochi sanno però che un tempo, la nostra città era modello d’eccellenza per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti, e la prima ad istituire la celebre raccolta differenziata. Già nel lontanissimo 1330, la città di Palermo emanò un’ordinanza in merito alla pulizia dei luoghi pubblici che inoltre obbligava i bottegai a mantenere in ordine lo spazio antistante le loro attività commerciali. Cinque secoli dopo, proprio a Napoli, con il decreto del 3 maggio 1832, firmato dal prefetto Gennaro Piscopo, Re Ferdinando II di Borbone ordinava che: «Tutt’i possessori, o fittuarj di case, di botteghe, di giardini, di cortili, e di posti fissi, o volanti, avranno l’obbligo di far ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti della rispettiva abitazione, bottega, cortile, e per lo sporto non minore di palmi dieci di stanza dal muro, o dal posto rispettivo e che questo spazzamento dovrà essere eseguito in ciascuna mattina prima dello spuntar del sole, usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondezze al lato delle rispettive abitazioni, e di separarne tutt’i frantumi di cristallo, o di vetro che si troveranno, riponendoli in un cumulo a parte».

Dodici articoli in cui si analizza l’intera situazione igienica prevedendo pene detentive per i trasgressori». Particolare attenzione ponevano le autorità al corretto comportamento delle lavandaie: «Dovranno recarsi ne’ locali a Santa Maria in Portico, dove per comodo pubblico trovasi tutto ciò che necessita». Le norme erano in vigore in tutti i comuni, e il bando borbonico si sofferma su quella che oggi chiamiamo “raccolta differenziata”: «Usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondezze e di separarne tutt’i frantumi di cristallo o di vetro, riponendoli in un cumulo a parte».
Una Napoli capitale di civiltà, di bellezza e di meraviglia come Goethe, qualche decennio prima, nel suo «Viaggio» in Italia testimoniava: «Tutto induce a credere che una terra felice come questa, dove ogni elementare bisogno si trova copiosamente soddisfatto, produca anche gente d’indole felice, capace d’aspettare flemmaticamente dall’indomani ciò che le ha portato l’oggi e di vivere, quindi, senza pensieri».

Ferdinando Guarino – Le Cronache
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