Odissea pronto soccorso: il sovraccarico dell’Umberto I, l’irraggiungibilità di quello di Sarno

Gli operatori del 118 lo sanno bene, ogni volta che intervengono nell’Agro nocerino nasce un dramma nel dramma: “dove portiamo il paziente?” Questo perché il pronto soccorso di riferimento, quello del presidio ospedaliero Umberto I° di Nocera Inferiore, è perennemente intasato.
A dire il vero, il decreto 49 decise anche che a restare aperto doveva essere pure il pronto soccorso del Villa Malta di Sarno, ma quella struttura incarna la tipica “cattedrale nel deserto”, perché non è facilmente servita da strade primarie, e raggiungerla comporta un serio rischio di perdersi, per chi non conosce bene la strada.

E’ vicino l’autostrada certo, peccato però che si tratta della A30, che serve il nolano, e non l’A3, che attraversa l’agro nocerino.
Arrivati a Nocera comincia la via Crucis. Se hai accompagnato con l’auto qualcuno, sei costretto il più delle volte a lasciarla accesa, scendere e cercare una sedia a rotelle per il trasportato.
Non è detto che ne trovi una libera, perché con il pronto soccorso pieno spesso tutte le sedie sono dentro il triage, a sostituire provvisoriamente i lettini, nel mentre se ne libera uno.

Lasciato il paziente in sala d’attesa, devi spostare l’auto. Qui scopri che l’unico parcheggio è quello a pagamento adiacente l’ospedale, costa poco meno di 2 euro (a cui nel caso devi aggiungere altri due euro per aver preso l’autostrada).
All’accettazione ti viene dato un codice, un infermiere stando dietro un vetro, sulla base di ciò che dichiari e che lui può intravedere, decide il “colore” da assegnare.
Questo regolamenterà il tempo di attesa in sala. Sappi che un codice bianco o verde aspetterà a lungo, molto a lungo. Sappi anche che questi codici però non hanno bisogno di pronto soccorso, perché trattabili tramite medici di famiglia o guardia medica.
Una volta nella triage, sarai visitato e come da protocollo, il dottore di turno disporrà i necessari accertamenti.

Da questo momento comincia la vera odissea, quella dei tempi di attesa. Chi scrive è stato costretto a servirsi del pronto soccorso nel 2014, sei volte in dieci mesi. E che tu arrivi in ambulanza, o con l’auto, poco conta. Il codice era sempre giallo, trattandosi di paziente cronico, ampiamente registrato in ospedale per i ripetuti ricoveri. Questo però non basta ad evitarti la “trafila” degli accertamenti, è il protocollo che lo impone, pare. Nella triage non ho mai trascorso meno di tre ore, arrivando anche a 5. E ogni volta che il dottore realizzava che doveva ricoverare il mio malato, era un dramma: Dove “piazzarlo”?

Questo perché il povero ca- mice bianco sapeva benissimo che i reparti sopra erano intasati, pieni oltre il prestabilito. Allora cominciava il giro di telefonate ai reparti, che terminava sempre con la stessa frase: “dobbiamo ricoverarlo in barella, perché i letti sono tutti occupati, lei acconsente?”
E certo, l’unica alternativa era portarlo a Vallo della Lucania, non proprio dietro l’angolo. Firmavi il ricovero in barella e salivi sopra. Qui ti aspettava l’inferno del reparto “medicina”, dove nonostante tutto ho sempre trovato personale medico e paramedico professionalmente valido e disponibile.

Dopo qualche giorno si liberava un letto, e il paziente poteva lasciare la barella che aveva “preso” nel pronto soccorso. Non è escluso che ti ritrovavi in una stanza femminile, con paziente maschile, o viceversa. Il personale piazzava nel caso dei separé, cercando di garantire un minimo di privacy.
I cuscini dovevi portarli da casa, e a volte anche le coperte, perché in quel reparto i ricoverati sono sempre oltre il numero stabilito, e il materiale a disposizione è in rapporto ai posti letto, non ai posti in barella.
Per tutto il resto, armarsi di tanta pazienza e se hai fede, comincia a pregare.
(a.f) Le Cronache

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