L’industriale nocerino avrebbe avuto un ruolo in almeno un’estorsione, avvertito il boss Rosario Giugliano che un ispettore di polizia lo pedinava e non solo. La Cassazione ne rigetta il ricorso dopo gli arresti in carcere deciso a giugno. La precisazione dell’avvocato di Salvatore Giglio
La Cassazione ha rigettato perché sostanzialmente infondato il ricorso presentato dal 43enne imprenditore di Nocera Inferiore, Stefano Gambardella, in carcere da giugno scorso, perché accusato di essere partecipe dell’associazione camorristica del 62enne pluripregiudicato, Rosario Giugliano, detto ‘o minorenne, legato un tempo al clan Alfieri Galasso, diventato uno dei protagonisti principali della criminalità nel Vesuviano e nell’Agro nocerino, dopo che si era trasferito a vivere a Pagani, alleato con i paganesi del clan Fezza De Vivo, e interessato a stendere la sua mano sulle aree industriali e sugli imprenditori del comprensorio a partire da quelli di Fosso Imperatore a Nocera, a Pagani e a San Marzano Sul Sarno.
LE CONDOTTE IPOTIZZATE
La Cassazione ricorda che nelle precedenti decisioni cautelari, da elementi ad elementi investigativi, «dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Giglio Salvatore e Giugliano Rosario, dalle sommarie informazioni rese da… (due imprenditori)» era stato evidenziato che:
–a) il Giugliano era stato messo in contatto con (l’imprenditore di Pagani estorto dal clan) dal Gambardella che aveva messo a disposizione il proprio ufficio per l’incontro con la vittima;
–b) il pagamento dell’estorsione era stato effettuato dal (imprenditore di Pagani) nelle mani del ricorrente (Gambardella, ndr);
–c) il Gambardella era la testa di ponte per consentire al clan Giugliano di infiltrarsi nelle aziende della zona industriale Fosso Imperatore;
–d) il ricorrente aveva avvertito il Giugliano di un imminente blitz e che un ispettore di polizia, di nome…, lo pedinava;
–e) il Giugliano si era incontrato con (un imprenditore di Nocera Inferiore), imprenditore che aveva acquistato un capannone al quale era interessato anche il Gambardella, per dirgli che (lo stesso Gambardella) era un suo amico, picchiandolo;
–f) Giglio Salvatore prendeva il denaro provento delle estorsioni dal Gambardella;
–g) (Un imprenditore di San Marzano Sul Sarno) aveva saputo dal Gambardella che intendeva far guadagnare del denaro al Giugliano;
–h) contribuiva al fondo cassa per le spese dei sodali ristretti in carcere, in ossequio ai principi di mutua solidarietà tipici delle associazioni criminali di cui si discute. Sulla base di tali elementi, emerge dunque la figura del ricorrente quale partecipe della associazione camorristica di cui al capo 1), trattandosi di imprenditore che non soggiace passivamente alle pretese estorsive del clan Giugliano».
IL RUOLO DI GAMBARDELLA
Nei precedenti giudicati cautelari era emerso che Stefano Gambardella sarebbe partecipe della associazione camorristica, trattandosi di imprenditore che non soggiace passivamente alle pretese estorsive del clan Giugliano, anzi potrebbe «reputarsi estraneo della societas sceleris giacché si pone su un piano di sostanziale parità con il Giugliano».
Sempre dalle indagini «è emerso che il Gambardella assicurava ai membri di tale sodalizio criminoso sostegno economico in denaro, destinato anche al pagamento degli stipendi e all’assistenza per eventuali spese legali dei sodali: si tratta di soggetto che ha acquisito spazio di manovra, foraggiando i sodali, emergendo dunque la natura volontaria di tali dazioni di denaro. L’osservanza della consolidata regola di mutua assistenza dei sodali in carcere, con assunzione delle spese necessarie per il loro mantenimento e quello dei familiari, da parte del Gambardella è significativa della sua affiliazione».
La Cassazione ricorda: «Nello specifico, quindi, l’ordinanza impugnata illustra in dettaglio una serie di vicende, sostanzialmente indiscusse nei loro estremi di fatto: alcune, di autonoma rilevanza delittuosa (come il concorso nella estorsione di cui al capo 5), ovvero l’essere il collettore del denaro estorto), altre (consentire l’infiltrazione del clan Giugliano nel tessuto economico-produttivo di Pagani, avvertire Giugliano di eventuali blitz da parte delle Forze dell’Ordine), nitidamente espressive di stretti rapporti del ricorrente con soggetti d’indiscussa e più o meno risalente militanza mafiosa e del ruolo di rango in quel contesto da costoro riconosciutogli.
Vicende, dunque, che, lette insieme, sorreggono in modo adeguato e senza forzature l’assunto del ruolo operativo esercitato da costui all’interno del clan Giugliano attivo in quell’area territoriale. Risulta, pertanto, la ritenuta partecipazione associativa del ricorrente, essendosi tradotto il suo intervento in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria…, tenuto conto della circostanza che il denaro delle estorsioni era diretto ad assicurare illeciti guadagni al gruppo camorristico di riferimento».
IMPRENDITORE VITTIMA O IMPRENDITORE PARTECIPE?
La Cassazione evidenzia che non «assume rilievo l’invocata scriminante della coartazione della volontà. Deve ritenersi imprenditore “vittima” colui il quale, soggiogato dall’intimidazione, non tenta di venire a patti con il sodalizio, ma cede all’imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un’intesa volta a limitare tale danno….
L’imprenditore “vittima” si trova in uno stato di timore o soggezione, derivante dalla forza intimidatrice dispiegata dall’associazione mafiosa, che ne elide – o ne vizia – la volontà e che lo costringe o lo induce a venire a patti con la consorteria, al fine di evitare nocumenti o anche soltanto di scongiurare un maggior danno.
Non può ravvisarsi la causa di giustificazione dello stato di necessità quando il soggetto si trovi nella situazione di potersi sottrarre alla costrizione a violare la legge facendo ricorso all’autorità, cui va chiesta tutela.. Il Tribunale del riesame con motivazione logica ha valorizzato le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia dalle quali è emerso che lo stesso non è mai stato minacciato dal Giugliano né è stato destinatario di richieste estorsive, ricevendo, invero, dei benefici dalla sua estraneità al sodalizio, ben lumeggiati e precisati dal Tribunale di Salerno…».
RICORSO RIGETTATO
La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Stefano Gambardella e lo ha condannato al pagamento delle spese processuali. Va detto, però, che la Cassazione ha sottolineato più volte che il suo era un vaglio di legittimità e non di merito, quindi c’è spazio per la difesa del 43enne imprenditore sostenuta dagli avvocati Gregorio Sorrento e Giovanni Annunziata di affrontare in un eventuale dibattimento tesi opposte a quella della procura che finora, in sede cautelare, hanno avuto un riscontro positivo.
Il processo poi vaglierà le posizioni di ognuno entrando nel merito e concluderà con una sentenza poi appellabile fino in Cassazione.
LA PRECISAZIONE
L’avvocato Luigi Calabrese, legale di Salvatore Giglio segnala un errore in cui sarebbe incorsa la Cassazione nella sua sentenza.
Scrive l’avvocato Luigi Calabrese: «Quale difensore di fiducia del signor Giglio Salvatore, e per suo espresso volere, chiedo la pubblicazione del contenuto di questa mia richiesta, ciò per onor del vero, ed a tutela del mio assistito e dei suoi familiari. Il 24 dicembre 2024 è apparso sul vostro sito web l’articolo di stampa intitolato “Rigettato il ricorso dell’imprenditore Stefano Gambardella: i rapporti col boss” .
L’articolo di stampa riporta alcuni passi della sentenza del 30 ottobre 2024 della Quinta Sezione della Corte di Cassazione nella quale erroneamente la Suprema Corte indica Giglio Salvatore quale collaboratore di giustizia, confondendolo con altro soggetto che aveva reso quelle dichiarazioni a carico del Gambardella.
La realtà invece è che Giglio Salvatore non è assolutamente collaboratore di giustizia, né ha mai reso dichiarazioni collaborative. Tant’è che attualmente è detenuto nel carcere di Rebibbia in attesa dell’esito del giudizio di appello. L’incolpevole riproduzione del “lapsus personae” in cui incorse la Suprema Corte nella sentenza del 30 ottobre 2024, con la pubblicazione dell’articolo, ha ora diffuso mediaticamente una realtà distorta e non veritiera ed anche potenzialmente pericolosa.
Prego pertanto l’Ill.mo Direttore di pubblicare il contenuto di questa richiesta, e confidando in un favorevole riscontro, anticipatamente ringrazio».