Terremoto 23 novembre 1980. Editoriale

Una scossa improvvisa, in casa sembrava di stare su di una nave in balia delle onde del mare, ma si trattava della terra ferma che tremava e come tremava. La luna di quella notte aveva un aspetto strano (rossa e grande), dei cerchi la contornavano, quasi un segnale premonitore, un avviso. L’epicentro fu in Irpinia, ma le due Nocera e tutto l’Agro, subirono molti danni. I cittadini uscirono fuori dalle loro abitazioni e trascorsero la notte in ritrovi di fortuna: vetture, baracche, aperta campagna. I soccorsi arrivarono tardi, non c’era la protezione civile, ma arrivò l’esercito ad aiutare la popolazione. Ma tardi, tanto che non si fece attendere l’ira del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Il sud fu letteralmente abbandonato a se stesso per alcuni giorni, poi arrivarono, ma poi. Pertini si recò sui luoghi del disastro il 25 novembre, con parere non favorevole del Governo, retto allora da Forlani. Al Tg2 della Rai, Pertini disse: «Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi». Un terremoto della intensità 10 della scala Mercalli, pari a magnitudo 6,9 della Richter, così dicevano in tv ed é quello che i ragazzini di allora ascoltavano, con gli occhi pieni di lacrime di chi era stato abbandonato; quella generazione non é stata mai risarcita.
Alberto Moravia scrisse: «Ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano ».
Vi fu un solo grido che partí dai quei luoghi: “Fate presto!”.

Giuseppe Colamonaco (uno dei ragazzini terremotati del sud)

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