La tragedia nel 2014
Dopo 10 anni, condannati i colpevoli per la morte del 57enne Andrea Cuomo in via Allende a Salerno, operaio che lavorava ad alcune costruzioni di fronte al porto Marina di Arechi. Questa la sentenza di primo grado (si presuppone la presentazione di appelli quindi il provvedimento giudiziario non è definitivo), che ha visto la condanna quali presunti colpevoli di imprenditori e non solo. Nomi eccellenti alla sbarra: il noto costruttore Antonio Pastore di 64 anni di Salerno è stato condannato a 6 anni e sei mesi di reclusione, la 33enne figlia Annalisa condannata a tre anni e sei mesi, stessa pena per il 57enne colonnello dei carabinieri Francesco Merone, mentre al 72enne Giovanni Luigi Nocera e al 43enne Umberto sono stati inflitti un anno ciascuno.
LA MORTE DELL’OPERAIO
Il 2 dicembre 2014, Andrea Cuomo di Santa Maria La Carità lavorava alla costruzione di una delle torre di via Allende, quando fu colto da una trombosi coronarica. In quel momento stava disarmando alcuni pilastri nel cantiere “Torre Orizzonte due”, quando, a seguito della trombosi cadde da impalcatura che non era protetta, da tre metri di altezza. Per la pm Elena Guarino, l’operaio non sarebbe mai stato sottoposto a visita medica dalla quale si sarebbe potuta diagnosticare la malattia cardiaca che lo rendeva non impiegabile in un lavoro gravoso, all’aperto e in una giornata fredda.
LE IMPUTAZIONI E LE CONDANNE
I due Pastore erano accusati di omicidio colposo e sono stati condannati a tre anni e sei mesi il padre e la figlia a due anni e sei mesi. Per Antonio Pastore vanno aggiunti altri due anni per frode processuale per aver usato violenze e minaccia intimando in modo perentorio e minaccioso agli operai presenti sul cantiere di non rilevare la circostanza, di tempi e di luogo, della caduta oltre che di aver imposto di smontare il ponteggio per sostenere la giustificazione che l’operaio si era accasciato all’improvviso senza essere su impalcature. Sono caduti in prescrizione le imputazione di abusi edilizio in capo ai due Nocera (il figlio Umberto nella qualità di amministratore unico della Panorama srl, era l’unica contestazione) e ai due Pastore perché avrebbero realizzato alcune opere in assenza del permesso per costruire, tranne un’accusa per i quali questi quattro sono stati condannati a un anno di reclusione per aver eseguito i lavori in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico (pena sospesa per i due Nocera).
IL COLONNELLO IMPUTATO
Francesco Merone è stato una delle punte di diamante degli investigatori salernitani nel tra il 2010 e il 2015, poi andato a comandare il comando provinciale di Avellino e poi in Calabria. A Salerno aveva ottenuto importanti successi investigativi come comandante del Reparto operativo. Era anche il vicepresidente della cooperativa edilizia La Fidelitas della quale Nocera era direttore dei Lavoratori eseguiti in subappalto dalla ditta gestita di fatto da Antonio Pastore. In questa triste storia era imputato perché al momento della caduta di Cuomo sarebbe stato presente nel vicino cantiere e, da ufficiale dei carabinieri, non avrebbe impedito la presunta alterazione dei luoghi commesso da Antonio Pastore, avrebbe omesso di riferire il tutto ai colleghi della stazione di Salerno Mercatello e al pm intervenuti sul posto. In totale la condanna è stata di 3 anni e mezzo per l’elusione delle indagini, mentre è stato assolto per la restante parte.
I RISARCIMENTI DEI DANNI
La Pastore & co. dei fratelli Pastore è stata condannata al pagamento di 100 mila euro ai familiari della vittima. I due Pastore condannati al risarcimento dei danni nei confronti dei cinque congiunti con una provvisionale di 50mila euro ciascuno per tre di loro e 25mila per il quarto e di 5mila euro alla Fillea Cgil, assistito dagli avvocati Aldo Avvisati e Domenico Di Criscio. I due Pastore e Merone sono stati condannati al risarcimento delle costituite parti civili.
Il pm di udienza aveva chiesto 4 anni di reclusione per Merone, la pena più alta, 3 anni ciascuno per i Pastore e due anni l’uno per i due Nocera.
L’avvocato Avvisati ha così commentato la sentenza: «Esprimiamo cauta soddisfazione per la sentenza, seppure a dieci anni di distanza dai fatti. Nell’attesa di leggere le motivazioni della sentenza nel processo, è possibile affermare che la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro, a cui la normativa prevenzionale tende, passa, sì, attraverso la leva dell’informazione e della formazione, ma anche dalla scelta di intervenire, attraverso la costituzione di parte civile, in quei processi, purtroppo ancora numerosi, che vedono i lavoratori vittime di lesioni, se non addirittura della perdita della vita, a causa di condotte che violano le norme poste espressamente a tutela degli stessi».