Case di comunità per la salute, il rischio che rimangano involucri vuoti

Il parere di Alfonso Schiavo, primario di medicina interna all’ospedale di Sora dell’Asl Frosinone, ex candidato sindaco a Nocera Inferiore, già assessore e consigliere comunale, che ha lavorato all’Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona

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Le “case di comunità” sono il tentativo di ridurre l’accesso al Pronto soccorso dei codici bianchi e verdi; sulla carta va tutto bene, ma nella pratica clinica il Pronto soccorso rimane, nell’immaginario collettivo oltre che nella sostanza, il punto “più affidabile” dove chiedere risoluzione ai propri problemi di salute.

La criticità maggiore rimane la carenza di medici oltre che di professionisti della salute; ciò è figlio non tanto del numero chiuso ma delle politiche dei “rientri” che negli ultimi 20 anni sono state tatuate. Oggi l’ospedaliero ha una età media di 55 anni e scapperebbe, se potesse, a fare lavori meno gravosi e meno a rischio di rivale. Ogni altra produzione di manufatti rischia di creare involucri “vuoti”.
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Politiche più accorte, votate a considerare maggiormente le criticità lavorative dei medici, in specie i dipendenti del Sistema sanitario nazionale, potrebbero aumentare l’appeal degli ospedali, attualmente molto scarso come dimostrano vari studi dei sindacati e di “Gimbe”, scongiurando “la fuga” dal ruolo di dipendente e contribuendo a offrire all’utenza, con le strutture già presenti, un’assistenza degna del volume di Irpef che i lavoratori versano ogni mese.
Alfonso Schiavo

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