«La giostra si è fermata», agli arresti due imprenditori e sospeso un commercialista

Operazione della guardia di finanza di Pesaro a Cava de’ Tirreni, Salerno e Pontecagnano

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«La giostra si è fermata», con questa operazione della procura europea e della guardia di finanza di Pesaro sono state arrestate tre persone e una quarta sospesa dall’albo dei commercialisti per una truffa al Pnrr tra le Marche e la provincia di Salerno.

In carcere è finito solo il 53enne Oreste D’Ambrosio di Salerno, ma residente a Cava de’ Tirreni, mentre agli arresti domiciliari sono andati il 63enne Eduardo Cesar Casio Gallardo di Senigallia e 59enne Raffaele D’Ambrosio di Pontecagnano. Sospeso dall’albo dei commercialisti Paolo Lucibello di Cava de’ Tirreni.
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LE INDAGINI
I Finanzieri marchigiani hanno anche eseguito sequestri preventivi a carico degli stessi quattro indagati e di due società per un ammontare di circa 491 mila euro. Già a lavoro i legali dei quattro indagati, tra i quali l’avvocato Michele Sarno. L’inchiesta ha consentito anche di bloccare illecite richieste di finanziamenti Pnrr per oltre 15 milioni di euro.
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Il Nucleo di polizia economico-finanziaria di Pesaro hanno cominciato ad indagare su una srl avente sede formalmente nella città marchigiana, beneficiaria di finanziamenti agevolati e garantiti dallo Stato e dall’Unione Europea riconducibile ad un uomo che risultava essere amministratore e socio unico. Poi, le indagini estese hanno individuato ulteriori casi analoghi di agevolazioni pubbliche richieste ed in parte ottenute mediante simili condotte di frode a favore di altre società con sedi legali nelle province di Ravenna e Bolzano.

Il quadro complessivo così delineato ha evidenziato, a carico degli indagati, ben 15 casi di truffa aggravata attraverso numerose richieste di finanziamenti alle imprese italiane nel percorso di internazionalizzazione, poi bloccati.
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LE SCATOLE VUOTE
Gli indagati avrebbero creato scatole vuote, prive di qualsiasi operatività commerciale e finanziaria, con sedi legali ed unità locali totalmente inesistenti o riconducibili a servizi di mera domiciliazione societaria, mantenute in vita appositamente per frodare gli Enti preposti all’erogazione del denaro pubblico.

Le società utilizzate, di fatto, non avevano mai presentato le dichiarazioni fiscali, alcune addirittura da oltre 20 anni, ma gli indagati si premuravano di creare “a tavolino” almeno due bilanci d’esercizio totalmente falsi che esponevano ricavi milionari, li depositavano telematicamente al Registro Imprese, realizzando così il delitto di false comunicazioni sociali. Poi avrebbero presentato a una serie di richieste di finanziamenti garantiti dallo Stato o con fondi europei, sostenendo di voler internazionalizzare l’impresa, sviluppare il commercio elettronico o per inserirsi nei mercati esteri, ma sarebbe stata una truffa.

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