Nuove vittime emergono dallo scavo dei Casti Amanti. Non fu solo l’eruzione a causare la morte degli abitanti dell’area ma anche un terremoto concomitante
Subbuglio, confusione, tentativi di fuga e nel mentre terremoto, lapilli, correnti turbolente di cenere vulcanica e gas caldi. Fu l’inferno dell’eruzione del 79 d.C. Quello in cui si trovarono gli abitanti dell’antica città di Pompei, tra cui le ultime due vittime, di cui sono stati rinvenuti gli scheletri durante uno scavo nell’Insula dei Casti Amanti.
Vittime di un terremoto che ha accompagnato l’eruzione, ritrovate sotto il crollo di un muro avvenuto tra la fase finale di sedimentazione dei lapilli e prima dell’arrivo delle correnti piroclastiche che hanno definitivamente sepolto Pompei costituiscono la testimonianza sempre più chiara che, durante l’eruzione, non furono solo i crolli associati all’accumulo dei lapilli o l’impatto delle correnti piroclastiche gli unici pericoli per la vita degli abitanti dell’antica Pompei, come gli scavi degli ultimi decenni stanno sempre più investigando.
L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., inizia nella mattinata di un giorno autunnale, ma solo intorno alle 13:00 comincia la cosiddetta fase “Pliniana” durante la quale si forma una colonna eruttiva, alte decine di chilometri, dalla quale cadono pomici. Questa fase è seguita da una serie di correnti piroclastiche che sedimentano depositi di cenere e lapilli. I fenomeni vulcanici uccisero chiunque si fosse ancora rifugiato nell’antica città di Pompei, a sud dell’odierna Napoli, togliendo la vita ad almeno il 15-20% della popolazione, secondo le stime degli archeologi. Tra le cause di morte anche il crollo degli edifici, in alcuni casi dovuto a terremoti che accompagnarono l’eruzione, si rivelò una minaccia letale.
Gli scheletri sono stati ritrovati nel corso del cantiere di messa in sicurezza, rifacimento delle coperture e riprofilatura dei fronti di scavo dell’Insula dei Casti Amanti, che sta prevedendo anche degli interventi di scavo in alcuni ambienti. Giacevano riversi su un lato, in un ambiente di servizio, al tempo in dismissione per probabili interventi di riparazioni o ristrutturazione in corso nella casa, nel quale si erano rifugiati in cerca di protezione.
I dati delle prime analisi antropologiche sul campo – pubblicati nell’E-journal degli scavi di Pompei – indicano che entrambi gli individui sono morti verosimilmente a causa di traumi multipli causati dal crollo di parti dell’edificio. Si trattava probabilmente di due individui di sesso maschile di almeno 55 anni.
Durante la rimozione delle vertebre cervicali e del cranio di uno dei due scheletri, sono emerse tracce di materiale organico, verosimilmente un involto di stoffa. All’interno sono state trovate, oltre a cinque elementi in pasta vitrea identificabili come vaghi di collana, sei monete. Due denari in argento: un denario repubblicano, databile alla metà del II sec. a.C., e un altro denario, più recente, da riferire alle produzioni di Vespasiano. Le restanti monete in bronzo (due sesterzi, un asse e un quadrante), erano anch’esse coniate durante il principato di Vespasiano e pertanto di recente conio.
“Il ritrovamento dei resti di due pompeiani avvenuto nel contesto del cantiere in opera nell’Insula dei Casti Amanti dimostra quanto ancora vi sia da scoprire riguardo la terribile eruzione del 79 d.C. e conferma l’opportunità di proseguire nelle attività scientifiche di indagine e di scavo. Pompei è un immenso laboratorio archeologico che negli ultimi anni ha ripreso vigore, stupendo il mondo con le continue scoperte portate alla luce e manifestando l’eccellenza italiana in questo settore”, dichiara il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano.
“Le tecniche dello scavo moderno ci aiutano a comprendere sempre meglio l’inferno che in due giorni distrusse interamente la città di Pompei, uccidendone molti abitanti: bambini, donne e uomini. Con le analisi e le metodologie riusciamo ad avvicinarci agli ultimi istanti di chi ha perso la vita. – evidenzia il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – In una delle discussioni di cantiere, durante il recupero dei due scheletri, uno degli archeologi indicando le vittime che stavamo scavando, ha detto una frase che mi è rimasta impressa e che sintetizza forse la storia di Pompei, quando, ha dichiarato: ‘questo siamo noi’. A Pompei, infatti, l’avanzamento delle tecniche non ci fa mai dimenticare la dimensione umana della tragedia, piuttosto ce la fa vedere con più chiarezza.”
Nella stanza in cui giacevano i corpi sono emersi anche alcuni oggetti, quali un’anfora verticale appoggiata alla parete nell’angolo vicino a uno dei corpi e una collezione di vasi, ciotole e brocche accatastata contro la parete di fondo. La cosa più impressionante è l’evidenza dei danni subiti da due pareti, probabilmente, a causa dei terremoti che hanno accompagnato l’eruzione. Parte della parete sud della stanza è crollata colpendo uno degli uomini, il cui braccio alzato rimanda forse alla tragica immagine di un vano tentativo di proteggersi dalla caduta della muratura. Le condizioni della parete ovest, invece, dimostrano la forza drammatica dei terremoti contestuali all’eruzione: l’intera sezione superiore si è staccata ed è caduta nella stanza, travolgendo e seppellendo l’altro individuo.
L’ambiente adiacente ospita un bancone da cucina in muratura, temporaneamente fuori uso nel 79 d.C.: sulla sua superficie si trova infatti un mucchio di calce in polvere in attesa di essere impiegata in attività edilizie, il che suggerisce che al momento dell’eruzione si stavano effettuando delle riparazioni nelle vicinanze. Lungo la parete della cucina si trova una serie di anfore cretesi, originariamente utilizzate per il trasporto del vino. Sopra il bancone della cucina, le tracce di un santuario domestico sotto forma di un affresco che sembra raffigurare i lares della casa e un vaso di ceramica parzialmente incassato nel muro che potrebbe essere stato utilizzato come ricettacolo di offerte religiose. Accanto alla cucina, inoltre, una stanza lunga e stretta con una latrina, il cui contenuto sarebbe defluito in un canale di scolo sotto la strada.
I dettagli scientifici dello scavo possono essere approfonditi attraverso gli articoli pubblicati sull’E-Journal di Pompei – scaricabile dal sito ufficiale del Parco www.pompeiisites.org – nuova piattaforma digitale rivolta alla comunità scientifica e al pubblico e finalizzata a fornire notizie e relazioni preliminari riguardanti progetti di scavo, di ricerca e di restauro nelle sedi del Parco.
APPROFONDIMENTI – CRONOLOGIA DELL’ERUZIONE
La cronologia degli eventi succedutisi a Pompei durante l’eruzione del 79 d.C. è stata ricostruita coniugando la stratigrafia dei depositi e il resoconto dell’evento fatto da Plinio il Giovane in due lettere inviate a Tacito.
Precursori dell’eruzione
Fenomeni sismici precursori si verificano negli anni e nei giorni che precedono l’eruzione. In particolare, Plinio il Giovane riporta l’accadimento di terremoti per diversi giorni prima dell’inizio dell’eruzione.
L’eruzione
L’eruzione può essere divisa in tre fasi principali: una fase di apertura di breve durata, una seconda fase caratterizzata dalla formazione di una alta colonna eruttiva, dalla quale cadono lapilli e una fase finale caratterizzata dal succedersi di diverse correnti piroclastiche. Queste ultime sono misture di gas e particelle solide ad alta temperatura che scorrono al suolo per effetto della gravità e sono tra i fenomeni vulcanici più distruttivi.
Giorno 1
Durante la mattinata del primo giorno, un’esplosione nel cratere genera una nube di cenere che si espande a est del vulcano ma non raggiunge Pompei. Questa fase rappresenta l’apertura dell’eruzione.
Ore 13:00: Una colonna eruttiva comincia ad innalzarsi sul cratere raggiungendo decine di chilometri di altezza. Questa fase dura in totale circa 18-19 ore. Le eruzioni caratterizzate da questo tipo di fenomeni sono definite “Pliniane” a seguito della perfetta descrizione della forma della colonna eruttiva fatta da Plinio il Giovane. Egli la descrive come un albero di pino il cui tronco si espande nella parte alta in più rami. Ed in effetti le colonne eruttive sono formate da un “tronco”, che si innalza verticalmente in atmosfera, la cui parte sommitale si espande lateralmente in direzione del vento. Poco dopo l’inizio di questa fase e fino alle 20:00, pomici bianche cadono a Pompei accumulandosi sui tetti delle case e nelle strade. In questa fase la colonna eruttiva raggiunge un’altezza massima di 26 km.
A partire dalle 20:00 e fino alle prime ore del mattino del secondo giorno, a causa di una variazione della composizione chimica del magma eruttato, il colore delle pomici varia dal bianco al grigio. In questa fase la colonna eruttiva si innalza ulteriormente raggiungendo un’altezza massima di 32 km. In totale, alla fine della fase Pliniana, lo spessore del deposito di pomici è 2,8 m anche se spessori maggiori (fino a 5 m) posso verificarsi nei vicoli, a causa dello scivolamento dei lapilli lungo le tettoie spioventi, o per il drenaggio delle pomici attraverso i compluvia e successivo accumulo negli impluvia all’interno delle case. L’accumulo di lapilli provoca il seppellimento del piano terra degli edifici e il crollo dei tetti uccidendo i Pompeiani che non avevano tentato la fuga e avevano cercato riparo nelle case. Collassi parziali della colonna eruttiva generano delle correnti piroclastiche, nella notte tra il primo e il secondo giorno dell’eruzione, che però non raggiungono Pompei.
Giorno 2
Ore 7:30: Una prima corrente piroclastica penetra dentro Pompei sedimentando pochi centimetri di cenere immediatamente sopra le pomici grigie. Questa corrente non crea grandi danni. Tra le 07:30 e le 08:00 una nuova breve fase da caduta sedimenta un sottile deposito formato principalmente da frammenti di lava e pomici.
Ore 08:00: Una seconda corrente piroclastica arriva in città. A differenza della precedente, questa corrente è estremamente energetica e violenta, interagisce con la struttura urbana, e segna la definitiva distruzione di Pompei. La parte bassa di questa corrente, ad alta concentrazione, viene incanalata e deflessa dai vicoli mentre la parte alta, più diluita e turbolenta, non risente degli ostacoli e scavalca gli edifici. La violenza dell’impatto di tale corrente piroclastica è testimoniata dagli ingenti danni che provoca. Essa è capace di abbattere pareti perpendicolari alla direzione di scorrimento, lasciando profonde e ampie brecce nei muri, talvolta danneggiando più pareti in sequenza. Questa corrente, inoltre, lascia dietro di sé una scia di morte uccidendo gli abitanti sopravvissuti alla fase di caduta dei lapilli. In alcuni casi, l’ultimo istante di vita delle vittime di questa corrente piroclastica, congelato dalla cenere, è arrivato fino a noi grazie alla tecnica dei calchi ideata da Giuseppe Fiorelli.
Altre correnti piroclastiche si succedono nel corso del secondo giorno dell’eruzione. Esse contribuiscono a seppellire definitivamente una Pompei ormai già completamente distrutta.