VIDEO – L’asfissiante presenza criminale del clan Fezza-De Vivo, a Pagani e nell’Agro

L’inchiesta della Dda spiegata dal procuratore capo Giuseppe Borrelli, dal procuratore aggiunto Luigi Alberto Caccavale, dal questore di Salerno Giancarlo Conticchio, dal generale della Guardia di Finanza Oriol De Luca e dal colonnello dei carabinieri Filippo Melchiorre

La Polizia, i Carabinieri e la Guardia di Finanza hanno eseguito gli arresti e il contestuale sequestro di beni a carico di 25 persone, destinatarie della misura cautelare della custodia in carcere, ad eccezione di un collaboratore di giustizia sottoposto oggi ai domiciliari, in località protetta.

L’INDAGINE
Gli arrestati sono indagati a diverso titolo per associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, estorsione, tentato omicidio, intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio, porto e detenzione illegali di armi, illecita concorrenza con violenza o minaccia, aggravati dal metodo e/o finalità mafiose. Le indagini, condotte dalla squadra mobile di Salerno e dal Reparto Territoriale dei Carabinieri di Nocera, hanno colpito i clan Fezza-De Vivo di Pagani e Giugliano di Poggiomarino organizzazioni capeggiate da soggetti la cui federazione appare costruita attorno a Rosario Giugliano, detto “il minorenne”, grazie agli storici rapporti di alleanza che lo legano ai vertici delle famiglie di maggior spicco della criminalità paganese, a cui appartengono gli arrestati.

Secondo quanto emerso allo stato delle investigazioni e ritenuto dal Gip il clan Fezza-De Vivo, guidato da Francesco Fezza e Andrea De Vivo, dopo aver estromesso Antonio Petrosino D’Auria, anch’esso storico appartenente alla consorteria criminale, ha mantenuto il predominio assoluto sul territorio di Pagani e in buona parte dell’Agro Nocerino Sarnese, controllando il mercato degli stupefacenti, imponendosi con richieste estorsive e riuscendo ad infiltrarsi nell’economia legale in settori particolarmente delicati.

Particolarmente pervasiva sarebbe proprio l’attività posta in essere al fine di inserirsi nel sistema economico. A tal proposito è emblematico quanto avvenuto a partire dal mese di maggio 2020, in corrispondenza del periodo successivo al primo cosiddetto “lockdown”, allorquando il clan avrebbe imposto nel settore delle sanificazioni, con metodi intimidatori e violenti quale il pestaggio di un noto imprenditore concorrente, la cooperativa Pedema, una società gestita dal consociato Alfonso Marrazzo e di fatto controllata, secondo l’odierno quadro accusatorio, dai vertici del sodalizio oggetto di indagine.

Le operazioni condotte nel mercato dell’economia legale sarebbero state favorite anche dall’apporto fornito da Brunone Tagliamonte, commercialista a cui è stata contestata l’ipotesi di concorso esterno, il quale ha costantemente prestato la propria opera professionale favorendo consapevolmente gli interessi economici dell’organizzazione camorristica e dei suoi vertici. La sua condotta si sarebbe estrinsecata in particolare in consulenze economico-finanziarie finalizzate ad occultare e a reinvestire i proventi illegalmente accumulati.

Altre importanti operazioni commerciali poste in essere dal clan avrebbero riguardato l’effettiva acquisizione di attività commerciali e, ancora, il progetto – poi non portato a termine, ideato e condotto unitamente a Rosario Giuliano – di infiltrazione nel consorzio di gestione dei servizi all’interno della zona industriale del Comune di Nocera Inferiore. Il clan Fezza-De Vivo avrebbe favorito il reimpiego dei proventi illecitamente accumulati ideando un sistema di trasferimento del denaro all’estero, precisamente in Spagna, ove ha altresì avviato un’attività del tipo bar-pasticceria.

Nella imputazione accusatoria l’organizzazione criminale capeggiata da Francesco Fezza e Andrea De Vivo non ha comunque abbandonato la tradizionale attività estorsiva, strumento di imposizione sul territorio e di esibizione della propria presenza. Sono stati documentati verosimili episodi, in forma consumata o tentata, nel corso dei quali appartenenti al clan hanno operato per sottrarre alle vittime la proprietà di locali e di attività commerciali, in un caso chiedendo inizialmente addirittura una somma pari a 100mila euro ad un facoltoso imprenditore affinché lo stesso potesse continuare ad esercitare la propria attività sul territorio di influenza del clan.

L’ALLEANZA CON ‘O MINORENNE
L’unione con Rosario Giugliano — perno della neonata confederazione risalente all’anno 2020 — ha poi permesso al clan Fezza-De Vivodi aumentare la propria forza criminale. Lo storico camorrista, soprannominato “il minorenne” in ragione della sua appartenenza criminale risalente all’epoca in cui non aveva ancora raggiunto la maggiore età, faceva infatti parte dell’associazione camorristica capeggiata da Carmine Alfieri e, in particolare, della sua articolazione riferibile a Pasquale Galasso.

Nella sua carriera criminale ha riportato numerosissimi precedenti penali e di polizia, tra i quali emergono — oltre all’associazione per delinquere di stampo mafioso — i reati di omicidio doloso, ricettazione, tentato omicidio e rapina. É stata certificata la sua vicinanza a quelli che sono gli attuali referenti di altre organizzazioni criminali, tra cui soggetti appartenenti ai clan Moccia, Mazzerella e Fabbrocino.

Per i fatti ad esso attribuiti ha accumulato condanne per complessivi 227 anni, 7 mesi e 28 giorni di reclusione. Giuliano, scarcerato nei primi mesi del 2020, ha fissato il proprio domicilio a Pagani. Nonostante la distanza dallo storico centro di interessi, è accusato di aver dato vita ad un’associazione per delinquere di stampo camorristico generata nel Comune di Poggiomarino e capace di imporsi nei Comuni di Pagani, San Marzano sul Sarno, Scafati e di altri Comuni limitrofi dell’Agro Nocerino Sarnese.

Per farlo avrebbe sfruttato l’opera, tra gli altri, di suo cognato Francesco Sorrentino “Giotto” anch’egli già gravato da precedenti penali per reati di camorra e per omicidio — nonché del figlio della propria compagna, Alfonso Manzella detto “Zuccherino”.

LA CITTÀ DIVISA IN 10 PIAZZE DI SPACCIO
Secondo il gip la forza e la piena operatività della confederazione hanno trovato espressione in alcune vicende documentate dalle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno. Sarebbe stato infatti proprio l’accordo tra i promotori delle due organizzazioni criminali a determinare un’inversione di rotta nella gestione del mercato degli stupefacenti, il cosiddetto “sistema” attraverso cui, stando all’impianto indiziario ritenuto valido dal Giudice cautelare, il sodalizio autoctono paganese controllava almeno 10 diverse piazze di spaccio censite sul territorio di Pagani e a Nocera Inferiore, dapprima imponendo le proprie forniture con la violenza e l’intimidazione.

Dalla fine del 2020, ritenendo eccessivamente pericoloso occuparsi direttamente della fornitura di tutte le piazze di spaccio, il “sistema”, conformandosi all’autorevole consiglio impartito dal Giuliano e – stando alle risultanze investigative – partecipando tale propria decisione ai gestori appositamente convocati, avrebbe preferito invece consentire loro di acquistare liberamente le partite di stupefacente, a condizione, però, che mensilmente venisse versato il rateo estorsivo a favore del clan. E ancora, l’esistenza di una comunione di interessi è emersa, nella ricostruzione accolta allo stato dal gip, in relazione al tentato omicidio di Chiavazzo Domenico, titolare di fatto della cooperativa di logistica denominata OMEGA Service.

LA TENTATA ESTORSIONE E IL TENTATO OMICIDIO DI CHIAVAZZO AD ANGRI
Il clan Fezza-De Vivo, concorrendo con Rosario Giugliano e accoliti della sua organizzazione, avrebbe tentato di ottenere da parte di Domenico Chiavazzo il pagamento di una somma di denaro pari a 200.000 curo. L’escalation di intimidazioni e violenze, esercitate nei confronti del destinatario della richiesta, avrebbe raggiunto il suo apice il 25 maggio 2020, allorquando Alfonso Manzella e Nicola Liguori, nei confronti dei quali si è proceduto già nell’immediatezza del fatto, avrebbero materialmente eseguito l’agguato armato ai danni dello stesso Chiavazzo provocandone il ferimento.

In relazione a questi fatti Rosario Giugliano, con il provvedimento odierno, è stato indagato sia poiché ritenuto il mandante del tentato omicidio sia per gli ulteriori reati di detenzione e porto delle armi utilizzate in quell’occasione. Le attività condotte nel corso delle indagini dall’Arma dei Carabinieri e dalla Polizia di Stato avevano consentito di ricostruire anche un altro tentato omicidio avvenuto nel mese di aprile 2021 verosimilmente ad opera della compagine camorristica facente capo a GIUGLIANO Rosario. All’epoca è stato infatti eseguito il fermo di Giugliano e di Nicola Francese, poi condannati con rito abbreviato, ritenuti responsabili per l’agguato armato che aveva portato al grave ferimento di Carmine Amoruso.

Nella ricostruzione, allo stato ritenuta fondata, la vittima, ex collaboratore di giustizia, era stato colpito dall’azione armata in quanto ritenuto responsabile dal “minorenne” di aver cercato di imporsi con il proprio gruppo criminale nella gestione della vendita di sostanze stupefacenti e nel mercato delle estorsioni nei Comuni di Sarno, Scafati e San Marzano sul Sarno fino a tentare di arrivare alla città di Salerno, cercando così di scalzare il gruppo criminale capeggiato dallo stesso Giugliano. L’attuale misura è stata applicata ad alcuni appartenenti al clan poiché indagati anche per la detenzione ed il porto delle armi utilizzate in quell’occasione.

Sono stati infine documentati episodi estorsivi di cui si ritiene responsabile il gruppo facente capo a Gliugliano, attività illecite gestite dal capo clan anche dopo l’arresto e nonostante le limitazioni imposte dalle restrizioni carcerarie. stato infatti ritenuto che alcuni imprenditori, le cui società insistono nei territori di influenza dei clan, sono stati costretti a versare ratei estorsivi, di importo oscillante tra i 3.000 e i 5.000 euro, con cadenza mensile ed in corrispondenza delle trascorse festività pasquali.

I SEQUESTRI
i Finanzieri del Comando Provinciale di Salerno stanno dando esecuzione anche ad un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca “allargata” nei confronti degli indagati, avente ad oggetto beni immobili, autoveicoli, rapporti di conto corrente e complessi aziendali per un valore stimato, in via prudenziale, in circa 1 milione. Sono in corso, altresì, perquisizioni locali e domiciliaci finalizzate alla ricerca di stupefacente e denaro contante, con il supporto tecnico e l’impiego di unità cinofile specializzate delle tre Forze di Polizia.

Le investigazioni economico-patrimoniali hanno permesso di ipotizzare una sproporzione tra il reddito dichiarato ai fini fiscali e il valore dei beni detenuti dagli indagati, anche per il tramite dei loro familiari, tale da far ritenere il patrimonio cautelato provento di attività illecite. Sulla base degli elementi investigativi raccolti, è stato attivato un ordine di indagine europeo, attraverso il canale Eurojust, allo scopo di individuare ulteriori asset localizzati in Spagna sempre riconducibili agli indagati.

La cooperazione giudiziaria promossa ha consentito di risalire a 5 aziende spagnole operanti nei settori di commercio e noleggio di autoveicoli, produzione prodotti di pasticceria e pane, import-export di prodotti tessili nonché commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi. In particolare, sono stati sottoposti a sequestro sul territorio nazionale 15 soggetti economici (bar, una società operante nel settore dei rifiuti, attività di rivendita prodotti alimentari, imprese agricole, etc.), 24 veicoli e 6 unità immobiliari. Sono in corso approfondimenti su 210 rapporti bancari intestati agli indagati finalizzati a sottoporre a vincolo cautelare disponibilità finanziarie di provenienza illecita.

loading ads