“Ricordati di coloro che sono morti nella pace del tuo Cristo, e di tutti i defunti, dei quali tu solo hai conosciuto la fede” (Cfr. Liturgia, Preghiera Eucaristica IV). Messaggio del vescovo Giuseppe Giudice della diocesi di Nocera Inferiore – Sarno
“Carissimi, in occasione della commemorazione dei fedeli defunti, offro alla vostra meditazione una bella riflessione di Sant’Agostino sul rispetto che bisogna avere per il corpo dei defunti; e una filastrocca di Maria Albina Scavuzzo, La notte dei morti, che può essere insegnata anche ai nostri piccoli.
“Non bisogna disprezzare e gettare via i corpi dei defunti, soprattutto di quelli buoni e fedeli; di essi si servì lo Spirito come di strumenti e di attrezzi per compiere santamente ogni opera buona. Se infatti un abito del padre, un suo anello e tutte le altre cose di questo genere sono molte care a quelli che vivono dopo, quanto maggiore deve essere l’affetto verso i genitori!
Non ne dobbiamo in nessun modo disprezzare i corpi, che ci sono certamente più familiari e congiunti di qualsiasi abito che portiamo. I loro corpi non concernono l’ornamento o l’aiuto, che si applicano dall’esterno, ma riguardano la natura stessa dell’uomo.
Di conseguenza i funerali delle persone di alta nobiltà spirituale anticamente furono celebrati con una premurosa cura piena di deferenza; le cerimonie funebri ebbero solennità e furono preparate con sollecitudine; gli stessi genitori, quando erano ancora in vita, diedero ai figli disposizioni sulla propria sepoltura e sul trasporto dei loro cadaveri.
Anche Tobia viene apprezzato perché, seppellendo i morti, si guadagnò la benevolenza di Dio come attesta l’angelo (cfr Tb 2,9; 13,12). Ed anche lo stesso Signore che sarebbe risorto il terzo giorno, parla in termini elogiativi, e dispone che così se ne parli, dell’opera buona della donna, che versò sulle sue membra un unguento prezioso in vista della sua sepoltura (cfr Mc 14,3-9; Gv 12,3-7) (S. Agostino, De cura pro mortuis, 5).
La notte dei morti di Maria Albina Scavuzzo
Non è triste la notte dei morti
per quelli che sono andati via
da questa Terra. Vanno pei cieli,
degli Angeli in compagnia.
Vanno cantando e tenendosi per mano
per le strade lucide di stelle,
camminano vicini piano piano,
narrandosi le cose più belle.
Ricordano le gioie e le vittorie,
ricordano le conquiste e le glorie.
Sono santi e soldati, mamme e papà,
nonni e nonne e poi… chissà, chissà…
Uomini di tutte le professioni,
di tutti i tempi e di tutte le nazioni.
E una speranza c’è in noi, quaggiù:
di ritrovarli ancora lassù, lassù!
Abbiamo tanto bisogno in un momento di confusione e di esasperazione dei diritti individuali di ritornare su questi temi, di cui difficilmente si parla. Ritorniamo pensosi e meditabondi nei nostri cimiteri, in modo speciale nel mese di novembre, da sempre dedicato alla memoria dei nostri cari defunti. Il cimitero è terra santa, luogo di silenzio e di preghiera, spazio pubblico benedetto; e quante volte vi ho ripetuto che la civiltà di un popolo si giudica soprattutto da come sono curati i cimiteri.
Educhiamo i piccoli al rispetto, alla preghiera, alla visita al camposanto, a gesti di carità, e non ci omologhiamo ad una cultura che, mentre fa del tutto per nascondere la morte, poi la presenta in modo macabro e disgustoso in tutte le reti di comunicazione, quasi rubandoci la speranza.
Non così ci hanno insegnato i Santi, che insistevano sull’accettazione della morte, cioè della nostra creaturalità, e sulla capacità di prepararsi nella vita a ben morire. Scriveva Seneca: Tota vita discendum est mori: Per tutta la vita bisogna imparare a morire. E Gesù si prepara alla sua ora con coscienza, libertà e determinazione, in obbedienza al Padre, pur nel combattimento dell’agonia, sudando nel giardino gocce di sangue.
La morte non si cerca, non si invoca, non si produce, ma da credenti va accolta con umiltà. Dio è Amante della vita, e la morte è entrata nel mondo per invidia del nemico: un nemico ha fatto questo (Mt 13,28). Come è lontana la mistica cristiana da certe feste che, scimmiottate da altre culture, stanno invadendo e spiazzando i nostri giorni di novembre dedicati ai morti e, spesso, anche i nostri luoghi formativi dando spazio ad un commercio sfrenato, che apre a derive preoccupanti dal punto di vista educativo.
E mentre la Chiesa, premessa la fede nella risurrezione della carne, permette oggi la cremazione, siamo invitati a non venerare le ceneri disperdendole o conservandole tra i barattoli delle nostre case, cose tra cose, con il rischio di essere buttate nella spazzatura alla prima distrazione, o al venir meno degli stessi congiunti.
Invece, il luogo santo rimane là, spazio pubblico e per tutti; e ci consola il fatto che, anche quando non ci saremo, qualche povero prete vi celebrerà una messa, porteranno dei fiori innaffiati dalle lacrime degli uomini, alcuni bambini con i genitori giocheranno tra le tombe e tra la vita e la morte ancora si incontreranno per indicarci la meta finale, il Cielo, il Paradiso. Ed anche chi non crede, o appartiene ad altri credi religiosi, beneficerà della visita di tanti pellegrini che, forse in modo furtivo, getteranno lo sguardo verso quelle tombe.
Ritorniamo ai cimiteri, luoghi pubblici per fare memoria dei resti dei nostri cari, e luoghi di preghiere e di silenzio, dove ci viene ricordata una legge che, scritta su tante lapidi, non possiamo eludere: Ieri eravamo come siete voi; sarete come siamo noi ora. Preghiamo e meditiamo, come figli della Risurrezione e discepoli della Pasqua di Cristo, che è morto e risorto per noi per consegnarci alla Speranza che non muore”.