A stabilirlo il Consiglio di Stato. Le motivazioni della decisione
“Contrariamente alla tesi di parte appellata, le scelte operate dal Presidente della Regione e tradottesi nelle contestate ordinanze risultano tutte fondate su un’adeguata istruttoria tecnico-scientifica, improntate a un legittimo (anche se, come è fisiologico, opinabile sul piano politico e del merito) criterio prudenziale di prevenzione e di rigore nel tentativo di mitigare e contenere il dilagare della pandemia, e dunque basate su una non manifestamente irrazionale e illogica scelta discrezionale (connotata, data la gravità dell’emergenza e la pervasività dei conseguenti provvedimenti emergenziali, da discrezionalità politico-amministrativa, e non solo tecnico-scientifica). L’adeguatezza dell’istruttoria tecnico-scientifica a supporto di tutte le misure adottate è stata del resto assicurata dall’Unità di Crisi appositamente costituita.
In questo contesto, una generica contestazione di carenza di istruttoria, di violazione del principio di ragionevolezza per mancata ponderazione e bilanciamento dei diritti, principi, interessi e valori costituzionali, prima ancora che infondata, si appalesa inammissibile, poiché implica una impossibile sostituzione di questo Organo giudicante agli organismi tecnico-scientifici, non solo nazionali, deputati a valutare i rischi connessi alla pandemia e l’appropriatezza e la convenienza-opportunità delle misure via via introdotte”. Con queste parole, il Consiglio di Stato ha definitivamente deciso che i ricorsi dei comitati contro la Dad non avevano alcun motivo di esistere.
Coi contagi da Covid in crescita esponenziale, nel dicembre 2020 la Regione Campania aveva chiuso le scuole e disposto le lezioni a distanza, ma i genitori si erano opposti, impugnando davanti al Tar le ordinanze firmate dal presidente Vincenzo De Luca.
Il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza del tribunale amministrativo regionale campano che nel novembre 2021 aveva dato ragione ai genitori che volevano i loro figli a scuola in presenza. In base a quella pronuncia molte famiglie si erano dichiarate anche pronte a chiedere risarcimenti alla Regione. Ma il ricorso al grado superiore di giudizio ha avuto un esito positivo per De Luca e riconosciuto al presidente di non aver compromesso il diritto allo studio.
“È stata prevista una modalità alternativa”, scrivono i giudici della Terza Sezione del Consiglio di Stato, “che meglio si conciliasse con la gravissima crisi pandemica mondiale in una ottica di equilibrata ponderazione di contrapposti interessi, a salvaguardia del primario valore della salute dell’intera popolazione regionale”.
I giudici contestualizzano i provvedimenti, riferendosi a un periodo in cui anche la conoscenza del fenomeno pandemico era “scarsa”. “Nel decidere la momentanea chiusura delle scuole e la didattica a distanza – si legge nella sentenza – il presidente della Regione Campania ha considerato non solo la gravità della epidemia in atto, ma anche l’intero contesto, e quindi l’utilizzo dei mezzi di trasporto, l’affollamento per le vie dei ragazzi che si recano a scuola, la situazione dei locali, degli edifici scolastici, se consentivano o meno il distanziamento”.
Vengono quindi recepiti i rischi “non conosciuti, ne’ prevedibili” alla base dei provvedimenti adottati. “Con le nostre ordinanze ci siamo assunti la responsabilità”, commenta De Luca, “perché su certe situazioni o facciamo le cose comode o facciamo cose che ci pare giusto fare. Poi si può ragionare su opinioni diverse, ma muoviamoci su quello che riteniamo giusto per evitare che la società vada a rotoli. Questa sentenza è una buona notizia, mi avevano chiesto anche un risarcimento”.
I TRATTI SALIENTI DELLA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA
I primi due punto sono problemi di rilievo tecnico giuridico sul ricorso in sé e possono essere omessi in questa sede. Nel merito questa la motivazione della decisione:
“3. Con il primo motivo la Regione Campania afferma l’omesso esame, da parte del giudice di primo grado, delle eccezioni di inammissibilità del ricorso, che erano state sollevate in primo grado.
Vale preliminarmente chiarire che le eccezioni sollevate sono di carenza ab origine di interesse mentre il Tar Napoli ha rilevato che la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione di merito non esonerava il giudice dall’esaminare il ricorso, stante l’interesse ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a. alla decisione; la presenza della espressa riserva di azione risarcitoria, contenuta negli atti di ricorso, impone infatti di convertire l’originaria domanda impugnatoria in domanda di accertamento dell’illegittimità degli atti medesimi ai fini risarcitori.
Tale capo di sentenza non è stato impugnato, con la conseguenza che il Collegio non è chiamato a verificare se effettivamente il mero richiamo all’interesse risarcitorio fosse sufficiente ad indurre il Tar a passare all’esame del merito.
Vale aggiungere che l’omesso esame di una domanda non comporta la regressione del giudizio al primo grado, prevista in ipotesi tassative dall’art. 105, comma 1, c.p.a., ma impone al giudice dell’appello, per l’effetto devolutivo, di esaminarne il contenuto (Cons. St., A.P., 30 luglio 2018, n. 10; id., sez. III, 20 aprile 2021, n. 3182). Detto principio vale a maggior ragione per le eccezioni, peraltro quasi tutte rilevabili d’ufficio anche in secondo grado.
Tutto ciò chiarito si ritiene di poter prescindere dall’esame del primo motivo di appello, che non affronta il cuore del problema, stante la fondatezza del secondo e terzo, che per ragioni di ordine logico possono essere vagliate congiuntamente perché entrambi volti a censurare il capo della sentenza del giudice di primo grado che, in poche battute, ha giudicato illegittime le ordinanze del Presidente della Regione Campania n. -OMISSIS- perché non avrebbero motivato il ricorso ad un regime più restrittivo di quello imposto dal Governo nazionale.
Va premesso – richiamando quando già chiarito con il decreto cautelare -OMISSIS-intervenuto sulla vicenda contenziosa all’esame del Collegio – che in presenza di istruttoria conforme ai principi di attualità e completezza, deve essere riconosciuto il potere di ciascun Presidente regionale di adottare provvedimenti più restrittivi rispetto a quanto prevede il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per la “zona di rischio” in cui la Regione Campania è inserita.
Chiarito il rapporto tra decreto governativo e ordinanze presidenziali regionali, l’istruttoria disposta nel citato decreto dal Presidente della Sezione terza del Consiglio di Stato ha dato atto che l’Unità di Crisi nella riunione del 14 novembre 2020 ha chiarito come per le scuole di infanzia e per la prima classe della scuola primaria è necessario, prima della riapertura graduale, un monitoraggio della curva epidemiologica; solo dopo tale verifica e previa attività di “screening dei relativi contesti, rivolte in particolare al personale docente e non docente interessato ed ai bambini” e ove lo si ritenga “indispensabile” per le famiglie e per i minori, sarà possibile la graduale ripresa in presenza; invece, per tutti gli altri ordini e gradi scolastici e per i laboratori, la situazione registrata (alla data del 14 novembre 2020) ha indotto l’unità di crisi a ritenere necessaria la didattica a distanza ancora per due settimane.
A tali conclusioni l’Unità di Crisi è pervenuta attraverso un puntuale esame dei dati registrati che hanno visto un incremento del contagio, che “ha evidenziato una modalità di diffusione di carattere pervasivo, che ha visto, a differenza della fase 1 della pandemia (marzo-aprile 2020), l’esteso coinvolgimento di fasce di età più giovani, con particolare riguardo alle fasce d’età tra i 20 ed i 59 anni e, a seguire le fasce in età scolare (1-19 anni)”. Ha ancora evidenziato l’Unità di Crisi che “nonostante l’adozione di tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza negli ambienti scolastici (interventi dei Dipartimenti di Prevenzione, referenti scuole, termo-scanner, procedure di sicurezza anti-Covid) nelle fasce d’età scolare (1-5, 6-10, 11-13, 14-18), in diversi ambiti regionali si è registrato, nel periodo di apertura in presenza delle scuole, un significativo incremento dei casi di contagi”.
Dopo la sospensione dell’attività didattica l’incremento dei contagi nell’età scolare è inferiore rispetto a quello degli adulti, anche se aumenta con il passare del tempo pur con le scuole chiuse.
L’Unità di Crisi ha precisato che “I dati monitorati dall’Unità di Crisi sulla base del rilevamento quotidiano dalla piattaforma regionale Sinfonia evidenziano che, a partire dal 21 ottobre 2020, la disposta sospensione dell’attività 5 didattica in presenza non ha provocato segni di flessione della curva epidemica nella fascia di età tra 14 e 18 anni, cui sono peraltro riferiti comportamenti sovrapponibili a quelli dell’età adulta, caratterizzati da una libera circolazione degli individui con momenti di aggregazione sociale, al pari di quanto registro nelle fasce di età superiori.
Nelle altre fasce d’età (1-5, 6-10 e 11-13), l’aumento dell’incidenza risulta invece molto più contenuto rispetto a quello relativo alle settimane successive all’inizio della didattica a distanza, in particolare tra i bambini delle scuole materne e primarie e tale dato è tanto più significativo ove si tenga conto del notevole tasso di incidenza registrato nelle ultime settimane tra le restanti fasce di popolazione.
Tale effetto, connesso alle misure adottate, ha inciso positivamente, contribuendo a ridurre la percentuale complessiva dei positivi rispetto al numero di tamponi effettuati, correlabile senza dubbio alla minore frequenza di occasioni di contagio intra ed extra scolastico (trasporti, individuali e collettivi, assembramenti in luoghi di pertinenza delle scuole)”.
“L’Unità di Crisi ritiene che debbano essere confermate le decisioni fin qui assunte in considerazione:
a) dell’effetto moltiplicatore connesso alle attività intra ed extra scolastiche nella trasmissione dei contagi;
b) del peculiare contesto campano caratterizzato nell’area metropolitana di Napoli da una densità abitativa tra le più alte in Europa;
c) delle difficoltà delle misure di “tracciamento” del virus per la preponderante presenza di casi asintomatici; d) 1 Conferenza Stato Regioni 8 – Prevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale dell’aumentata generale pressione sul sistema sanitario; e) dell’attesa incidenza della sindrome influenzale per il periodo novembre-dicembre”.
L’Unità di Crisi, quindi, ha confermato la correttezza delle ordinanze del Presidente della Regione Campania n.-OMISSIS-, non giudicando eccessiva la misura prudenziale adottata.
Rispetto a quanto chiarito dal soggetto preposto, nel periodo di emergenza Covid-19, ad individuare le misure necessarie per il contenimento dei contagi, non valgono le argomentazioni spese, soprattutto in primo grado, dall’appellato, secondo cui i ragazzi, ove fosse stata confermata la didattica in presenza, avrebbero avuto meno possibilità di contagiarsi; le alternative alla scuola, considerata “luogo protetto”, – id est, la casa con la famiglia, i bar e i luoghi di ritrovo della città – rappresentavano certamente un maggior focolaio di contagi. Si tratta di assunti non supportati da sufficienti prove, a fronte dei dati offerti dall’Unità di Crisi e della considerazione che, nel primo periodo di emergenza Covid-19, il Governo centrale e quelli locali miravano a limitare il più possibile gli spostamenti.
Analoga conclusione vale per le successive ordinanze presidenziali (n. 95 del 7 dicembre 2020; n. 1 del 5 gennaio 2021 e n. 2 del 16 gennaio 2021), anch’esse supportate da uno studio della Unità di Crisi, debitamente richiamato nelle ordinanze – e non smentito, con sufficienza documentazione probatoria, dall’appellato – che attesta come l’apertura delle scuole abbia comportato un aumento dei contagi nelle varie fasce di età interessate mentre la misura della didattica a distanza ha portato ad una flessione positiva dei contagi tra gli studenti; di contro, i dati sino ad ora riportati, con le relative misure di contenimento messe in campo dalla Regione Campania mediante le ordinanze restrittive, hanno chiaramente dimostrato come una strategia preventiva, e quindi di analisi previsionale basata anche sulla non presenza nella scuola, abbia avuto un significativo impatto in termini di diminuzione non solo sui casi positivi nella fascia di età scolare, ma anche sui soggetti adulti (ordinanza n. 95 del 7 dicembre 2020).
Si è dato altresì atto che recenti studi hanno suffragato l’efficacia, in una ottica preventiva, di misure di prevenzione e limitazioni delle cd. “matrici dei contagi” connesse alla interazione in ambiente scolastico e alle relazioni interpersonali in ambito extrascolastico (ordinanza n. 1 del 5 gennaio 2021, che ha individuato la tempistica per un graduale rientro a seconda della classe); la successiva ordinanza n. 2 del 16 gennaio 2021, preso atto dell’andamento della curva dei contagi, ha previsto di valutare la “graduale apertura di quei contesti scolastici ove il contagio non sembra aver mostrato ripresa evidente in termini di diffusione e relativamente alle fasce di popolazione scolastica meno inclini alle interazioni personali nel contesto scolastico ed extrascolastico.”.
“In definitiva, con riferimento a quanto disposto con ordinanza n. 1 del 5 gennaio 2021, si ritiene che la ripresa in presenza possa avvenire a partire da lunedì 18 gennaio 2021 soltanto con riferimento alla ulteriore terza classe della scuola primaria”. “Per tutte le ulteriori classi (4-5 primaria; secondaria di primo e secondo grado), così come per le attività dei laboratori scolastici e per le attività in presenza di educazione e formazione, anche diverse da quella scolastica, si ritiene necessario prorogare l’attuale regime di didattica a distanza”.
In conclusione, rileva il Collegio che non è configurabile il vizio di difetto di motivazione, che è alla base dell’accoglimento del ricorso disposto dal Tar Napoli. Il giudice di primo grado ha infatti affermato, con poche battute, che una misura extra ordinem quale è quella decisa – in relazione alla didattica in presenza o a distanza – dal Presidente della Regione Campania, avrebbe imposto, per la deroga, una motivazione stringente e rafforzata che desse conto degli elementi di fatto, diversi o sopravvenuti rispetto a quelli considerati dal Governo nazionale, che, quali indici di aggravato rischio, giustificassero il regime più restrittivo, con adeguata ponderazione delle situazioni soggettive contrapposte e, dunque, della compressione dei diritti dei minori nelle more indotta.
Rileva di contro il Collegio che – a fronte di una epidemia il cui dilagare sfuggiva, nella forma e nella rapidità, a qualsiasi forma di controllo e dei dati dell’incremento dei contagi e dei decessi – la Regione, motivando ob relationem agli studi e ai dati quotidianamente recuperati, ben poteva ritenere necessario proseguire con la didattica a distanza.
È bene, infatti, sottolineare che le misure intraprese dal Presidente della Regione non sono state di interruzione del servizio scolastico ma di erogazione in forma diversa e più prudenziale; l’inefficacia di tale diversa modalità non è stata provata dall’appellato, il quale non è stato in grado di supportare i propri assunti difensivi con la dimostrazione che questa scelta avesse peggiorato il quadro epidemiologico o avesse interrotto per mesi il diritto allo studio. Non è stato quindi compromesso il diritto allo studio ma ne è stata prevista una modalità alternativa, che meglio si conciliasse con la gravissima crisi pandemica mondiale in una ottica di equilibrata ponderazione di contrapposti interessi, a salvaguardia del primario valore della salute dell’intera popolazione regionale.
Occorre invero collocare realisticamente la valutazione giuridica delle impugnate ordinanze nel loro effettivo e proprio contesto cronologico di riferimento. In tal senso non può non considerarsi che nel primo anno della pandemia, nel 2020, la assoluta novità e l’inusitata gravità di questa emergenza globale, nonché la ancora scarsa conoscenza di questo fenomeno pandemico, hanno comprensibilmente richiesto l’adozione di misure ordinamentali emergenziali particolarmente rapide e duttili, apparendo, in quel contesto, difficilmente praticabile il ricorso alla sola decretazione d’urgenza e dovendo ogni regione adattare le regole decise a livello centrare nella fattispecie locale, alla luce della situazione fattuale.
Calando detti principi al caso in esame, nel decidere la momentanea chiusura delle scuole e la didattica a distanza il Presidente della Regione Campania ha considerato non solo la gravità della epidemia in atto ma anche l’intero contesto e, quindi, l’utilizzo dei mezzi di trasporto, l’affollamento per le vie dei ragazzi che si recano a scuola, la situazione dei locali degli edifici scolastici (se consentivano o meno il distanziamento), ecc..
Se è vero, come ribadito dalla giurisprudenza formatasi in materia di misure restrittive per contrasto alla pandemia da Covid-19 (Tar Catanzaro, sez. I, 18 dicembre 2020, n. 2075, Tar Piemonte, sez. I, 3 dicembre 2020, n. 580), che il principio di precauzione non può essere invocato oltre ogni limite, ma deve essere contemperato con quello di proporzionalità – come ricordato tanto dall’insegnamento, nelle materie di competenza dell’Unione europea, dalla Corte di Giustizia (sez. I, 9 giugno 2016, in causa C-78/2016, Pesce), quanto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale nel caso “Ilva di Taranto” (9 maggio 2013, n. 85, sul bilanciamento tra valori dell’ambiente e della salute da un lato e della libertà di iniziativa economica e del diritto al lavoro dall’altro) – è altrettanto vero che il test di proporzionalità e di stretta necessità delle misure limitative deve ragguagliarsi al livello di rischio – e, quindi, al proporzionale livello di protezione ritenuto necessario – causato dalla straordinaria virulenza e diffusività della pandemia.
La prevalenza del principio di precauzione (Cons. St., sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655) è dunque ragionevolmente motivata in relazione al presente contesto di emergenza sanitaria, caratterizzato dalla circolazione di un virus sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica, con la logica conseguenza che, non essendo conosciuti, né prevedibili con certezza i rischi indotti dalla frequenza della scuola in presenza, l’azione dei pubblici poteri ben può e deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, a tutela del valore primario della salute.
4. In conclusione, sotto il profilo più specificamente istruttorio e motivazionale, le ordinanze impugnate non possono ritenersi arbitrarie e irragionevoli o prive di istruttoria, in quanto si fondano sui dati tracciati da esperti e scienziati.
Contrariamente alla tesi di parte appellata, le scelte operate dal Presidente della Regione e tradottesi nelle contestate ordinanze risultano tutte fondate su un’adeguata istruttoria tecnico-scientifica, improntate a un legittimo (anche se, come è fisiologico, opinabile sul piano politico e del merito) criterio prudenziale di prevenzione e di rigore nel tentativo di mitigare e contenere il dilagare della pandemia, e dunque basate su una non manifestamente irrazionale e illogica scelta discrezionale (connotata, data la gravità dell’emergenza e la pervasività dei conseguenti provvedimenti emergenziali, da discrezionalità politico-amministrativa, e non solo tecnico-scientifica). L’adeguatezza dell’istruttoria tecnico-scientifica a supporto di tutte le misure adottate è stata del resto assicurata dall’Unità di Crisi appositamente costituita.
In questo contesto, una generica contestazione di carenza di istruttoria, di violazione del principio di ragionevolezza per mancata ponderazione e bilanciamento dei diritti, principi, interessi e valori costituzionali, prima ancora che infondata, si appalesa inammissibile, poiché implica una impossibile sostituzione di questo Organo giudicante agli organismi tecnico-scientifici, non solo nazionali, deputati a valutare i rischi connessi alla pandemia e l’appropriatezza e la convenienza-opportunità delle misure via via introdotte (Cons. St., sez. I, 13 maggio 2021, n. 850).
5. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, con conseguente reiezione del ricorso proposto dinanzi al Tar Napoli e annullamento della sentenza della sez. V, -OMISSIS-.
Le spese del doppio grado del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti per la complessità delle questioni esaminate, che investono il delicato bilanciamento tra valori costituzionali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto lo accoglie e per l’effetto, respinge il ricorso proposto dinanzi al Tar Napoli e annulla la sentenza della sez. V, -OMISSIS-.