Dopo 30 anni arriva la sentenza sull’inquinamento di amianto che uccise 33 operai di altri ne ha segnato in maniera drammatica il futuro. La fabbrica di Avellino dava lavoro a molti lavoratori dell’Avellinese e del Salernitano
Condannati per disastro ambientale e omicidio colposo plurimo e per una serie di violazioni sulle norme di tutela ambientale e sicurezza nei luoghi di lavoro due funzionari di Ferrovie dello Stato, Aldo Serio e Giovanni Notarangelo e due ex dirigenti di Isochimica, il responsabile della sicurezza di Isochimica Vincenzo Izzo e il suo vice Pasquale De Luca.
Dovranno scontare dieci anni di reclusione, come il pm Roberto Patscot aveva richiesto. Per gli altri 23 imputati, i giudici del tribunale di Avellino presieduto da Sonia Matarazzo, ha decretato l’assoluzione. Per i familiari delle vittime sono stati disposti 50mila euro di risarcimento.
GLI ASSOLTI
Nessuna responsabilità nel disastro dell’Isochimica per le amministrazioni comunali di Avellino che si sono avvicendate, per il curatore fallimentare, per i funzionari dell’Asl e per gli imprenditori che pur avendo ottenuto l’appalto non bonificarono l’area dello stabilimento dove per circa 8 anni, dal 1982 al 1988 vennero scoibentate le carrozze ferroviarie.
Il collegio giudicante ha assolto dalle accuse di omissione in atti di ufficio e violazioni alle norme ambientali gli ex sindaci di Avellino, Giuseppe Galasso e Paolo Foti. Per il primo erano stati chiesti 2 anni e 6 mesi di reclusione, per il secondo subentrato nell’ultima fase, solo 6 mesi di carcere. Stessa sorte è toccata agli assessori Antonio Rotondi, Sergio Barile, Giancarlo Giordano,Ivo Capone, Tony Iermano, donato Pennetta, Luca Iandolo e Raffaele Pericolo. Anche per loro il pm Patscot aveva chiesto 2 anni di carcere, così come per gli imprenditori che avrebbero dovuto provvedere rimuovere l’amianto dal sito di Pianodardine. Biagio de Lisa, Giovanni D’Ambrosio, Giovanni Rosti e Francesco Di Filippo sono stati assolti.
I giudici hanno ritenuto corretto anche l’operato del curatore fallimentare Leonida Gabrieli, dei funzionari Asl, Michele de Piano Luigi Borea e del responsabile del procedimento per il comune di Avellino Giuseppe Blasi. L’accusa sosteneva che non avrebbero esercitato i dovuti controlli sul processo di bonifica.
L’INDUSTRIA ASSASSINA
‘imprenditore Elio Graziano diceva ai suoi operai: “C’è meno pericolo che nel bere un bicchiere d’acqua”, ma lavorare in quella fabbrica dove si tirava via, si scoibentava l’amianto dai vagoni ferroviari (almeno 360 l’anno) era pericolosissimo. Le fibre sottili hanno rovinato la vita a 330 lavoratori che in sei anni con 33 decessi conclamati, 48 per i lavoratori. Senza contare il rione Ferrovia, dove aveva sede l’azienda, nella periferia di Avellino, dove il mesotelioma pleurico è diffuso quanto l’asbestosi, la fibrosi polmonare e il carcinoma polmonare.
L’ex Isochimica è ancora in attesa di una bonifica. È stata una delle attività industriali insediate nel dopo terremoto del 1980 in Irpinia. Una fabbrica che gli stessi operai volevano chiudere e che vide i suoi cancelli serrati solo dopo il 1989 grazie al pretore di Firenze, Beniamino Deidda, che indagava sui morti delle grandi officine toscane dove le carrozze ferroviarie tornavano dall’Irpinia ripulite male dall’amianto. Isochimica era stata aperta da Graziano agli inizi degli anni ’80, per costruire vagoni per treni, ma è diventata uno dei più grandi giacimenti di amianto d’Europa.
La famosa piscina, di cui si sparse la voce nel 1986, era un fosso che serviva a sotterrare quel materiale che dava una polvere biancastra, quello stesso che gli operai maneggiavano senza alcuna protezione, a mani nude, anche quando si sapeva già quanto fosse pericoloso. E proprio i lavoratori nel 1984, avendo compreso che la loro vita era minacciata, protestarono chiedendo la chiusura della fabbrica. L’unico caso in Italia. Pochi mesi dopo le proteste, in fabbrica arrivarono i medici dell’Università Sacro Cuore ma si rifiutarono di entrare.
Poi furono distribuite le prime mascherine in plastica per proteggersi durante il lavoro, poi quelle in gomma e, solo negli ultimi due anni di attività, le tute con caschi.
Quelle stesse tute dove perizie hanno trovato una quantità di amianto quattrocento volte superiore al consentito. I caschi, poi, ‘riciclavano’ l’aria del capannone impregnato di fibre di amianto. Al punto che tra i morti di asbestosi c’è anche un uomo che lavorava per la ditta che puliva i pavimenti del capannone. Un altro di quelli che per l’Asl di Avellino stavano bene. C’è voluto un procuratore capo non irpino, nel 2012, Rosario Cantelmo, per aprire un fascicolo giudiziario che facesse luce sul bubbone Isochimica.
Elio Graziano, morto nel 2017 a casa sua, dopo una condanna ai domiciliari per un’altra vicenda, nel frattempo di aziende per scoibentare i vagoni ne aveva aperta un’altra, l’Elsid a Pianodardine, in società con imprenditori napoletani, ed era diventato presidente dell’Avellino della serie A. Prima della procura di Avellino, c’era stata solo un’interrogazione parlamentare del 12 settembre 1992 firmata da Antonio Parlato, Movimento Sociale Italiano, che chiedeva ai “Ministri dell’Interno, della Sanità, dei Trasporti, del Lavoro e della previdenza sociale e di Grazia e giustizia” di indagare per “sapere se risulti rispondente al vero che molti parenti e amici di Elio Graziano, personaggio non proprio in odore di santità, facciano parte della compagine societaria della Elsid”, e se risponde al vero che “quest’impresa, dopo aver rilevato l’Isochimica, continui ad operare per conto delle Ferrovie dello Stato la scoibentazione di trentaquattro carrozze ferroviarie ancora giacenti nello stabilimento”.
Poi a maggio 2014, il sequestro del sito, dove, per i periti, “ci sono cinquecento enormi cubi di amianto cemento friabile e deteriorato e sotto terra ci sono 2.276 tonnellate di amianto. Nell’aria, ci sono fibre libere e respirabili”.
L’Arpac, l’agenzia regionale per l’ambiente della Campania, ha accertato che ci sono 27 fibre di amianto per litro d’aria nel borgo Ferrovia, mentre, stando alle raccomandazioni dell’Oms, non ce ne dovrebbe essere nemmeno una. Ora è arrivata la sentenza di primo grado, on 4 condannati e 23 assolti.