Agro-Vesuviano, maxi operazione contro estorsioni ed illecita concorrenza, 21 arresti

I carabinieri e la Dda fanno luce su una serie di episodi criminali ai danni di bar, tabacchi e sale slot, a partire da Scafati per poi allargarsi ai comuni nei dintorni. Undici gli altri indagati. Tutti i particolari anche della guerra e poi la pace tra clan

Il Comando Provinciale Carabinieri di Salerno e quello territoriale di Nocera Inferiore hanno eseguito un’Ordinanza di applicazione di misure cautelari personali emessa dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale del capoluogo su richiesta della Dda. Il provvedimento ha disposto:
— la custodia cautelare in carcere a carico di 13 persone;
— gli arresti domiciliari a carico di 8 persone.

L’OPERAZIONE
Nei confronti delle persone arrestate sono ipotizzati i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi comuni da sparo e da guerra, violenza privata e illecita concorrenza con minaccia o violenza (tutti aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose), commessi nel periodo compreso tra gli anni 2014 e 2019. Sono stati eseguiti anche decreti di perquisizione personale e locale — e notificate contestuali informazioni di garanzia — a carico di 11 indagati in di stato di libertà.

L’INCHIESTA
L’operazione si è svolta prevalentemente tra Scafati (SA) e i comuni viciniori della provincia di Napoli. Nei confronti di alcuni dei soggetti interessati, la misura detentiva è stata eseguita presso gli istituti penitenziari in cui essi erano già ristretti per altre cause, in parte riconducibili ad interventi repressivi anticipatamente effettuati nel contesto della medesima attività di indagine.

Il provvedimento cautelare si basa sui gravi indizi di colpevolezza acquisiti dal Reparto Territoriale Carabinieri di Nocera Inferiore, con la direzione ed il coordinamento di questa D.D.A., nell’ambito di un procedimento penale avviato a partire dalla metà dell’anno 2017 in seguito a una serie di danneggiamenti ai danni di attività commerciali (bar, tabacchi, sale slot) e atti minatori posti in essere a Scafati con modalità tipiche della criminalità camorristica.

Secondo la prospettazione accusatoria, ritenuta allo stato valida dal G.I.P., gli elementi acquisiti configurano l’esistenza di un’organizzazione di tipo mafioso (denominata clan Buonocore/Matrone) operativa in Scafati e aree circostanti, di cui è stato ritenuto organizzatore, promotore e capo il 47enne Giuseppe Buonocore, genero dello storico boss scafatese Francesco Matrone, detto “Franchino ‘a belva”, quest’ultimo attualmente ristretto al 41 bis.

IL RUOLO DEL GENERO DI FRANCHINO ‘A BELVA
Buonocore, sin dalla propria scarcerazione avvenuta alla fine del 2016, avrebbe infatti pianificato e attuato, sotto la propria direzione strategica e operativa, la riorganizzazione di un’organizzazione criminale per acquisire il controllo criminale del territorio scafatese e la gestione di affari illeciti già in passato appannaggio del suocero.

A tal fine, l’indagato si sarebbe avvalso, secondo l’impostazione accusatoria, di parte della preesistente struttura del clan Matrone e, più ampiamente, dei consolidati rapporti criminali con persone già da tempo contigui o alleati con il suocero. Il primo fra i contatti sarebbe stato il 6lenne Ferdinando Cirillo, il quale, in ragione dell’autorevolezza vantata negli ambienti criminali e accordatagli anche all’interno dei vari sodalizi concorrenti sul territorio, si ritiene abbia costituito un solido ausilio in termini di consulenza, mediazione e supporto strategico.

GLI INTERESSI DEL CLAN E LA GUERRA CON I LORETO-RIDOSSO E I CESARANO
Tra i principali interessi associativi attribuiti al gruppo criminale interessato dall’odierno provvedimento, si evidenziano il traffico di armi, il controllo del settore delle slot-machine e l’attività estorsiva ai danni di operatori economici del comprensorio, consistita nella riscossione di pagamenti in contanti ovvero nell’imposizione a fini di lucro di forniture e servizi, in primis la collocazione di macchine da gioco presso bar ed esercizi di ristorazione.

Nell’iniziale fase espansiva, la concorrenza nell’accaparramento delle fonti di lucro nei settori economici di interesse, nonché nelle attività illecite esercitate costituiva, secondo le risultanze confluite nel provvedimento cautelare, terreno di scontro anche violento tra il gruppo criminale di Buonocore e le preesistenti formazioni già operanti nell’area, quali il clan scafatese dei Loreto/Ridosso e quello Cesarano di Castellammare di Stabia (ma da tempo presente ed influente sulla scena criminale di Scafati).

Scontrò estrinsecatosi, si ipotizza, in una sequenza di reciproci attentati (danneggiamenti mediante collocazione di ordigni esplosivi rudimentali e colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di attività commerciali), uno dei quali (spari contro l’abitazione di Giuseppe Buonocore) mai denunciato, ma oggetto di circostanziate acquisizioni nel corso delle intercettazioni ambientali eseguite successivamente, nonché di propalazioni di un collaboratore di giustizia.

IL RITORNO DI UNA PARZIALE CALMA
L’iniziale conflittualità subì in seguito un progressivo affievolimento che le risultanze d’indagine hanno consentito di ricondurre all’evoluzione degli assetti di vertice in seno al clan Cesarano, segnata dall’assunzione della reggenza da parte di Vincenzo Cesarano (cugino dello storico capo del clan, Ferdinando Cesarano) successivamente alla sua scarcerazione (aprile 2017) e al pressoché contestuale arresto, in applicazione di misure cautelari per estorsione, di figure apicali quali Luigi De Martino, Giovanni Cesarano (dicembre 2016, entrambi nell’ambito di parallela della Dda di Salerno) e di Raffaele Belviso (agosto 2017, nell’ambito di attività di indagine della Dda di Napoli).

LA NON BELLIGGERANZA TRA CLAN
Secondo la ricostruzione allo stato ritenuta fondata, il nuovo corso delle relazioni, improntato a una linea di non belligeranza e di sostanziale riconoscimento delle prerogative territoriali del gruppo autoctono scafatese, aveva tra gli artefici, oltre ai rispettivi elementi di vertice dei sodalizi protagonisti, l’intervento agevolatore di Ferdinando Cirillo, che assumeva un ruolo di mediazione sulla base della sua storica contiguità a Francesco Matrone e, allo stesso tempo, dei consolidati rapporti vantati all’interno dei Cesarano.

LE ALTRE 21 ESTORSIONI
L’impianto d’accusa ha tra i suoi pilastri fondamentali le dichiarazioni accusatorie di quasi tutte le vittime di estorsione, le quali, escusse in relazione ai fatti emersi nel corso delle indagini, hanno denunciato o almeno in parte ammesso le condotte poste in essere ai loro danni dagli odierni indagati, in un caso consentendo anche di far luce su analoghe attività criminose poste in essere in anni precedenti dal clan Loreto-Ridosso. Tra le imputazioni ascritte (e confermate dal GIP), figurano, in particolare:
– 6 estorsioni tentate o consumate riconducibili al clan Cesarano tra Scafati, Castellammare di Stabia e Pompei
– 12 estorsioni tentate o consumate riconducibili al clan Buonocore/Matrone a Scafati (eccetto una a Santa Maria la Carità)
-3 estorsioni poste in essere dal clan Loreto-Ridosso a Scafati

Nel corso delle indagini, per impedire il compimento di gravi azioni delittuose contro la persona e contro il patrimonio di appartenenti o di estranei ai clan e per riscontrare il contenuto di alcune intercettazioni, sono stati fermati due indagati indiziati di tentata estorsione, eseguite perquisizioni e sequestri, e misure cautelari personali) che hanno consentito, tra l’altro:
– il rinvenimento e conseguente sequestro di armi (due pistole con matricola abrasa), una bomba carta, sostanze per il confezionamento di ordigni esplosivi, nonché stupefacenti (marijuana e cocaina), nella disponibilità di alcuni degli indagati;
– l’imputazione di due distinti tentativi di estorsione ai danni dei rispettivi titolari di un supermercato e di una rivendita di tabacchi, entrambi a Scafati;
– l’applicazione di più misure cautelari detentive a carico di sei persone, tra i quali Giuseppe Buonocore, per i reati di tentata estorsione e detenzione illecita di armi ed esplosivi.

Tali interventi repressivi, i cui successivi sviluppi processuali hanno confermato, nei gradi di giudizio finora definiti, la validità dell’impostazione accusatoria, hanno sostanzialmente interrotto un processo di rapida ascesa ed affermazione violenta del sodalizio camorristico sul territorio e consentito la tempestiva decapitazione del suo vertice.

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