A cura dell’avvocato Carmela Ferrara della Camera Civile di Nocera Inferiore
La questione principale è capire se rappresenti sempre il «giusto rimedio civile» assegnare l’immobile che abbia costituito l’habitat domestico al genitore con il quale il figlio conviva abitualmente. La soluzione accolta costantemente e da sempre nella giurisprudenza italiana è non la tutela della personalità della prole, ma specificamente la sua continuità abitativa.
Tale rigidità dell’interpretazione giurisprudenziale che mette in primo piano senza eccezioni l’interesse dei figli (minori, ma anche maggiorenni non autosufficienti) alla continuità dell’ambiente domestico cozza talvolta con altri interessi giuridicamente rilevanti ascrivibili ai genitori o ai terzi proprietari.
Nel vigente ordinamento, la disciplina dell’assegnazione della casa familiare è attualmente racchiusa nell’art. 337 sexies, comma 1, c.c il quale stabilisce che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli», sì da accogliere un criterio di assegnazione che – a differenza della normativa previgente – prescinde dall’affidamento e si impernia sull’interesse della prole. L’assoluta e costante preminenza accordata dalla giurisprudenza alla continuità dell’habitat domestico appare, dunque, in contrasto tanto con la formulazione dell’art. 337 sexies, comma 1, c.c., quanto con il favor legislativo verso l’affidamento condiviso (artt. 337 ter e quater, c.c.). Da una parte, infatti, l’art. 337 sexies, comma 1, c.c. nel configurare, testualmente, quale criterio prioritario e non esclusivo di assegnazione il generico interesse dei figli (e non quello specifico alla continuità abitativa) subordina la legittimità del provvedimento giudiziale all’adeguatezza del rimedio, id est alla sua attitudine ad assicurare il «giusto equilibrio» tra tutte le situazioni in conflitto.
D’altra parte, la preferenza normativa verso il modello dell’affidamento esclusivo o di quello condiviso non può restare senza conseguenze sul piano dell’interpretazione della disciplina dell’assegnazione della casa familiare occorre quindi riesaminare i tradizionali moduli interpretativi della disciplina dell’assegnazione della residenza familiare, adeguandoli alla duplice esigenza di salvaguardare la bigenitorialità della responsabilità di cura e assistenza del minore e di bilanciare, secondo proporzionalità e ragionevolezza, tutti gli interessi concorrenti nella fattispecie concreta. L’attribuzione del diritto di abitazione «di preferenza al coniuge affidatario» – compiuta dal previgente art. 155, comma 4, c.c. risultava coerente con un regime mono-genitoriale di affidamento, che faceva conseguire alla crisi coniugale una trasformazione qualitativa del rapporto parentale, con l’automatica “collocazione” del figlio presso uno dei due genitori e il riconoscimento all’altro del c.d. “diritto. Diversamente, l’assurgere dell’affidamento condiviso a soluzione ordinaria e preferenziale avrebbe dovuto suggerire un ripensamento del riferito collegamento tra affidamento della prole a un genitore e assegnazione a questi della casa familiare, alla luce del diritto del minore a «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo» con entrambi i genitori (art. 337 ter, comma 1, c.c.).
Orbene, il giudice della crisi – tenuto a prendere atto «degli accordi intervenuti tra i genitori», se non contrari all’interesse della prole è chiamato a dare effettiva attuazione al diritto alla “bigenitorialità”: nel caso di affidamento condiviso, determinando «i tempi e le modalità» della presenza dei figli presso ciascun genitore (art. 337 ter, comma 2, c.c.); nel caso di affidamento esclusivo, assicurando comunque la conservazione della continuatività del rapporto anche con il genitore non affidatario (art. 337 quater, comma 2, c.c.).
Nell’elaborazione giurisprudenziale più recente svalutandosi del tutto la rinnovata ispirazione dell’istituto dell’affidamento al principio di parità di posizione dei genitori– le esigenze di protezione della prole orientano ad assegnare, comunque, l’immobile al genitore con il quale i figli convivano abitualmente.
Pertanto una collocazione prevalente del figlio presso uno dei genitori produce, come inevitabile conseguenza, la salvaguardia del legame del provvedimento di assegnazione con l’interesse del minore alla conservazione dell’habitat domestico.
Piú in generale, la giurisprudenza finisce per offrire una visione restrittiva del fondamento dell’istituto dell’assegnazione, identificandolo nella tutela non delle molteplici manifestazioni della personalità umana della prole , ma esclusivamente nell’«esigenza di conservazione dell’habitat domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Pertanto, appare conforme alla gerarchia dei valori che ispira il vigente ordinamento l’affermazione compiuta dalla Suprema Corte che «pur avendo riflessi economici, l’assegnazione non è subordinata ad interessi di natura economica», sì che la decisione giudiziale non «può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi o tanto meno degli stessi figli» una collocazione prevalente del figlio presso uno dei genitori produce, come inevitabile conseguenza, la salvaguardia del legame del provvedimento di assegnazione con l’interesse del minore alla conservazione dell’habitat domestico.
La ridefinizione del fondamento assiologico dell’assegnazione della casa familiare – ravvisato nella tutela della personalità della prole e non nello specifico interesse alla continuità abitativa impone una revisione critica della posizione giurisprudenziale che, nel compiere a priori una graduazione degli interessi in conflitto, non appare sensibile all’esigenza di calibrare la scelta del rimedio civile alle peculiarità del caso concreto. Senza disperdere l’ispirazione personalistica della disciplina dell’assegnazione – trasformandola in una forma di contributo economico al mantenimento dei figli – diviene indispensabile tenere conto della meritevolezza di tutela delle situazioni ascrivibili ai soggetti titolari (in via esclusiva o concorrente) dell’immobile, che rivestono talvolta rango costituzionale. La soluzione si orienta, così, verso soluzioni in grado di armonizzare, secondo proporzionalità e ragionevolezza, tutte le esigenze esistenziali e patrimoniali, che si intrecciano nel luogo ove si è sviluppata la convivenza familiare.