Resti umani mummificati, capelli e ossa di un individuo inumato in una antica sepoltura, rinvenuta presso la necropoli di Porta Sarno, a est dell’antico centro urbano di Pompei
Sulla lastra marmorea posta sul frontone della tomba un’iscrizione commemorativa del proprietario Marcus Venerius Secundio richiama, straordinariamente, lo svolgimento a Pompei di spettacoli in lingua greca, mai prima attestati in maniera diretta. Si tratta dell’ultima scoperta di Pompei, avvenuta nel corso di una campagna di scavo promossa nell’area della necropoli di Porta Sarno, dal Parco Archeologico di Pompei e dall’Università Europea di Valencia.
“Pompei non smette di stupire e si conferma una storia di riscatto, un modello internazionale, un luogo in cui si è tornati a fare ricerca e nuovi scavi archeologici grazie alle tante professionalità dei beni culturali che, con il loro lavoro, non smettono di regalare al mondo risultati straordinari che sono motivo di orgoglio per l’Italia”- dichiara il Ministro della Cultura, Dario Franceschini.
La struttura sepolcrale, risalente agli ultimi decenni di vita della città, è costituita da un recinto in muratura, sulla cui facciata si conservano tracce di pittura: si intravedono piante verdi su sfondo blu. Il personaggio di Marcus Venerius Secundio – che compare anche nell’archivio di tavolette cerate del banchiere pompeiano Cecilio Giocondo, proprietario della domus omonima su via Vesuvio – era uno schiavo pubblico e custode del tempio di Venere. Una volta liberato, aveva poi raggiunto un certo status sociale ed economico, come emergerebbe non solo dalla tomba piuttosto monumentale, ma anche dall’iscrizione: oltre a diventare Augustale, ovvero membro del collegio di sacerdoti dediti al culto imperiale, come ricorda l’epigrafe, “diede ludi greci e latini per la durata di quattro giorni”.
“Ludi graeci è da intendere come spettacoli in lingua greca – commenta il direttore del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel – è la prima testimonianza certa di esibizioni a Pompei in lingua ellenica, ipotizzate in passato sulla base di indicatori indiretti. Abbiamo qui un’altra tessera di un grande mosaico, ovvero la Pompei multietnica della prima età imperiale, dove accanto al latino è attestato il greco, all’epoca la lingua franca del Mediterraneo orientale. Che si organizzassero anche spettacoli in greco è prova del clima culturale vivace e aperto che caratterizzava l’antica Pompei, un po’ come l’esibizione straordinaria di Isabelle Huppert nel Teatro Grande poche settimane fa, in lingua francese, ha dimostrato che la cultura non ha confini”.
Non meno eccezionale dell’iscrizione risulta la sepoltura di Marco Venerio Secundio. Si tratta di uno degli scheletri meglio conservati ritrovati nella città antica. Il defunto fu inumato in una piccola cella di 1,6 x 2,4 metri posta alle spalle della facciata principale, mentre nella restante parte del recinto sono state riscontrate due incinerazioni in urna, una in un bellissimo contenitore in vetro appartenente a una donna di nome Novia Amabilis. Nella fase romana di Pompei, il rito funerario prevedeva di norma l’incinerazione, mentre solo bambini piccoli venivano inumati.
La sepoltura di Marco Venerio è dunque altamente insolita anche per il rito funerario adottato, considerando che si trattava di un uomo adulto di più di 60 anni, come emerge da una prima analisi delle ossa ritrovate nella camera funeraria. Le caratteristiche della camera funeraria, che consisteva in un ambiente ermeticamente chiuso, hanno creato le condizioni per lo stato di conservazione eccezionale in cui è stato trovato lo scheletro, con capelli e un orecchio ancora visibili. Inoltre, sono stati recuperati elementi di corredo, tra cui due unguentaria in vetro e numerosi frammenti di ciò che sembra essere un tessuto.
“Bisogna ancora comprendere se la mummificazione parziale del defunto è dovuta a un trattamento intenzionale o meno – spiega il professor Llorenç Alapont dell’Università di Valencia – In questo l’analisi del tessuto potrebbe fornire ulteriori informazioni. Dalle fonti sappiamo che determinati tessuti come l’asbesto venivano utilizzati per l’imbalsamazione. Anche per chi come me si occupa di archeologia funeraria da tempo, la straordinaria ricchezza di dati offerti da questa tomba, dall’iscrizione alle sepolture, ai reperti osteologici e alla facciata dipinta, è un fatto eccezionale, che conferma l’importanza di adottare un approccio interdisciplinare, come l’Università di Valencia e il Parco Archeologico hanno fatto in questo progetto”.
I resti umani e organici trovati nel recinto funerario di Porta Sarno sono stati trasportati al Laboratorio di Ricerche Applicate nel sito di Pompei dove sono stati sottoposti a interventi di analisi e di conservazione. Al tempo stesso, il Parco Archeologico ha avviato una serie di interventi di messa in sicurezza, volti a garantire la manutenzione della necropoli di Porta Sarno nelle more della definizione di un più ampio progetto di restauro e fruizione dell’area. La necropoli attualmente non è visitabile in quanto ubicata al di là della linea ferroviaria della Circumvesuviana, ma il Parco ha avviato uno studio di fattibilità per includerla nell’area aperta al pubblico.
Le attività di scavo e di recupero da parte dell’università di Valencia sono state coordinate dal prof. Llorenç Alapont del Dipartimento di Preistoria e Archeologia, mentre come funzionari responsabili del Parco Archeologico sono intervenute l’archeologa Luana Toniolo, la restauratrice Teresa Argento e l’antropologa Valeria Amoretti.