Con la dimissione dell’ultima paziente affetta dal coronavirus è ora di ripartire con l’unica proposta seria per la sanità nell’area nord della provincia di Salerno (ed anche per il sud del Napoletano
“La soluzione più ovvia è più è difficile da far passare”. Questo l’antico adagio che correva nelle stanze ministeriali della prima repubblica e, di fatto ancora sussurrato oggi, sulle decisioni osteggiate da alcuni politici perché grazie alla complicazione di affari semplici si nascondevano piccoli e grandi interessi che certamente non avevano a che fare con le esigenze pubbliche. Così è per la sanità nell’Agro. Un’area i cui ospedali servono non solo la popolazione residente, oltre 270mila abitanti, ma anche quella di Cava de’ Tirreni, Valle dell’Irno e l’area sud del Vesuviano. Sarebbe necessario un Dea di II livello, una soluzione ovvia, ma di fatta osteggiata.
PERCHÉ FARE IL DEA DI SECONDO LIVELLO NELL’AGRO
Il Dea di secondo livello significa avere personale medico e infermieristico, macchinari, specializzazioni in più fornendo una più rapida e migliore risposta sanitaria a centinaia di migliaia di persone.
CHI VUOLE UN DEA DI SECONDO LIVELLO NELL’AGRO
A chiedere un Dea di II livello che metta assieme gli ospedali di Nocera, Scafati, Sarno e Pagani è il mondo sanitario e anche i sindaci, qualcuno in modo più chiaro qualche altro in modo più sfuggente probabilmente per non dispiacere De Luca. Sul punto si registra da tempo anche la presa di posizione ufficiale del Psi che supporta un Dea di II Livello nella provincia area Nord.
PERCHÉ NON SI FA IL DEA DI SECONDO LIVELLO
Che nessuno voglia avere un polo sanitario importante tra Napoli e Salerno, sembra ormai chiaro. Poco importa se il pronto soccorso dell’Umberto I a Nocera Inferiore ha numeri da metropoli e ingolfamento continuo. Poco importa se neurochirurgia attira pazienti dal Vesuviano e perfino dalla zona Sud della provincia di Salerno. Poco importa se la ginecologia è la seconda per parti in Campania. Poco importa se all’ospedale di Pagani si eseguono interventi chirurgici di grande complessità e che tanti ammalati di tumore, anche da altre regioni, non debbano più compiere viaggi della speranza. Poco importa se l’ospedale di Sarno deve assorbire il contraccolpo del Nolano. Poco importa se il Mauro Scarlato di Scafati è stata una delle prime strutture sanitarie ad affrontare la Covid e che continuerà a svolgere questo compito.
GLI ALTRI MOTIVI
Non si vuole lavorare per un Dea di secondo livello nell’Agro per timore di creare un polo sanitario che possa offuscare, seppur in parte, l’azienda ospedaliera universitaria del Ruggi e anche per evitare un declassamento delle strutture ospedaliere di parte del Napoletano. Ma c’è di più. Un Dea di secondo livello attirerebbe maggiormente medici e infermieri a scapito degli altri ospedali, specie della zona Sud del Salernitano. E poi si presenterebbe prima o poi la necessità, in realtà già attuale, di costruire nuovi ospedali. Si, perché, tranne quello di Sarno, quelli di Nocera, Pagani e Scafati comunque sono risalenti nel tempo e, solo per assicurare una compatibilità con una zona comunque a rischio tellurico considerevole, andrebbero rifatti. Una necessità che è relativa anche alla loro tipologia di costruzione, alla qualità dell’ospitalità alberghiera (le camere dei degenti) e agli spazi interni, pensati per un’altra epoca.
Ma di questo neanche a parlarne, anche perché di ospedali nuovi in provincia di Salerno se ne parla solo per il nuovo Ruggi o San Leonardo come si chiamerà, tutti gli altri territori devono “suonare i piattini”, visto che di fatto non hanno una rappresentanza forte e chiara nei luoghi della politica dove si decidono le strategie future. Intanto continuiamo con le ristrutturazione dei reparti, spendendo soldi che non risolvono il problema strutturale alla radice.