Locazione commerciale nell’era covid: tra chiusure programmate e totali

A cura dell’avvocato Alfonso Attianese della Camera civile di Nocera Inferiore

L’emergenza epidemiologica in corso da ormai più di un anno sta stravolgendo in maniera significativa e trasversale tutti gli ambiti del vivere quotidiano, ripercuotendosi, come da logica conseguenza, su tutti i settori lavorativi ed economici. Tra questi quello che sicuramente ha avuto ripercussioni più immediate è quello riguardante i rapporti di locazione, specie quelli di natura commerciale, dove le restrizioni imposte dalla normativa emergenziale hanno inciso in maniera deflagrante sulle attività economiche in genere, obbligate a chiusure programmate e per diversi periodi totali. Locatori e conduttori si trovano in una situazione assai complessa, che vede i conduttori danneggiati dalle restrizioni, poiché non possono fruire dei locali affittati, ma devono comunque provvedere alla corresponsione del canone, e, dall’altro i locatori che, oltre a non poter godere del bene locato, devono pur sempre pagare le imposte, anche nel caso di morosità dell’inquilino. Nel contratto di locazione, dove sul proprietario grava l’obbligo di garantire il godimento del bene e sull’inquilino quello di eseguire la controprestazione economica, le misure restrittive impediscono al conduttore di esercitare l’attività per la quale il bene stato locato (si pensi a bar e ristoranti). In tal modo si viene a creare uno squilibrio contrattuale: l’inquilino è costretto a versare il corrispettivo senza godere del locale; al contempo, neppure il proprietario può sfruttare l’immobile, atteso che è occupato dai beni del conduttore (ad esempio, le merci, nel caso del negozio al dettaglio).

Dal punto di vista strettamente giuridico possiamo in primo luogo affermare che il conduttore non può astenersi dalla corresponsione del canone nè ridurlo unilateralmente; infatti, tra le obbligazioni gravanti sull’inquilino, v’è quella di versare il corrispettivo (art. 1587 n. 2 c.c.). La giurisprudenza ammette la facoltà di astensione dal pagamento solo nell’ipotesi in cui la controprestazione del locatore venga completamente a mancare. Tuttavia, nel caso dell’emergenza epidemiologica, l’inquilino ha la disponibilità materiale del bene, ma non può giovarsene per previsione normativa, non già per colpa del locatore. Per tale ragione, non può arbitrariamente decidere di non eseguire la propria prestazione economica. Altra regola applicabile ai contratti di locazione prevede che, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa, per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, si possa domandare la risoluzione del contratto (art. 1467 c.c.). La pandemia potrebbe essere annoverata tra le ragioni di forza maggiore richieste dalla legge, almeno per il caso in cui le restrizioni obbligano ad una chiusura totale dell’attività, nel qual caso il conduttore che si trovi a non riuscire a corrispondere il canone, ha titolo per chiedere la risoluzione del contratto. Tale disposizione, però, non viene incontro alle esigenze concrete dell’inquilino, il quale mira ad ottenere una diminuzione del canone e non a risolvere il contratto, che comporterebbe la chiusura anche della propria attività, costringendolo, inoltre, a perdere l’indennità di avviamento. Da quanto sin qui esposto emerge come, nell’attuale panorama giuridico, non esista una disciplina specifica da adottare nel caso di un’epidemia globale come quella in corso. Le sentenze di merito fin qui intervenute non hanno contribuito a rendere la situazione più chiara per gli operatori del diritto, essendosi registrate decisioni non univoche e spesso contrastanti.

Tra le prime pronunce si segnala l’ordinanza del Tribunale di Roma del 29 maggio 2020, resa in una controversia sorta per il mancato pagamento dei canoni di affitto di ramo d’azienda comprensivo del diritto di utilizzo di alcuni locali per la vendita di beni al dettaglio. Secondo il tribunale, le misure restrittive hanno determinato un’ipotesi di impossibilità della prestazione del locatore allo stesso tempo parziale (perché la prestazione è divenuta impossibile quanto all’obbligo di consentire all’affittuario, nei locali aziendali, l’esercizio del diritto a svolgere attività di vendita al dettaglio, ma è rimasta possibile e utilizzata quanto alla concessione del diritto di uso dei locali, e quindi nella più limitata funzione di fruizione del negozio quale magazzino e deposito merci) e temporanea (perché l’inutilizzabilità del ramo di azienda per la vendita al dettaglio è stata limitata nel tempo, per poi venir meno dal 18 maggio 2020). Dello stesso avviso l’ordinanza 30 settembre – 2 ottobre 2020 con cui il Tribunale di Venezia non ha convalidato lo sfratto per morosità intimato a seguito del mancato pagamento dei canoni di rent to buy relativi ai mesi da dicembre 2019 a maggio 2020. Il Tribunale ha ritenuto che il mancato (o perlomeno gravemente ridotto) godimento dei locali, destinati ad attività turistico-ricettiva, da parte del conduttore a causa delle restrizioni imposte dalla normativa emergenziale abbia comportato una impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione del locatore. Conseguentemente il conduttore, ai sensi dell’art. 1464 cod. civ., ha diritto di recedere dal contratto e/o di domandare la riduzione del canone; riduzione di cui, peraltro, si deve tenere conto ai fini della valorizzazione della gravità dell’inadempimento lamentato dall’intimante ai fini di una pronuncia in merito alla domandata risoluzione del contratto. Quindi, alla luce degli artt. 1256 e 1464 c.c., il giudice ha determinato una riduzione del canone di affitto del 70% nei due mesi di blocco dell’attività di vendita.

Pressoché contemporaneamente alla decisione sopra ricordata, con provvedimento del 1° giugno 2020 il Tribunale di Genova ha ordinato al locatore di astenersi dalla presentazione all’incasso dei titoli cambiari in suo possesso emessi dal conduttore a garanzia del pagamento dei canoni di locazione dell’azienda e del canone di affitto dei locali, astenendosi altresì dal compiere girate delle cambiali a favore di terzi. Secondo il giudice il conduttore ha dimostrato l’impossibilità di procedere al pagamento per crisi di liquidità, atteso che, a causa delle misure restrittive in vigore per il contrasto della pandemia, è stata ordinata la chiusura dell’attività imprenditoriale (di discoteca) a far data dal 23 febbraio 2020. Le decisioni fin qui riportate sembrano mostrare un certo favor per i conduttori, ma per ottenere un provvedimento favorevole è comunque necessario che il conduttore dia prova dell’incidenza della pandemia e soprattutto delle conseguenti misure restrittive sull’attività economica esercitata. Per contro non sono certo mancate anche pronunce in senso contrario. Così, il Tribunale di Macerata, con ordinanza del 28 ottobre 2020, ha ordinato al conduttore moroso il rilascio dell’immobile sulla base dei seguenti motivi: – la legge non ha introdotto “alcuna automatica causa di giustificazione agli inadempimenti derivati dalle misure di restrizione anti-epidemia”; – non sussiste alcun obbligo per il locatore di accettare “riduzioni forzose” del canone poiché la perdurante epidemia non comporta “una condizione di oggettiva impossibilità sopravvenuta idonea ad incidere sul sinallagma contrattuale”; – grava sul conduttore l’onere di provare l’esatta incidenza degli eventi pandemici e delle conseguenti restrizioni anti-contagio sull’attività professionale esercitata (invece, nel caso di specie, il conduttore non ha dedotto nulla in merito ad “eventuali contromisure organizzative prese o all’eventuale accesso alle misure economiche di ristoro nel frattempo introdotte”). Allo stesso modo il Tribunale di Roma, ord. 16 dicembre 2020, n. 45986, ha emesso ordinanza di rilascio, ex articolo 665 del c.p.c., non accogliendo le doglianze del conduttore che aveva proposto opposizione su presupposto che per effetto della <>, causa di una <>, avrebbe avuto diritto a ottenere la riduzione di equità del canone, per eccessiva onerosità sopravvenuta e in forza del principio di buona fede e dei vincoli solidaristici posti dagli artt. 2 della Costituzione e 1175 del c.c..

In tale contesto va sottolineato che gli interventi governativi fin qui registrati, oltre a non essere risultati sufficienti, hanno oltremodo colpito proprio i locatori ai quali è stato impedito di ottenere lo sfratto fino al 30 giugno 2021, così come disposto dall’ultimo decreto milleproroghe. A disporlo il comma 13 dell’art 13 del desto definitivo pubblicato in Gazzetta in 31 dicembre 2020 che così dispone: “La sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall’articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e’ prorogata sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all’adozione, ai sensi dell’articolo 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari.” Il provvedimento, come emerge dalla lettura della norma, blocca i provvedimenti di rilascio degli immobili (anche ad uso non abitativo) solo se la procedura è stata avviata a causa del mancato pagamento dei canoni di locazione alle scadenze contrattuali e quelli che conseguono all’adozione del decreto di trasferimento di immobili già pignorati che però sono ancora abitati dal debitore e dai suoi familiari. In pratica il locatore può incardinare un procedimento di sfratto verso il conduttore, ottenendo l’ordinanza di convalida di sfratto che, tuttavia, potrà essere eseguita solo a partire dal luglio 2021. In attesa di un intervento legislativo più incisivo e risolutorio la soluzione più agevole pare essere quella concordata, ossia il locatore e il conduttore possono decidere, di comune accordo, di rinegoziare il contratto e di rimodulare, al ribasso, l’importo del canone per tutta la durata dell’emergenza Covid-19. Si tratta di una modifica che non è onerosa per i contraenti, infatti, l’accordo con il quale si riduce l’affitto, sebbene registrato all’Agenzia delle Entrate, non comporta la corresponsione dell’imposta di registro.

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