A cura del Presidente della Camera Civile di Nocera Inferiore avv. Veronica Avella
Gli embrioni creati e crioconservati da una coppia coniugata (o convivente) per essere impiegati in un trattamento di PMA, potranno essere utilizzati dalla donna contro la volontà del partner anche dopo la intervenuta pronuncia di separazione personale della coppia da parte del Giudice? La risposta l’ha fornita il Tribunale di SM Capua a Vetere il quale per la prima volta in Italia decide su questo tema estremamente complesso e di significativo impatto anche dal punto di vista sociale considerato il numero crescente di separazioni (circa 4 coppie su 10 si separano entro i primi 5 anni) e di coloro che chiedono di accedere alla PMA (oltre il 20% delle coppie presenta problemi di infertilità). L’Ordinanze favorevole del 27 Gennaio 2021 alla richiesta della donna adottata dal Tribunale monocratico è stata poi reclamata e confermata dal Tribunale in composizione collegiale. Si tratta di una pronuncia destinata a far molto rumore perchè riconosce il diritto assoluto della donna di utilizzare gli embrioni creati con il coniuge e poi congelati anche dopo la pronuncia della separazione personale e nonostante la contrarietà dell’ex marito! In applicazione dell’art. 6 c. 3 L. n 40/2004 “Il consenso alla PMA può essere revocato fino alla fecondazione dell’ovocita”: nessuno dei due partner può revocare il consenso all’impianto dell’embrione dopo tale momento. L’assolutezza della previsione era stata limitata per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 151/09 che aveva riconosciuto la possibilità di non procedere al trasferimento quando questo fosse stato contrario all’interesse alla salute della donna. Fuori da tale ipotesi, come ha ribadito il Tribunale di SMC Vetere il consenso non può
essere revocato neppure dopo la fine del rapporto di coppia e la pronuncia della separazione personale. Dunque di fronte alla richiesta della donna di procedere al transfer della blastocisti nel frattempo crioconservate, l’ormai ex marito non ha alcuna possibilità di revocare il consenso precedentemente prestato e dunque non può giuridicamente impedire alla ‘ormai ex’ di procedere al tentativo di gravidanza. L’ uomo sarebbe pertanto costretto ad assumere la paternità giuridica, con tutti i relativi obblighi economici e morali, verso un figlio concepito in costanza di matrimonio ma che eventualmente nascerà dopo anni dallo scioglimento dello stesso. Due gli assunti sui quali si fonda la decisione del Giudice: da un lato la tutela dell’embrione crioconservato e del suo interesse alla vita e allo sviluppo (quindi ad essere trasferito in un corpo di donna) ovvero la sua aspettativa ad essere avviato alla nascita avendo come unica alternativa di rimanere congelato a tempo indefinito. Dall’altro, il principio di autoresponsabilità e legittimo affidamento che si esprime nel consenso al trattamento di PMA prestato (da entrambi i membri della coppia) che con la produzione delle blastocisti, non ammette più ripensamenti successivi o revoche. La circostanza che il rapporto familiare e coniugale, che costituisce la giustificazione del progetto genitoriale che la coppia voleva realizzare, sia venuto meno (con la pronuncia di separazione nel frattempo intervenuta) risulta dunque irrilevante. La donna potrà comunque procedere al tentativo di gravidanza. In caso di nascita del figlio l’ex marito sarà riconosciuto ex lege come il padre legittimo del nato e conseguentemente tenuto ad ogni obbligo di istruzione, educazione e mantenimento verso di esso in deroga alle previsioni codicistiche e in applicazione della lex specialis (art 8 L. n. 40/2004). Insomma, il consenso espresso dai partner alla procreazione assistita non costituisce mero consenso all’esecuzione di un trattamento sanitario configurandosi come vera e propria manifestazione di volontà costitutiva di uno status genitoriale, acquisito a partire dal momento del concepimento dell’embrione, status che non potrà essere più rimesso in discussione. Molteplici le considerazioni di ordine etico e giuridico che una siffatta decisione comporta. Sono gli effetti del ‘paradosso tecnologico’ in forza del quale grazie alle tecniche di crioconservazione dei gameti è possibile separare per un tempo indefinito il momento del concepimento (realizzato dal medico in vitro) da quello della gravidanza e del parto (a seguito di trasferimento da parte del medico dell’embrione conservato in provetta nel corpo della donna) con il risultato che indipendentemente dalla sussistenza di quel rapporto di coppia su cui il progetto genitoriale trovava la sua giustificazione prima logica che giuridica, ove una legge espressamente fissi uno specifico momento a partire dal quale il consenso prestato non sarà più revocabile, sarà possibile giungere alla nascita di un bambino che assumerà lo status di figlio di quella ex coppia. Si tratta di una decisione sicuramente destinata a far discutere per i molteplici profili giuridici ed etico sociali implicati e per il potenziale impatto sulle tante coppie che si separano e hanno embrioni crioconservati per trattamenti di PMA.
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