L’Istituto superiore di sanità invoca misure più severe in tutta Italia
Campania, Emilia Romagna e Molise passano in zona arancione portando a otto le regioni dove da domenica saranno chiusi bar e ristoranti per tutta la giornata e sarà possibile spostarsi dal proprio comune solo per motivi di lavoro, salute e necessità.
I DATI
Il ritorno alla zona arancione per la Campania da giorni era più di un’ipotesi. La regione è tra quelle che hanno registrato il maggior incremento nei contagi nella settimana compresa tra il 10 e il 16 febbraio scorsi, le date prese in esame per decidere la posizione cromatica a partire da lunedì prossimo. Attualmente i campani positivi al coronavirus sono 248.165, con oltre 149mila casi registrati solo nell’area metropolitana di Napoli. E Salerno, con i suoi 37mila casi è la seconda città per incidenza del virus, considerata la densità abitativa, nonostante Caserta registri quasi 42mila casi. Più rassicuranti le situazioni ad Avellino e Benevento con poco meno di 11mila casi la prima, e 6637 la seconda. Anche ieri si sono registrati 1.573 nuovi casi e 29 decessi, con un numero di tamponi che sfiorava i 20mila. Secondo la Fondazione Gimbe il monitoraggio dell’ultima settimana ha restituito un incremento di casi del 4,4% e secondo una rilevazione dell’Unità di crisi della Regione Campania la tanto temuta variante inglese del virus toccherebbe un positivo ogni 4. Troppo per non correre ai ripari, tornando all’arancione, che è stato il colore assegnato alla Campania fino al 7 gennaio scorso. Da allora la riapertura di molte attività, soprattutto di ristorazione, che in zona arancione sono costrette all’asporto. Anche la riapertura graduale delle scuole, raggiunta soltanto da una decina di giorni, avrebbe favorito l’espansione del Covid. In provincia di Napoli soltanto fino a 2 giorni fa erano 97 gli istituti scolastici di ogni grado che hanno dovuto mandare intere classi a casa per la presenza di casi di positività tra gli studenti, tra i docenti e nel personale scolastico in genere. E in alcune aree si rischia addirittura la zona rossa. Ci sono comuni dove si registrano focolai, in gran parte di tipo familiare, ma con una rapida espansione. In particolare nel Nolano, nella penisola sorrentina e nell’area vesuviana dove le attenzioni sono tutte su Torre Annunziata e Torre del Greco.
L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
Il monitoraggio settimanale del ministero della Salute fotografa una situazione in peggioramento in tutta Italia, dovuta soprattutto al diffondersi delle varianti del Covid, e gli esperti dell’Istituto superiore di Sanità tornano a ribadire la necessità di ridurre le interazioni tra i cittadini e innalzare le misure su tutto il territorio nazionale. Un invito che già la settimana prossima potrebbe essere raccolto dal governo che sta valutando la possibilità di prorogare il divieto di spostamento tra le regioni fino al 5 marzo, data in cui scadrà il Dpcm attualmente in vigore. “Serve una drastica riduzione delle interazioni fisiche e della mobilità, è fondamentale rimanere a casa il più possibile” dice l’Iss alla luce di un Rt ormai prossimo all’1 e in salita da tre settimane. “I dati ci dicono che c’è una controtendenza verso un aumento dei casi” ribadisce il direttore generale del ministro, Gianni Rezza; un’analisi confermata anche dai numeri giornalieri che indicano quasi 15.500 casi, duemila più di ieri, e ancora 353 morti in 24 ore, il tasso di positività che sale al 5,2% e un aumento dei ricoveri in terapia intensiva (+14) che da giorni si sono stabilizzati sui duemila e non riescono a scendere. Le tre regioni vanno ad aggiungersi a Abruzzo, Liguria, Toscana, Umbria, Trento e Bolzano, che già da una settimana sono in arancione. Nessuna regione passa invece formalmente in rosso, anche se nelle zone dove è stata individuata una maggiore diffusione delle varianti sono già scattati lockdown locali, con ordinanze dei governatori. In zona rossa sono le province di Bolzano, Perugia, Pescara e Chieti e diversi comuni in Lombardia, Toscana, Molise, Lazio e Piemonte. Ma è probabile che gli interventi tempestivi e aggressivi a livello locale, come li definisce Rezza, andranno ad aumentare nei prossimi giorni, a partire dal Trentino che, con il Molise, ha l’Rt più alto in Italia. E sempre la circolazione delle varianti ha fatto sfumare il passaggio della prima regione in zona bianca: in Valle d’Aosta l’incidenza è tornata sopra 50 casi ogni 100mila abitanti e il rischio è salito da basso a moderato.
L’analisi degli esperti è ora sul tavolo del governo, atteso nei prossimi giorni da una serie di decisioni da prendere. Il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini, che rilanciando una vecchia battaglia del governatore campano Vincenzo De Luca ha incassato l’appoggio di Toscana e Lombardia e la contrarietà della Liguria, ha annunciato di aver già chiesto ai ministri Roberto Speranza e Mariastella Gelmini di valutare restrizioni omogenee per «respingere questa nuova ondata». In sostanza, misure da zona arancione («non un lockdown come a marzo») uguali in tutto il Paese. Se ne parlerà nella riunione straordinaria della Conferenza delle Regioni convocata per domani con all’ordine del giorno la gestione della pandemia e il sistema delle regole in vista della scadenza del Dpcm. Al momento però la linea del governo non dovrebbe cambiare, come ha confermato anche Rezza: «ci vogliono misure adeguate e proporzionali, non credo sia previsto un cambio di strategia». Ovvio che, se le varianti dovessero far schizzare i contagi, si valuterà se imporre misure più drastiche in tutta Italia. «Non si può escludere – dicono fonti di governo – se dovessero esplodere i contagi ci saranno da fare delle scelte». In ogni caso, nei prossimi giorni il premier Mario Draghi dovrebbe fare un punto con i ministri interessati e gli esperti per valutare proprio l’impatto delle varianti, e sarà lui ad annunciare la linea anche in vista del 5 marzo, quando scadrà il Dpcm. L’orientamento è quello di prorogare il divieto di spostamento tra le regioni – che scade il 25 febbraio, giovedì prossimo – proprio fino al 5 marzo in modo da avere più tempo per lavorare, anche con le regioni, ad un unico provvedimento che delineerà i nuovi interventi. Partendo da un punto che nessuno mette in dubbio: la linea del rigore non può essere, ancora, abbandonata».