Un anno fa la prima sequenza del nuovo coronavirus, oggi siamo a oltre 300mila quelle scoperte
A gennaio 2020, una “malattia” sconosciuta arrivava dalla Cina. Si trattava di un virus sconosciuto che aveva causato misteriosi casi di polmonite a Whuan, nella città cinese. Grazie alla pressione insistente di numerosi ricercatori occidentali, l’11 gennaio 2020, esattamente un anno fa, la Cina pubblicava la prima sequenza di quello che sarebbe diventato il virus SarsCoV2. Oggi sono più di 300.000 le sequenze del virus responsabile della seconda pandemia del secolo e, grazie ad esse, è stato possibile progettare vaccini e monitorare le mutazioni del virus. Sono depositate in grandi banche dati pubbliche, come Gisaid e Genebank, e analizzate anche grazie a progetti come Nextstrain.
LE VARIANTI PIU’ DIFFUSE
Complessivamente in Italia sono state ottenute più di 1.300 sequenze dall’inizio della pandemia e uno dei luoghi cruciali per la ricerca in questo campo è il centro di biotecnologie avanzate Ceinge di Napoli. L’analisi delle sequenze, per esempio, ha permesso di indentificare le due varianti del virus SarsCoV-2 al momento più diffuse in Italia: si chiamano 20A.EU1 e 20A.EU2, sono comparse in estate in Spagna e sono arrivate in Italia all’inizio dell’autunno, probabilmente in seguito alla riapertura delle frontiere avvenuta in estate; una terza variante, la cosiddetta variante inglese (indicata con le sigle 20B/501YD1 oppure B.1.1.7) è al momento meno diffusa e, alla luce dei dati più recenti, sembra circolare soprattutto in Campania e in Abruzzo. Più in generale, l’analisi delle sequenze ha permesso di ricostruire la storia evolutiva del virus SarsCoV2 in Italia, osserva l’esperto di Bioinformatica dei Ceinge, Angelo Boccia. Secondo la ricostruzione, “la prima forma del virus comparsa nel nostro Paese è stata quella di origine asiatica, ma ha avuto vita breve. Quindi ha preso il sopravvento la nuova variante 20A, che ha caratterizzato i primi mesi della pandemia in Europa, e che presto si è diffusa in tutto il globo”. Secondo alcuni studi questa variante del virus ha tratto vantaggio dalla presenza di una mutazione sulla principale arma con cui il virus si aggancia alle cellule, la proteina Spike, in grado di rendere la variante più trasmissibile. La stessa variante ha dato presto vita ad altri sottotipi che si sono ampiamente diffusi. Da questo punto di vista, prosegue Boccia, “la storia del virus in Italia ricalca grosso modo quella europea, pur presentando alcune peculiarità. Ad esempio, la variante 20C, che in altri Paesi europei è ampiamente rappresentata, in Italia sembra essere praticamente assente”.
LA VARIANTE INGLESE
Le analisi condotte dal Ceinge indicano inoltre che “al momento i casi della variante inglese identificati in Italia sono una ventina, ma – rileva Boccia – secondo le nostre analisi la variante è in fase di espansione”. La caratteristica di questa variante, prosegue Boccia, è nelle sue “numerose mutazioni, presenti nella proteina Spike in un numero inaspettatamente alto. Non ci sono comunque, al momento, ancora evidenze sperimentali sulle conseguenze di queste mutazioni”.