Intervento del segretario generale della Cisl Pietro Antonacchio
Pazienti lasciati in attesa che stazionano per quattro e anche cinque giorni, alcuni dei quali addirittura con sospetta endocardite batterica, figli di nessuno e dimenticati ad attendere la possibilità di essere ricoverati. Speriamo che almeno in questa situazione di grave crisi del sistema sanitario dello stabilimento Ruggi, si comprenda la necessità di cambiare il vertice, prima che sia troppo tardi e che la prevista terza ondata di gennaio sia una ipotesi errata. Dall’inizio non si è riuscito a trovare soluzioni forse perché la direzione strategica, rintanatasi nelle stanze ai piani alti, non ha da subito ipotizzato una differenziazione dei suoi stabilimenti, in strutture ospedaliere Covid e Covid Free. Non avendo la possibilità logistica di differenziare i percorsi vi è stata una commistione che ha reso impossibile evitare i focolai. Per tale ragione da marzo a tutt’oggi sono inalterate le soste lunghe in pronto soccorso, impossibile evitare pericolosi assembramenti, assenza di incrementare e potenziare gli organici per cui lo stress lavorativo degli operatori è alle stelle, tutte le stanze in isolamento sono occupate, assenza totale di spazi vitali per operatori ed utenti, incapacità a trovare soluzioni per individuare uno spazio dedicato per gestire i codici rossi. L’attuale pronto soccorso dello stabilimento Ruggi filtra gran parte dell’utenza salernitana, metelliana e della Valle dell’Irno e se il filtro è otturato in quanto congestionato, viene messa in ginocchio l’intera assistenza sanitaria di tutta la città e provincia. A ciò si aggiunge il blocco di alcune prestazioni per chiusura dei reparti a seguito di numerosi focolai infettivi che ha coinvolto molti operatori. In considerazione di ciò utenti stazionano per interi giorni se non addirittura per una settimana e oltre, assistiti da personale in carenza e quindi assoggetti a carichi di lavoro eccessivi, in spazi oramai al collasso ed angusti, con rischio di eventi avversi, per utenti e lavoratori. Se a ciò si aggiunge che l’Osservazione Breve Intensiva (OBI) è chiusa da 16 novembre scorso a seguito di un focolaio esploso nella struttura con oltre 7 operatori coinvolti, molto probabilmente per mancanza di sanificazione e disinfezione adeguata, carenza di personale e dispositivi idonei atteso che forse l’ente se, ora e solo ora, ha dotato tutto l’ospedale di mascherine FFP2 KN95 si è resa consapevole che le mascherine chirurgiche i camici monouso non sono efficaci a evitare contagi. E’ stata assente una politica aziendale di affiancamento in formazione con personale esperto, riducendo alla sola visione di un video su vestizione e svestizione tale momento formativo, anche per i nuovi operatori sanitari e socio sanitari. Situazione che incide ulteriormente sull’aggravio di lavoro per gli operatori addetti ai vari servizi i quali devono provvedere oltre che alle cure e all’assistenza anche a vigilare e formare le nuove leve per evitare rischio clinico correlato, per salvaguardare addetti e utenti. Da tutti questi problemi, causati da una totale assenza di pianificazione dell’emergenza, analizzando i flussi e i casi sospetti, che bisognerebbe partire, creando spazi nuovi per i Covid in attesa di ricovero, e definire una vera zona filtro, ovvero una zona grigia, che faccia da scudo ai reparti di degenza. Ad esempio si potrebbe ipotizzare l’OBI come zona rossa Covid-19 e creare percorsi interni ed esterni per ricoveri o esami di diagnostica e adibire il pronto soccorso a zona grigia con percorsi puliti e differenziati dalla zona rossa, con stazionamenti circoscritti entro le 36/48 ore al massimo, tempo entro il quale effettuare un doppio tampone molecolare e dare certezza e sicurezza ai reparti che dovranno ospitare gli utenti. Questo potrebbe essere una ipotesi e quindi si ritiene essenziali che la direzione strategica ipotizzi di avviare un processo di riflessione interna per effettuare una revisione regolare e sistematica del pratica clinica e modificarla, attraverso un’autocritica sensata e utilizzando l’esperienza maturata sul campo dai suoi professionisti impegnati direttamente nella filiera assistenziale, per creare concreti percorsi finalizzati ad abbassare la soglia di contagio intra ospedaliero, processo di cui potrebbero beneficiarne tutti.