L’inquinamento che uccide: la morte di una bambina fa la storia

Il primo caso di morte per smog a Londra diventa un precedente giurisprudenziale per il diritto anglosassone e avrà influenza notevole sul rapporto con l’ambiente in tutto il mondo

Lo smog può uccidere e ha ucciso. A stabilirlo una sentenza di un tribunale britannico per il decesso, nel 2013 di Ella Kissi-Debrah, bambina della periferia londinese di soli nove anni, causata da un attacco d’asma. Il verdetto è stato pronunciato dal tribunale di Southwark soltanto il 16 dicembre scorso. La prima volta in cui la piccola fu portata in ospedale, dove rimase per tre giorni in coma indotto, fu nel 2010. All’epoca Ella aveva 6 anni. Nel giro di 24 mesi, la bambina fu dichiarata disabile a causa dei molteplici episodi di insufficienza respiratoria. Ciononostante, la sua famiglia era completamente all’oscuro dei rischi a cui andava incontro la figlia per il semplice fatto di respirare aria che, in realtà, era per lei nociva. A seguito della sua inchiesta, il coroner Philip Barlow ha dichiarato che la morte di Ella è stata causata da un’esposizione a livelli alti ed illegittimi di inquinamento atmosferico, tradottosi in un “contributo materiale” al decesso, come definito dalla Southwark Coroner’s Court. Le principali responsabili dell’inquinamento, riporta la sentenza, sono le automobili le cui emissioni di biossido di azoto (tra le forme più pericolose di avvelenamento dell’aria) oltrepassavano le soglie prestabilite dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Una colpa che non può essere riversata su qualcuno se non l’intera comunità che con i suoi comportamenti irresponsabili nei confronti dell’ambiente, ha dato vita a quello che è la responsabilità oggettiva in Italia, la quale poggia le proprie basi unicamente sul nesso di causalità. Nella decisione finale del tribunale britannico, quindi, il diritto alla salubrità dell’ambiente assurge sostanzialmente a componente principale ed ineliminabile del diritto alla salute.

Una certezza del genere, lontana dalla semplice possibilità o probabilità, è assolutamente inedita ed è stata la miccia che ha acceso il dibattito in Inghilterra: oggi si discute di uguaglianza sociale, di necessità di aria pulita per tutti e non soltanto per le classi più elevate. Inoltre, il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha sottolineato come sia necessario dare vita a dei cambiamenti in città che possano apportare miglioramenti ad una situazione che egli ha definito «una crisi di salute pubblica»: una delle soluzioni prospettate a tale proposito, è l’implementazione di maggiori “zone a traffico limitato”, soprattutto nel centro. Se mai sia possibile dare per scontata l’aria stessa che respiriamo, casi come questo, di persone come Ella, strappata alla vita prestissimo per cause che non poteva controllare, ci permettono non solo di apprezzarla, ma anche di sentire più forte la necessità di proteggerla. Questo della piccola Ella non è il primo caso in cui l’inquinamento gioca un ruolo chiave in una decisione giurisprudenziale. Torna, infatti, alla memoria quello rappresentato dal film “A Civil Action”. Qui, John Travolta, accompagnato dall’incomparabile Robert Duvall, veste i panni di Jan Schlichtmann, avvocato del Massachusetts che lotta contro due industrie responsabili di avere inquinato la falda acquifera della comunità di Woburn con i propri scarichi, causando la leucemia di alcuni suoi abitanti. Caso quasi analogo a questo, poi, è anche stato risolto dai giudici della Corte EDU, nel 1994, in Lopez Ostra c. Spagna, che riguardava, ancora una volta, la contaminazione dell’aria causata dalle emissioni di una conceria. Lo smog, però, non aveva ancora ucciso, fino ad ora.
Alba Pantani
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