In una prima tranche dell’inchiesta del Gico di Palermo sul mondo delle scommesse coinvolto un imprenditore di Battipaglia e in un’indagine collaterale torna in carcere lo stesso battipagliese ma ai domiciliari finisce anche un 50enne di Angri
I mandamenti di Palermo avevano la necessità di riciclare soldi delle loro attività illecite e sono entrati, grazie a degli intermediari, nel settore delle scommesse legali. Una volta entrati in questo ambito, grazie ad alcuni gestori di sale scommesse proponevano in contemporanea ai clienti di fare puntate con piattaforme illegale straniere. Due le operazioni del Gico della guardia di finanza e della Dda di Palermo, una denominata “All in” dello scorso giugno e una “All in si gioca” di ieri.
LA PRIMA OPERAZIONE
A giugno scorso finirono in carcere: il 57enne Francesco Paolo Maniscalco, il 55enne Salvatore Sorrentino, il 59enne Salvatore Rubino, il 42enne Vincenzo Fiore e il 44enne Christian Tortora. In tre andarono agli arresti domiciliari: l’88enne Giuseppe Rubino, il 26ienne Antonino Maniscalco e il 61enne Girolamo Di Marzo. Gli indagati lo erano a vario titolo indagati per la partecipazione e il concorso esterno nell’associazione di stampo mafioso “Cosa nostra”, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori, questi ultimi reati aggravati dalla finalità di aver favorito le articolazioni mafiose cittadine. Nei confronti dei fratelli Elio Camilleri (classe 1958) e Maurizio Camilleri (classe 1955) fu applicata la misura del divieto di dimora nel territorio del Comune di Palermo. Il G.I.P. dispose il sequestro preventivo: dell’intero capitale sociale e del relativo complesso aziendale di 8 imprese, con sede in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie scommesse; di 9 agenzie scommesse, ubicate a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno, attualmente gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro. Le attività economiche in esame sono state ritenute riconducibili al paradigma dell’”impresa mafiosa”, in quanto: strategicamente dirette da soggetti appartenenti e contigui a “Cosa Nostra” e finanziate da risorse economiche provento del delitto associativo di stampo mafioso. Le complesse investigazioni condotte dagli specialisti antimafia del Gico del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Palermo, svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, videoriprese, esami dei flussi finanziari, consentirono di fornire una plastica dimostrazione della sistematica ricerca del potere economico da parte di “Cosa Nostra”, con particolare riferimento all’acquisizione del controllo del lucroso settore economico della gestione dei giochi e delle scommesse sportive, e delineare l’esistenza di un gruppo di imprese gravitante intorno alle figure centrali di Francesco Paolo Maniscalco, di risalente ed indiscusso lignaggio mafioso, già condannato per la sua organicità alla famiglia di Palermo Centro, e di Salvatore Rubino che ha messo a disposizione dei clan la propria abilità imprenditoriale al fine di riciclare denaro di origine illecita e, al contempo, di esercitare un concreto potere di gestione e imposizione sulla rete di raccolta delle scommesse. Le inchieste, sottolinearono i finanzieri ricostruirono le metodologie attraverso cui l’organizzazione criminale era riuscita ad “infiltrarsi” nell’economia “legale” attraverso il controllo di imprese – la cui gestione operativa occulta veniva progressivamente demandata a Vincenzo Fiore e Christian Tortora – che detengono, anche a seguito della partecipazione a bandi pubblici, le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive, sviluppando nel tempo una strategia operativa di stampo aziendalistico protesa alla massimizzazione dei profitti. L’ambizioso “progetto aziendale” mafioso ha beneficiato di finanziamenti provenienti sia dal mandamento di Porta Nuova, ad opera del cassiere pro tempore che ha investito, ottenendone profitto, liquidità destinate anche al sostentamento dei carcerati, sia dal mandamento di Pagliarelli attraverso l’acquisto di quote societarie operato dai fratelli Camilleri, imprenditori ritenuti collusi e vicini al reggente del momento, investimento poi liquidato a causa di dissidi interni, con l’erogazione, in più tranche, di oltre 500.000 euro. A testimonianza della significatività degli interessi in campo, nel corso delle indagini sono stati monitorati gli esiti di diversi summit mafiosi, cui hanno partecipato anche i massimi vertici del mandamento Pagliarelli, Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, chiamati in causa proprio per dirimere alcuni contrasti relativi alla fase di liquidazione del citato investimento. A dimostrazione della trasversalità degli interessi economico – finanziari delle varie articolazioni di Cosa nostra palermitana, l’espansione sul territorio della rete di agenzie scommesse e di corner gestiti tramite le imprese sequestrate è stata garantita dall’ombrello protezionistico delle famiglie mafiose con le quali gli indagati si sono costantemente relazionati ottenendo reciproci vantaggi sia in termini affaristici che di rafforzamento della capacità di controllo economico – territoriale. In particolare, sono state documentate interazioni, oltre che con esponenti di Pagliarelli, con l’apertura di centri scommesse direttamente riconducibili al mafioso Salvatore Sorrentino, e di Porta Nuova per la sistematica restituzione – operata nel tempo attraverso la figura di Giuseppe Rubino – dei profitti connessi agli investimenti nel tempo effettuati, parte dei quali destinati al “sostentamento dei detenuti” nonché al mantenimento di un “vitalizio” per i familiari del boss assassinato Nicolò Ingarao, anche con referenti dei mandamenti: della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria del Gesù, di Belmonte Mezzagno, nel cui territorio, ottenuta la necessaria autorizzazione mafiosa, sono stati aperti ulteriori centri scommesse; di San Lorenzo, per l’affidamento di lavori di allestimento delle agenzie del gruppo mafioso indagato ad imprese riconducibili ai vertici di quella consorteria. Negli anni, grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla “vicinanza” ai clan, gli indagati hanno acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un “impero economico” costituito da imprese – formalmente intestate a prestanomi compiacenti tra i quali Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo – che complessivamente nel tempo sono giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro. La rilevante capacità economica sviluppata è testimoniata dalle acquisizioni patrimoniali operate negli ultimi mesi, a conferma della concreta minaccia delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico legale, oggi in seria difficoltà a causa delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica connessa alla diffusione del Covid-19. Infatti, il gruppo imprenditoriale indagato, in quest’ultimo periodo, ha acquistato, nel quartiere Malaspina, senza necessità di contrarre finanziamenti bancari: un immobile dichiarato a partire dallo scorso febbraio come ufficio amministrativo di una delle società del gruppo; il 15 maggio scorso un’ulteriore agenzia scommesse, entrambi oggetto del provvedimento di sequestro eseguito.
IL BLITZ DI IERI
Sempre su delega della Dda di Palermo, coordinata dal Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca, i finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal Gip nei confronti di 15 persone. Sei sono finiti in custodia cautelare in carcere: il 59enne Salvatore Rubino, il 42enne Vincenzo Fiore, il 44enne Christian Tortora di Battipaglia, il 48enne Rosario Chianiello, il 43enne Michelangelo Guarino e il 46ienne Giovanni Di Noto. Nove sono finiti agli arresti domiciliari: il 63enne Salvatore Barrale, il 46ienne Maurizio Di Bella, il 50enne Pasquale Somma di Angri, il 36ienne Giovanni Castagnetta, il 41enne Davide Catalano, il 36ienne Giacomo Bilello, il 31enne Pietro Montalto, il 55enne Antonio Inserra e 34enne Salvatore Lombardo. Indagati a vario titolo indagati per associazione a delinquere, non mafiosa, finalizzata all’esercizio abusivo delle scommesse e truffa ai danni dello Stato, nonché per trasferimento fraudolento di valori. Con lo stesso provvedimento il G.I.P. ha disposto il sequestro preventivo di 6 agenzie scommesse, ubicate a Palermo e in provincia di Napoli, per un valore complessivo stimato di circa un milione di euro. Le complesse investigazioni oggetto dell’odierno provvedimento costituiscono la prosecuzione dell’operazione “ALL IN” (del giugno 2020). In tale contesto investigativo, gli specialisti antimafia del Gico del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Palermo hanno sviluppato un secondo filone d’indagine che ha permesso di ricostruire una complessa ed articolata rete di persone fisiche e giuridiche che si è occupata della diffusione e della gestione della raccolta illegale delle scommesse. È stata in particolare accertata l’operatività criminale di due distinte associazioni a delinquere, parallele ma entrambe facenti capo a Salvatore Rubino, promotore delle attività illecite dei due citati gruppi e destinatario di parte dei rilevantissimi proventi così ottenuti. L’efficacia dell’azione criminale è testimoniata dalla capacità della rete commerciale illecita di generare volumi di giocate di almeno 2,5 milioni di euro al mese, come desumibile da alcune intercettazioni telefoniche. Il primo gruppo criminale, capeggiato da Vincenzo Fiore e Christian Tortora e composto da Salvatore Barrale, Maurizio Di Bella, Pasquale Somma e Giovanni Castagnetta, sovrintendeva all’operatività di una rete di agenzie, ognuna delle quali riconducibile a soggetti di fiducia (i cosiddetti “master”). La seconda organizzazione, che pure gestiva centri scommesse attraverso cui operava la raccolta illecita, aveva come figure di rilievo Chianello Rosario e Guarino Michelangelo e si avvaleva della collaborazione di Giovanni Di Noto, detto “Gianfranco”, già tratto in arresto in quanto ritenuto elemento di spicco della famiglia mafiosa della Noce. Di questo gruppo criminale facevano parte anche Davide Catalano, Giacomo Bilello, Pietro Montalto, Antonio Inserra e Salvatore Lombardo. La raccolta illegale delle scommesse avveniva attraverso lo “schermo” di agenzie operanti regolarmente in forza di diritti connessi a concessioni assegnate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
IL MODUS OPERANDI
I gestori di agenzie abilitate alla raccolta lecita di scommesse “da banco”, in accordo con le consorterie criminali indagate, alimentavano parallelamente un circuito illecito accettando scommesse in contanti dai clienti che venivano convogliate su “conti gioco” intestati a soggetti terzi mediante l’utilizzo di piattaforme straniere illegali. L’organizzazione generava quindi un circuito vorticoso di flussi finanziari privi di qualunque tipo di tracciabilità e sottratti totalmente al totalizzatore nazionale delle Dogane e dei Monopoli. In tal modo, riuscivano a sottrarsi all’imposizione fiscale e alle disposizioni in materia di antiriciclaggio.