San Mauro zona di allagamenti atavici. In via Santa Maria a Palo uno degli esempi
La parola d’ordine è manutenzione. È questo il tassello che manca per i due torrenti nocerini, Cavaiola e Solofrana. Gli allagamenti di domenica scorsa sono stati causati dallo straripamento in zona San Mauro, all’altezza di via Santa Maria a Palo, dell’Alveo comune nocerino, per la rottura di un argine che ha provocato l’inondazione di alcune abitazioni della vicina Pagani in via Mannara. Il torrente in quella zona rappresenta la confluenza del Solofrana e del Cavaiola che, in via Pucci, costituiscono l’Alveo comune nocerino. Quindi due grosse portate d’acqua che a San Mauro imboccano un canale ristretto, pronto a riempirsi, appena si intensificano le piogge. Un film già visto che si ripete ciclicamente e quando poi arriva la “bomba d’acqua”, come si usa oggi definire un nubifragio, gli argini cedono facilmente. Ed è proprio sugli argini che va fatta luce. Infatti, andando a ritroso nel tempo, la storia ci dice che il contenimento dei torrenti nocerini presenta una caratteristica specifica, ereditata dai Borbone. Si tratta, in parole semplici, di due aspetti peculiari che il casato delle Due Sicilie ha adottato in tutto il Regno. L’argine costruito in tufo, sorretto da un terrapieno, con la piantumazione di canne per evitarne lo sgretolamento. Una ricetta che potrebbe sembrare banale, ma che ha una sua funzione. La massa d’acqua, specie quando il fiume é in piena, è ben attutita da questo tipo di argini, che presentano una flessibilità, tale da evitare rotture. Un sistema di protezione che ricordano molti contadini dell’Agro e che per anni hanno cercato di manutenere. Purtroppo, in molti punti del Solofrana e dell’Alveo comune nocerino, il terrapieno è scomparso, generando un conseguenziale indebolimento degli argini. Va detto, comunque, che il problema è più complesso.
Oltre gli argini, andrebbe effettuato il dragaggio e la pulizia del letto, il che consentirebbe un abbassamento del livello dell’acqua. In questi anni è mancata proprio la manutenzione, in particolare il dragaggio. Al di là di episodiche operazioni di pulizia, la costante e frequente pulizia, é stata l’anello mancante della manutenzione. A Sarno, le colate di fango di domenica, sono state solo lo specchio del problema. Vero é che gli incendi boschivi hanno inciso sulla tenuta del terreno, ma la pulizia dei canali e delle vasche, per la città dei sarrasti, è ancora un miraggio. Infatti, il primo cittadino Giuseppe Canfora, nella richiesta dello stato di calamità naturale, ha evidenziato quanto sia necessaria la manutenzione e la pulizia di briglie, vasche e canali. Del resto i regi lagni di epoca borbonica sono l’esempio, insieme alle briglie ed alle vasche, di un programma di prevenzione del dissesto idrogeologico. I Borbone conoscevano bene la fragilità del territorio, tanto da predisporre, per tamponare il fenomeno, opere ingegneristiche all’avanguardia per quel tempo. Il passato insegna e l’utilizzo di nuovi materiali non può che evitare che avvengano disastri. È questo il punto di svolta della vicenda: la cura costante e continua del territorio.
Giuseppe Colamonaco