Nocera, truffa all’Inps ed all’Agenzia delle entrate

Respinto il ricorso di Santilli

La Corte di Cassazione respinge il ricorso di Gianluca Santilli relativo ad una condanna di 2 anni di reclusione per associazione con fine delittuoso per reati di truffa. Due le motivazioni lamentate: una in violazione dell’erronea qualificazione giuridica dei fatti e l’altra sul vizio di motivazione in relazione alla responsabilità per il reato associativo. Secondo il ricorrente ci sarebbe stato un errore nei fatti ed un vizio nella responsabilità del reato. La Cassazione ha ritenuto infondati il primo ed il secondo motivo. La vicenda riguarda una pluralità di reati di truffa aggravata con danni all’Inps e l’Agenzia delle entrate. A Santilli si contesta di essersi associato, tra il 2016 ed il 2019, con Aniello Massaro, Piepaolo Porzio e Gennaro Capoccia, per aver erogato somme relative a prestazioni assistenziali e previdenziali indebite, asseritamente anticipate da aziende sotto forma di assegni al nucleo familiare, malattia, maternità e bonus Irpef pari ad euro 80 ex I. 190/2014.

Inoltre, Santilli e Massaro, consulenti del lavoro, su disposizioni di Porzio, Mosca e Capoccia, gestori di Federaziende ed E.B.I.N. (Ente Bilaterale), indicavano negli uniemens e nei mod. F24 relativi ai lavoratori delle aziende da loro assistite, somme apparentemente anticipate ai lavoratori medesimi che in realtà non erano state mai corrisposte in modo da creare un credito nei confronti dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate a cui chiedevano di devolvere le somme, apparentemente spettanti a Federaziende e all’Ente Bilaterale E.B.I.N. Rispetto a tali fatti, la Cassazione, pur essendoci la possibilità di ricorrere per erronea qualificazione giuridica, non ha rilevato eccentricità e quindi ha ritenuto infondata la motivazione. Per consolidata giurisprudenza, la sentenza può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità. Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta correttamente al suddetto principio escludendo espressamente la sussistenza di una delle cause di cui all’art. 129 cod. proc. penale. Quindi, per i giudici, anche la seconda motivazione è risultata infondata. All’inammissibilità del ricorso è stata applicata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di 3mila euro.
gc
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