Più presenza nei servizi e maggior sostegno economico
Le condizioni di vita dei diversamente abili restano una questione non del tutto risolta in Italia, in Campania e nell’Agro nocerino – sarnese. Nonostante gli sforzi economici nazionali e recentemente anche regionali, in virtù dell’emergenza sanitaria in corso, la disabilità rimane uno dei capitoli strettamente attuali, ma che spesso evidenziano pagine di criticità. A dirlo, in una lettera inviata alla nostra redazione, il signor Vincenzo Barone, di Pagani. Una lunga riflessione sulla propria quotidianità, ma anche un appello alle istituzioni. “Nel 2020, in Italia, – si legge nella missiva – ci saranno 4,8 milioni di persone con disabilità. Io faccio parte di quel numero. Ma non sono un numero. Sono una persona. Ho un nome e una storia, e invito tutti gli uomini politici di ogni partito ad ascoltarla. Mi chiamo Vincenzo Barone e sono di Pagani (Salerno). La mia storia inizia a 5 mesi di vita, età in cui il mondo mi accoglieva ed in cui sarei cresciuto come tutti gli altri bambini. Invece, la poliomielite bussa alla mia porta. Pochi anni dopo non cammino più e da allora la carrozzina diventa la mia inseparabile compagna di vita. Sono invalido civile al 100% e non uso gli arti inferiori: i miei sono stati anni di sofferenze, del corpo e del cuore, e di lotte portate avanti con tenacia. Dipendo completamente, in tutto e per tutto, dalla mia sedia a rotelle e chi ama l’autonomia e la libertà, chiuda un attimo gli occhi e provi a pensare a come ci si sente. La mia vita è stata sempre una dura prova: oltre alla poliomielite e ai numerosi interventi chirurgici agli arti inferiori. Nonostante tutto non ho mai smesso di amare la vita e affrontare con fede la sofferenza. Convivere con essa, accettarla e accoglierla per testimoniare il valore e la bellezza della vita, sono tappe di un cammino lungo e difficile, ma che con gioia percorro ogni giorno e che mi conduce ad amare anche il mio corpo provato e la mia vecchia carrozzina. Il più grande sostegno, in questi anni, mi è arrivato dalla mia famiglia.
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Ma è giusto che ci si debba sentire abbandonati dallo Stato? Oggi, dopo tutti questi anni, mi trovo a riflettere su come sia più semplice per me accettare la mia malattia alla luce della fede, piuttosto che rassegnarmi all’indifferenza di chi ci governa e a un immobilismo legislativo che ferisce e abbandona i cittadini meno fortunati e più soli”. Il pensiero di Vincenzo va oltre i confini locali e si sofferma sui recenti provvedimenti adottati per l’emergenza da Covid-19: “Nel 2020, dicevo ad apertura della lettera, i disabili italiani saranno 4,8 milioni. Milioni di persone, ognuno un numero che nasconde un nome, una storia di sofferenza e la speranza che qualcuno si accorga di lui. Milioni di fantasmi inesistenti per lo Stato. I dati Censis parlano chiaro: il vero perno del welfare è la famiglia, sulla quale ricade la responsabilità e il peso dell’assistenza della persona con disabilità, soprattutto in età adulta. Con questa lettera voglio chiedere di aprire gli occhi e il cuore sulla dolorosa e gravissima realtà dei disabili e dei familiari che li assistono, specie in questo momento dove sembra che i politici facciano a gara a gettarsi fango addosso, senza soffermarsi sulle vere esigenze di una parte di popolo che sembra invisibile, solo un numero, ma c’è. Un disabile non può vivere con 290 euro al mese e non posso assolutamente accettare che la Regione Campania abbia deciso di portare le pensioni minime a 1000 euro per due mesi o che lo Stato dispensi aiuti a destra e a manca dimenticando ancora una volta che esistiamo anche noi disabili. I 290 euro al mese non bastano a garantire una vita dignitosa. La mia compagna mi assiste con amore e dedizione, ho accanto dei familiari con un cuore grande, ma mi rendo conto che assistere una persona con disabilità richiede forza fisica, risorse economiche, sacrifici e rinuncia alla privacy, al proprio tempo libero e persino al lavoro. Non sarebbe giusto venire incontro a queste famiglie? Invece di aumentare il sostegno alla disabilità, si costringe a fare dell’assistenza un onere esclusivo della famiglia. La separazione tra il mondo delle Istituzioni e la vita sociale reale impedisce ai rappresentanti della “cosa pubblica” di conoscere le proporzioni realistiche dei costi determinati dall’esistenza di gravi disabilità”. Condivido queste riflessioni perché nel caso di una disabilità grave o totale agli arti inferiori come la mia, comporta enormi sacrifici per chi ti vive accanto. Spesso i familiari sono costretti ad abbandonare il lavoro, per cui a chi si occupa del disabile dovrebbe essere riconosciuto uno status giuridico cui far corrispondere un riconoscimento economico, perché oltre ad adempiere a un proprio dovere morale, sostituisce letteralmente lo Stato, laddove quest’ultimo non assolve alla sua funzione costituzionale di farsi carico dei disabili”.
La riflessione di Barone si sposta poi sul quadro normativo e non solo: “La Legge 104/92 prevede congedi retribuiti per due anni: tuttavia, dopo due anni, il disabile non guarisce; la sua è una condizione perpetua. In quest’ottica, s’inserisce la proposta di prevedere la tredicesima sulle indennità di accompagnamento e il prepensionamento per i familiari che assistono disabili. La legge sul prepensionamento è importante per i familiari dei disabili, per restituire loro un po’ di vita, anche perché nessuno sa seguire un disabile come un familiare stretto e quindi lo Stato deve permettere che questo sia possibile. E da ultimo, c’è il problema delle “false invalidità”: lo Stato dovrebbe aumentare i controlli su quella che è una vera piaga. Questa lettera non è solo un grido di denuncia, ma vuole essere anche un inno alla vita e al rispetto della vita. È il mio amore per essa che mi spinge a scrivere ancora, nonostante sia stanco di lottare e di combattere per i diritti negati da una politica che pensa solo alla poltrona e ai propri stipendi, sempre più alti. Eserciterò il mio diritto alla pretesa di una dignità calpestata e ammetto di avere perso la fiducia nei confronti di chi pensa esclusivamente al proprio interesse, a trascorrere una vita fatta di sprechi, nell’indifferenza per chi soffre. Non è un quadro semplicistico, ma una realtà, che ormai non fa più scalpore. Invito dunque gli uomini politici ad ospitare per una settimana un disabile, con tutte le sue necessità ventiquattr’ore su ventiquattro: solo allora si avrebbe la giusta cognizione di cosa serve a una persona con disabilità. Li invito a toccare con mano cosa sia la sofferenza, cosa significhi essere meno fortunati e a considerare le persone con disabilità non come un numero, ma come singole persone, ognuna delle quali con un volto, un nome, una storia di dolore alle spalle, un futuro di fede.
Il mio nome è qui in calce, ho raccontato la mia storia. Ora per voi non sono più un numero, uno tra i tanti: sono Vincenzo Barone di Pagani e do voce alle persone che, come me, devono lottare per conquistare, giorno dopo giorno, una vita dignitosa. La vita di ognuno può cambiare in un secondo e tutti potrebbero trovarsi a vivere sulla propria pelle l’esperienza di una sofferenza che rende impotenti. Questa consapevolezza non deve spaventare, ma dovrebbe spingere ciascuno di noi a lavorare per costruire una società più giusta e solidale. Le istituzioni non possono eliminare la sofferenza e il dolore, ma senza dubbio devono tutelare i più deboli e cogliere quelle sfide importanti che, se non hanno risposte concrete e immediate, alimentano ogni giorno di più, paura, disagio e disperazione. Barone Vincenzo”.
Giuseppe Colamonaco