Ha bisogno di farmaci e riabilitazione, il distretto blocca le cure

Da Maria, nome di fantasia perché la signora vuole mantenere l’anonimato, riceviamo questa lettera. Ci ha chiesto di farla conoscere. Lo facciamo.

Questa mia lettera non farà notizia. Non lo farebbe in tempi normali, figuriamoci in tempi difficili come questi. Ma la scrivo lo stesso. Perché mi sento tradita e voglio dirlo, perché sono disperata ma non rassegnata, per tutti quelli che subiscono la mia stessa ingiustizia. Perché sono viva. La mia vita cambia quando a 25 anni, oggi ne ho più di cinquanta, inizio ad avere dolori lancinanti: prima le gambe, poi la schiena, le ginocchia, le spalle, le mani, i piedi… Tutto. Vivere diventa impossibile, le stampelle, un’operazione all’anca, l’incapacità di fare anche i pochi gradini di casa. Artride reumatoide, si chiama. Una bestia. Come se non bastasse si aggiunge un’altra malattia grave, ipoplasia midollare. Ma sono viva, e combatto. A fine 2019, dopo un lungo iter burocratico, vengo esaminata dalla commissione dei medici specialisti della ASL. Gentili, seri, mi dicono la verità senza addolcirla: non potrò guarire, ma potrò migliorare, ed evitare di peggiorare. Servono due cose, farmaci e riabilitazione. Questa parola per me è una speranza, diventerà un incubo. Mi prescrivono un ciclo di 90 giorni di terapia ambulatoriale due volte a settimana, devo iniziarlo il prima possibile. Vado al centro di riabilitazione dove mi fanno il piano terapeutico, il medico della ASL lo approva. È fatta, manca solo l’autorizzazione del Distretto sanitario.

Faccio la richiesta, so che è una formalità burocratica. E invece no, il vero calvario comincia lì. L’autorizzazione non arriva. Vado più volte, chiedo, quasi imploro. “Passate tra qualche giorno”, tutte le volte. Passano mesi. A un certo punto mi informano che la mia domanda non può neanche essere valutata perché sarebbe fuori da una fantomatica lista di attesa. Nemmeno la valutano, praticamente non esisto. Cerco di capire, ma non capisco. I medici mi spiegano che se non farò la riabilitazione peggiorerò, rischierò di finire su una carrozzina. Disperata mi rivolgo a un avvocato. Un avvocato per ottenere dalla ASL le cure che la Asl mi ha prescritto. Assurdo. L’avvocato mi spiega che a negare l’autorizzazione sono i medici dirigenti del distretto. Medici? Come può un medico condannare una persona alla malattia? Considerarla una pratica da lasciare in un cassetto? Io credo che queste persone per fare il lavoro per cui noi cittadini le paghiamo dovrebbero prima superare un esame di umanità. Sento sempre il Governatore parlare dei diritti dei più deboli. Ecco, l’esame di umanità quei medici burocrati dovrebbero farlo davanti al Governatore. Ogni anno. È un paradosso? Può darsi. Ma intanto io continuo a peggiorare. Come tanti altri nelle mie stesse condizioni. Però sono viva. So che ce la farò, e voglio scriverlo. Anche se questa lettera non interesserà a nessuno, non farà notizia. Vorrà dire, semplicemente, che stiamo perdendo ciò che abbiamo di più prezioso, la nostra umanità. Un’ultima cosa: i miei tre mesi di terapia, mi hanno detto, sarebbero costati alla ASL 1.008 euro. Evidentemente per loro non li valgo. Grazie.

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