È profondamente amareggiata Marisa Diana, sorella di don Peppe, ucciso dalla camorra a Casal Di Principe.
«Siamo molto amareggiati per il silenzio della Chiesa – aggiunge la sorella del giovane sacerdote ammazzato dalla camorra 25 anni fa -. La causa di beatificazione di don Peppe Diana è inspiegabilmente ferma, questo silenzio per noi rappresenta un altro dolore, che si somma alla perdita di mio fratello, Don Peppino ha amato e servito Dio e la Chiesa, e per i suoi fratelli ha sacrificato se stesso. Certo noi non possiamo sostituirci alla Chiesa che deve fare il suo corso, ma come famiglia siamo delusi e amareggiati da tutto questo tempo trascorso senza avere notizie». Le pesanti parole sono state esclamate durante un incontro, venerdì sera, a Mercato San Severino dove Marisa Diana era stata invitata per portare la propria testimonianza nell’ambito del Premio Roberto I Sanseverino organizzato da Alfonso Ferraioli e assegnato quest’anno ad Augusto Di Meo, testimone oculare dello spietato assassinio del sacerdote. Don Diana la mattina del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, era in chiesa e si accingeva a celebrare la messa del mattino. Con lui c’erano il sagrestano e l’amico di sempre, il fotografo Augusto Di Meo, passato di buon’ora in parrocchia proprio per fargli gli auguri. Un uomo entrò in sagrestia, chiese ai presenti chi di loro fosse don Peppe, e appena il sacerdote rispose “sono io” gli sparò a bruciapelo 5 colpi di pistola al volto, uccidendolo sul colpo, nel tentativo di chiudergli per sempre la bocca. Don Peppe Diana morì tra le braccia di Augusto e fu proprio grazie alla sua coraggiosa testimonianza che il killer ed i suoi sette complici furono tutti condannati all’ergastolo. Don Peppe Diana, grazie ad Augusto Di Meo, a sua sorella Diana e a tutti coloro che lo hanno conosciuto ed amato in questi anni non ha mai smesso di continuare a parlare, la sua voce libera, forte, di condanna nei confronti della camorra e delle infiltrazioni malavitose, non si è mai spenta.
Tuttavia la causa di beatificazione risulta ad oggi inspiegabilmente ferma. Ci sono voluti ben 21 anni perché la diocesi di Aversa si decidesse a chiedere alla Santa Sede l’avvio della causa di beatificazione a cui spetta il riconoscimento del martirio di don Peppe. E la Congregazione delle cause dei santi ha già lasciato passare quattro anni per il nulla osta. Soprattutto nei primi anni la Chiesa era stata molto prudente, forse condizionata dalle tante calunnie e dalla macchina del fango azionata dalla camorra per distruggere l’immagine di don Diana. Fu scritto e detto di tutto sul sacerdote : don Diana era un camorrista, le donne, le armi. Anche certa stampa fomentò il sospetto e fece in modo, attraverso titoloni e articoli di giornali, che l’immagine di don Peppe venisse infangata. La Chiesa in quegli anni si dimostrò cauta, rispetto ad organizzazioni come l’Agesci, che fin dal primo giorno credette che don Diana era stato ucciso dalla Camorra, come accertato poi dalla giustizia.L’Agesci si costituì parte civile al processo, alla fine la Corte di Cassazione riconobbe gli Scout parte lesa, perché avevano perso un formatore. Don Peppe Diana è stato ucciso per il suo impegno antimafia e per nessun’altra ragione. Gli altri moventi indicati furono, come hanno dimostrato le sentenze, solo delle calunnie che alcuni camorristi portarono per lungo tempo in sede processuale per discolparsi. Calunnie nate dal fatto che persino loro cercavano di lavarsi le mani, in buona o cattiva fede, del sangue innocente che avevano versato. Ne avevano vergogna. Questo è quel che dicono gli iter conclusi della giustizia italiana. Ora però la famiglia di don Peppe Diana, la sua comunità, i suoi giovani, quelli di allora e quelli di oggi, la società civile di Casal di Principe, attendono la beatificazione di un vero e proprio martire della Chiesa, di chi per amore del suo popolo non ha mai taciuto, sacrificando se stesso.
Luisa Trezza