Peppino Impastato: l’uomo che rinnegò la mafia

Oggi vi parliamo della storia di “Peppino” Impastato, un uomo coraggioso che osò sfidare la potentissima Cosa Nostra siciliana, che negli anni ’70 regnava indisturbata in tutta la Sicilia.

Peppino Impastato viene ricordato per essere stato uno dei simboli della lotta alla mafia. Impastato nacque a Cinisi (un comune dell’interland palermitano) il 5 gennaio del 1948. Giornalista ed attivista italiano, fu membro di Democrazia Ploretaria. Viene ricordato per le sue denunce contro Cosa Nostra. Denunce che come vedremo emanarono la sua condanna a morte.

La storia di Giuseppe Impastato detto “Peppino” è una storia singolare, perché egli proveniva da una famiglia di mafiosi, che ben presto rinnegò. Il giornalista lottò fino alla fine per diffondere gli ideali di legalità, in una Sicilia omertosa, dove Cosa Nostra regnava sovrana ed indisturbata (in quegli anni si riteneva che la mafia fosse una pura invenzione). Cosa Nostra vide nella figura di Impastato un grave pericolo per i loro traffici. Il giornalista rappresentava una grave minaccia in quanto girovagava per tutta la Sicilia facendo comizi contro la mafia. Egli voleva far emergere il marcio che vi era in Sicilia.

La notte tra l’8 ed il 9 maggio 1978 Pappino Impastato venne brutalmente assassinato. Inizialmente la mafia voleva far passare la morte del giornalista come suicidio. Il suo corpo venne martoriato da una carica di tritolo (i mafiosi in quegli anni erano soliti far saltare in aria i loro nemici) che venne collocata lungo i binari della ferrovia di Cinisi, che congiunge Palermo a Trapani. Inizialmente gli inquirenti dell’ epoca non collegarono la morte di “Peppino” a Cosa Nostra.

Fu il fratello Giovanni e la madre Felicia Bartolotta a dare un significativo impulso alle indagini, rompendo pubblicamente i rapporti con la famiglia mafiosa di cui erano membri. Da questo impulso familiare gli inquirenti capirono che dietro all’uccisione del giornalista vi era la mano della mafia siciliana.

Ancora oggi Impastato viene ricordato per essere stato uno dei primi uomini provenienti da una famiglia mafiosa, che ad un certo punto piuttosto che continuare la tradizione familiare, ha preferito rinnegarla, perché credeva fortemente in un’ ideale di legalità. Purtroppo la sua morte non cambiò di molto la Sicilia degli anni settanta. Saranno poi i giudici Falcone e Borsellino con le loro morti, avvenute nel 1992 (di cui presto vi parleremo) a far risvegliare una coscienza della legalità nei cittadini palermitani.

Chiara Ruggiero

loading ads