Sono trascorsi 27 anni dall’agguato di camorra in cui persero la vita i Carabinieri Claudio Pezzuto e Fortunato Arena, Medaglie d’Oro al Valor Militare.
L’Amministrazione Comunale di Pontecagnano,dove si consumò l’eccidio, e il Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, guidato dal Colonnello Antonino Neosi, rinnovano oggi il ricordo dei due militari morti la sera del 12 febbraio nel 1992 in Piazza Garibaldi a Faiano durante un servizio di controllo del territorio.
La cerimonia commemorativa, a cui prenderanno parte autorità civili, militari e religiose, le vedove dei due militari, Tania Pisani Pezzuto, con il figlio Alessio, e Angela Lampasona Arena, si svolgerà stamane, martedì 12 febbraio 2019. Alle ore 10 si terrà la santa messa nella Chiesa di San Benedetto di Faiano. Al termine della funzione religiosa, le autorità si porteranno in Piazza Garibaldi per la deposizione delle corone al monumento dedicato ai due Carabinieri. A seguire, i militari verranno ricordati dagli studenti dell’IC “A. Moscati”. “I Carabinieri Claudio Pezzuto e Fortunato Arena sacrificarono la loro vita pur di compiere sino in fondo il proprio dovere. Sono un simbolo di coraggio e fedeltà alle istituzioni che la Città di Pontecagnano Faiano non dimenticherà mai. Sono un esempio, soprattutto per le giovani generazioni, che deve guidare la nostra azione quotidiana in ogni istante”.
Cosa accadde.
Claudio Pezzuto, 29 anni, e Fortunato Arena, 23, stanno rientrando in auto verso la loro caserma, la stazione di Faiano, dopo una serie di controlli di routine. Qualcosa li insospettisce però nella centrale piazza Garibaldi. Tra i ragazzi dello struscio serale e i negozi che stanno per chiudere, c’è un fuoristrada fermo. Un grande Nissan Patrol bianco, targato Firenze. A bordo ci sono due persone, tre secondo altre testimonianze. Poco lontano un altro giovane sta telefonando in una cabina. Pezzuto scende e si avvicina alla jeep. Chiede la patente al guidatore. L’ uomo consegna il documento. Pezzuto torna alla Fiat Uno di servizio e dà la patente al collega per controllare i dati via radio. Ed è di quell’attimo che gli assassini approfittano. Quello seduto accanto al guidatore scende e tira fuori un mitra calibro nove. La prima raffica falcia Arena che si accascia nell’auto. Anche un altro dei malviventi apre il fuoco dal fuoristrada. Adesso è Pezzuto nel mirino. Il militare estrae la sua pistola, spara alcuni proiettili. Ma gli assassini sono più precisi. Pezzuto, ferito, cerca di mettersi in salvo nel porticato di un negozio. Il malvivente lo insegue e lo finisce con una sventagliata di mitra. I banditi tornano al Nissan Patrol e fuggono a tutta velocità. In fretta arrivano i vigili urbani che hanno il comando a pochi metri di distanza. Per terra ci sono decine di bossoli. I due carabinieri sono ancora vivi. Nelle mani di Arena la patente, probabilmente falsa, di uno degli assassini. I militari vengono caricati su un’ambulanza ma quando arrivano all’ospedale San Leonardo di Salerno sono già morti. La centrale operativa di Battipaglia ha seguito tutta la strage in diretta. Era collegata con Arena per il controllo del documento. Hanno sentito tutto. La caccia al Nissan Patrol scatta immediatamente. Il veicolo viene recuperato a pochi chilometri da Faiano. A bordo c’è un mitra. In caserma c’è tanta rabbia e dolore. Claudio Pezzuto, originario di Surbo (Lecce), lasciò la moglie e un figlio di due anni. Fortunato Arena invece veniva da San Filippo del Mele (Messina). Si era sposato sette mesi prima e la moglie era incinta.
Le indagini e la caccia agli assassini.
La feroce esecuzione scatenò una vera e propria caccia all’uomo. La fuga di D’Alessio e De Feo terminò all’alba del 14 luglio del ’92. I killer furono bloccati dai carabinieri in un piccolo appartamento di Calvanico, nella Valle dell’Irno. Si arresero solo dopo l’arrivo del pm Alfredo Greco, il magistrato che coordinò le indagini, fino alla cattura dei due latitanti. Le indagini furono certosine, fatte con i mezzi di allora, il piano di azione fu concordati direttamente da Greco ed il colonnello dei Gis. Un piano che metteva in preventivo, data l’ubicazione del covo e la pericolosità dei due banditi, la perdita di due uomini.
Il pm Greco non acconsentì.
I due latitanti chiesero di incontrare Alfredo Greco, accompagnato da due carabinieri dei Gis il pm entrò nell’appartamento e dopo un lungo colloquio i due si consegnarono alla giustizia. Fu la vittoria della legalità, e va sottolineato il sangue freddo dei militari che non vollero dare una prova di forza che avrebbe potuto concludersi con un bagno di sangue. Iniziò il processo. Le prove raccolte non lasciarono scampo anche se in fase processuale i D’Alessio cercò di assumersi tutte le responsabilità per difendere il fratello del boss. Carmine D’Alessio e Carmine De Feo furono condannati all’ergastolo, pena confermata anche in Cassazione. Nel 2008 D’Alessio morì nella casa dei suoi genitori a Battipaglia. Aveva lasciato il carcere di Belluno perché gravemente ammalato. De Feo continua a scontare la sua pena.