Giacomo Leopardi: una morte all’ ombra del Vesuvio

Giacomo Leopardi filosofo,scrittore e filologo originario di Recanati dopo aver viaggiato in lungo ed in largo per tutta l’Italia da Roma a Firenze, decide di trasferirsi definitivamente a Napoli nella città del sole.

Uno dei motivi principali del suo soggiorno nella città campana era dovuto alla sua cagionevole salute, il poeta infatti sperava di migliorare le sue condizioni di salute grazie al mite clima napoletano. La prima residenza napoletana del poeta era ubicata al numero 2 di via Pero sulla salita di Santa Teresa degli Scalzi, dove ignari ragazzi erano soliti prendere in giro Leopardi per il suo goffo aspetto, dovuto alla sua gobba, è questo un triste aspetto che ha accompagnato l’autore per tutta la sua vita. Da alcuni racconti storici si narra che il poeta era solito camminare per via Toledo avvolto da una mantella e da un vistoso cilindro nero con l’immancabile bastone che lo sorreggeva, in cerca di sorbetti. Il giovane poeta non abito solo in vis Pero, ma anche presso la villa Carafa- Ferrigni di Torre Del Greco sulle falde del Vesuvio, dove compose nella primavera del 1836 una delle sue più grandi opere La Ginestra. Le successive case in cui abito con il suo amico Antonio Ranieri furono più modeste, come quella presa in affitto in via Toledo, ai Quartieri Spagnoli.

Anche nella città napoletana Leopardi sembrava non trovare pace. Dovette cambiare di continuo appartamento perché gli affitti erano troppo cari, o perché accusato dai proprietari di avere una grave malattia , come nell’appartamento in via San Mattia 88, al secondo piano dove la proprietaria gli aumentò l’affitto perché era convinta che avesse la tubercolosi. Sulla sepoltura del conte Leopardi vi è un piccolo mistero. L’ amico Antonio Ranieri nel 1880 raccontò di averlo seppellito nella cripta della chiesa di San Vitale a Fuorigrotta. Il racconto della sepoltura di Leopardi fornito dall’ amico è macabro ma allo stesso tempo molto toccante. Era il periodo in cui a Napoli vi erano ricorrenti epidemie di colera ed in città vigeva il divieto di seppellire i morti nelle chiese o nei cimiteri. Ranieri non voleva che il caro amico finisse in una fossa comune con altri mori e quindi durante la notte trasportò personalmente su un carretto il feretro del defunto per dargli una degna sepoltura.

Chiara Ruggiero

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