Quello che è accaduto ieri mattina a Pagani ci consegna tutto il dramma che stiamo vivendo ed inconsapevolmente neanche ce ne accorgiamo.
40 persone, 40 esseri umani, giovani, donne e un bambino, trattati come bestie, caricati su di un pulmino e portati via, lontano da quella che da oltre due anni era la loro casa. Dal Centro di accoglienza San Pio di via Pesca, nelle campagne di Pagani a Capaccio, in una nuova struttura di accoglienza. Molti di loro lavoravano, studiavano, si erano integrati, insomma vivevano da persone libere, ma questo non è importato a nessuno, il loro volere non è stato tenuto in conto. L’unica a piangere per il loro trasferimento un’anziana del luogo, per tutti nonna Lucietta. L’anziana donna abita nel fondo attiguo al Centro San Pio, e quelli erano i suoi ragazzi, sempre gentili ed affettuosi con lei, sempre pronti ad aiutarla. Straziante la scena di quell’ultimo saluto “Figli miei” – così nonna Lucietta rivolgendosi a quei giovani dagli occhi smarriti che cercavano di nascondere la loro tristezza proprio per non far soffrire ancor di più quella donna buona che piangeva per loro. Baci, abbracci, carezze e tante caramelle, strette tra le mani e consegnate con tutto l’amore che poteva ai “suoi figli”. Tutt’intorno il silenzio, il vuoto di una Umanità/Comunità che ha perso l’anima. A denunciare i fatti di Pagani l’associazione Spazio Aperto Pagani.
Nella lettera scritta da uno dei 40 ospiti del centro, Malik Mohsin, 25enne pakistano, studente di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all’Orientale di Napoli, a Pagani da due anni e due mesi, tutto il senso di un intervento molto discutibile. “In una sola volta dovremo lasciare lavoro, studio, amici, tutto. Domani ci spostano dal centro di accoglienza di Pagani. E dobbiamo lasciare il centro per forza perché se non accettiamo di farci spostare domattina, domani sera non avremo un tetto sotto cui dormire. Abbiamo avuto pochissimo tempo per organizzarci. Le difficoltà per trovare una casa da affittare sono troppe. Sappiamo che ci sposteranno verso Capaccio: è il nome di una città che personalmente non avevo mai sentito prima d’ora. Ci spiace molto perché ci tengo a sottolineare che a Pagani siamo ben integrati: studiamo, lavoriamo, abbiamo stretto amicizie. Tra 3/4 mesi ci cacceranno proprio dall’accoglienza e noi ci chiediamo: se andiamo ora a Capaccio, poi tra qualche mese come/dove ci sistemiamo? Sicuramente tra qualche mese il lavoro che abbiamo oggi non sarà più disponibile. Se ci dessero anche solo tre settimane dtempo, potremo provare a trovare una soluzione: il tempo che abbiamo a disposizione ora è troppo poco per provare anche solo a organizzarci. A Pagani ci troviamo bene: io studio Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e lavoro in un ristorante. Da quando sono qui mi sento bene ma questa situazione mi fa sentire come se fossi una pietra da spostare da una parte all’altra”.
Luisa Trezza
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