Il 18 dicembre 1983 precipitando sul viadotto di Nervi, lungo l’autostrada La Spezia-Genova, trentotto marinai del Marina militare di Aulla rimangono vittime di uno spaventoso incidente. Solo tre si salvano dal tragico volo di 70 metri.
Per le cronache del tempo era la tragedia dei marò, straziati all’interno di un pullman. Le gomme del pullman che avrebbe dovuto portare quei giovani con la divisa da marinaio fino a Torino, per assistere alla partita Juventus-Inter, erano lisce, gli ingranaggi erano a pezzi, tanto che accertarono i periti che lungo il percorso si staccò un giunto. Eppure quel mezzo, almeno sulla carta, aveva passato anche una recente revisione. Tra le lamiere contorte e accartocciate, solo quattro vennero estratti vivi, ma uno di essi morì esattamente un anno dopo per le gravi lesioni che aveva riportato. Ma a rendere ancora più straziante per le famiglie la perdita di così tanti giovani, furono gli interminabili processi che dal quel 1983 si protrassero per oltre un decennio, dopo vari dibattimenti, ricorsi e appelli, la responsabilità del Ministero della Difesa erano venute alla luce. Sapevano delle condizioni del mezzo, ma nonostante tutto continuava a circolare. L’unico imputato, il responsabile della manutenzione dell’autoparco della Marina, sarebbe uscito dal processo grazie alla prescrizione.
La Cassazione, nel 2017 aveva affermato il diritto dei familiari delle vittime a ricevere dallo Stato l’indennizzo che spetta ai parenti di chi muore in “particolari condizioni” nello svolgimento del proprio servizio alle dipendenze della pubblica amministrazione, in base a una legge del 2005 adottata in recepimento di una direttiva europea. Prima delle pronunce di legittimità, diversi giudici di merito avevano negato alle famiglie delle vittime il diritto a questa forma di risarcimento. Ogni anno a Genova viene celebrata una messa per ricordare i marò del cavalcavia, i presenti sono sempre meno ogni anno. Come spesso avviene in Italia, ciò che riusciamo a fare meglio è dimenticare, e si continua a morire per la negligenza e l’imperizia.
Sonia Angrisani
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