Donne e manicomio nell’Italia fascista

Un libro che dà voce a tutte le recluse che venivano definite pazze, ‘diverse e squilibrate’, inadatte a ‘vivere una vita ragionevole, come imponeva il regime.

Attraverso le cartelle cliniche delle donne del manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo, ripercorriamo la storia a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, fino alla metà del Novecento, un momento in cui i manicomi assumono dei contorni molto particolari.

Rinchiuse perché diverse, donne ribelli che non volevano piegarsi alle rigide regole del ventennio fascista. A quarant’anni dalla legge Basaglia, che ha sancito la chiusura dei manicomi, Anna Carla Valeriano, racconta le storie e i volti di chi in quei luoghi ha racchiuso la propria esistenza.

Si chiama Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista (edito da Donzelli).

Questo libro, ha l’arduo compito di restituire umanità e dignità a tutte quelle donne estromesse, recluse e allontanate dalla società. Un racconto struggente documentato da diari, lettere, referti medici che mostrano una mentalità stracolma di pregiudizi e stereotipi.

I referti fatti durante il regime fascista, sono quelli di medici che rinchiudono in manicomio donne “stravaganti, indocili, impulsive, piacenti”, tanto per fare un esempio. Ancora, donne che avevano come loro unica colpa, quella di non volersi sottomettere al volere maschile e venivano additate come pazze e quindi, da rinchiudere in manicomio.

“Uno dei luoghi in cui attuare una politica di sorveglianza che annulla i diritti individuali in nome dell’ordine pubblico”, scrive Valeriano.

Sonia Angrisani

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