I giudici del Tribunale di Salerno lo hanno condannato ad un anno di reclusione, con pena sospesa, per la morte di una paziente avvenuta l’11 maggio del 2011 all’Ospedale di Salerno.
La donna, Stefania Ruocco,35enne di Futani, alla sua terza gravidanza, entrò in sala operatoria al Ruggi in apparenza senza gravi patologie per essere sottoposta ad un normale taglio cesareo. La donna, giunta al termine della gravidanza, aveva già perso le acque, ma nulla lasciava presagire il tragico epilogo. Nella serata del 4 maggio la donna diede alla luce una bambina, la terza, che apparve subito in buone condizioni. La neonata venne subito fatta vedere al papà ed ai familiari che si trovavano in trepidante attesa all’esterno del blocco operatorio. Passarono le ore ma Stefania Ruocco non usciva dalla sala operatoria. Tra i familiari crebbero l’ansia e la tensione. Solo verso le 3 del mattino i camici verdi comunicarono al neo papà che erano subentrate delle complicazioni e che alla donna avevano dovuto asportare l’utero per via di una emorragia causata da un difetto di aderenza della placenta.
In sala operatoria oltre a Carmine Pagano c’era anche Gennaro Luongo, all’epoca primario del reparto di ginecologia dell’ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”. Anche Luongo è stato condannato ad un anno di carcere, pena sospesa. Per i due camici bianchi, difesi dagli avvocati Giovanni Sofia e Francesco D’Ambrosio, il pubblico ministero Giovanni Paternoster aveva chiesto una pena di un anno e sei mesi e di un anno e quattro mesi. I giudici hanno invece assolto per non aver commesso il fatto i ginecologi Fancesco Marino, difeso da Fabio De Ciuceis e Vito Antonio Miele difeso da Laura Ceccarelli.
Dopo aver asportato utero e vescica, le condizioni della giovane donna continuarono a peggiorare e l’emorragia non si arrestò. Il quadro clinico di Stefania Ruocco precipitò , il mattino seguente il cuore della donna andò in arresto mentre i medici continuavano a tamponare l’emorragia in corso con nuovi interventi che si rivelarono inutili. La giovane madre entrò in coma e dopo 7 giorni di agonia, il suo cuore cessò per sempre di battere.
“Non si capisce perché – hanno dichiarato i consulenti medico legali – invece di intervenire subito con un’operazione salvavita, l’équipe chirurgica ha prima atteso l’arrivo di un altro medico, nonostante un’emorragia imponente».
In questi anni il marito e le 3 figlie della donna, non hanno fatto altro che chiedere giustizia. Una morte che secondo la Procura poteva essere evitata se i soccorsi, in sala operatoria, fossero stati più tempestivi e adeguati.