Ognuno di noi almeno una volta ci ha esclamato “mi sento sempre stanco”, magari era solo stress, magari pigrizia… magari, sicuramente, attraverso la testimonianza dello psicologo specializzato in ipnosi, Vincenzo D’Amato, siamo in grado di arrivare ad una disamina scientifica di cosa ci spinge ad affermare che “siamo sempre stanchi”.
<< Sentirsi stanchi non significa necessariamente avere una qualche patologia. I cambi stagionali, ad esempio, con i loro mutamenti di temperatura e di quantità di ore di luce quotidiani, possono portare nell’individuo una elevata stanchezza, prolungata per alcuni giorni. Anche altri cambiamenti e fattori esterni ed interni come il lavoro, i cambiamenti ormonali, un trasloco, un lungo viaggio, un semplice, ma abbondante pasto, addirittura una vacanza possono portare forte affaticamento scompensando gli equilibri psico-fisici caratteristici di ogni persona. Per quanto detto il provare affaticamento psico-fisico continuo è un qualcosa di nettamente differente dall’essere afflitti da una, seppur intensa, momentanea stanchezza; solitamente risolvibile con del riposo. Tale affaticamento assai prolungato assume nella persona la forma di una vera e propria patologia definita “Sindrome da affaticamento cronico” e può essere imputabile ad una menomazione fisica, ad esempio anemia, malattie virali o della tiroide, e/o ad un disagio psicologico. La stanchezza generale non deve mai essere sottovalutata – spiega Vincenzo D’Amato - anche in assenza di una precisa causa organica, oltre ad essere un fenomeno debilitante può avere ripercussioni serie sulla vita quotidiana (lavoro, rapporti interpersonali, di coppia). Ci si sveglia, come nei tratti depressivi, già stanchi e a volte ci si ammala molto spesso. Alzarsi più affaticati di quando ci si è addormentati significa che a livello energetico si è verificato uno squilibrio tra consumo e ricarica: le risorse energetiche sono state profondamente intaccate. Altra cosa, decisamente più seria, è la stanchezza cronica (CFS: Chronic Fatigue Sindrome) che comprende una condizione costante di stanchezza con presenza di alcuni sintomi particolarmente significativi: febbricola, dolori muscolari e articolari, cefalea, depressione, irritabilità, disturbi cognitivi. Questa sindrome, molto spesso, è il primo segnale di una depressione, non riconosciuta, caratterizzata da apatia, delusione, crollo di importanti aspettative, mancanza di entusiasmo e di desideri, in breve, il soggetto ha perso la voglia di vivere. La persona particolarmente affaticata è sempre troppo coinvolta dai suoi pensieri, dalle sue preoccupazioni, timori e paure, a tal punto che la bloccano, consumando completamente la sua energia. Lo stato emotivo, infatti, è fondamentale per determinare il livello di energia. Quando si vive un’esperienza di depressione, di dolore o di tristezza, il livello di energia tende ad abbassarsi. Al contrario quando si è felici, allegri il livello energetico sale. La sindrome di stanchezza cronica è il primo (o inizialmente l’unico) segno di una depressione non riconosciuta o molto mascherata – avverte lo psicologo - che trova nello stato di debolezza l’unica forma, da un lato di espressione, dall’altro di auto-terapia. È il corrispettivo fisico di apatia, disincanto, delusione, mancanza di entusiasmo, ma anche del crollo improvviso di importanti aspettative Ci sono però molte situazioni nelle quali non si riconosce nulla di particolare; piuttosto si può osservare che nel modo di vivere abituale di una persona c’è un certo “attrito”: si vive in perdita lieve ma continua di energia (i risultati concreti sono sempre inferiori rispetto alle energie impiegate). Quando siamo particolarmente scontenti, visto che non possiamo scappare, la stanchezza psicosomatica può essere l’espressione di un inconscio desiderio di fuggire da una vita stressante e insoddisfacente. La scarsa autostima è un tratto caratteristico di chi viene colpito da sindrome da stanchezza: chi soffre di stanchezza cronica ha spesso di sé un immagine negativa: si percepisce come una persona debole, inferiore agli altri, incapace di cavarsela da solo nella vita. Convinti di non riuscire ad interessare gli altri per le loro qualità, scelgono inconsciamente di diventare ” speciali” nelle loro debolezze. E il ruolo di “stanco cronico”, può diventare un modo per essere finalmente visti dagli altri, per avere una propria identità, per trovare il proprio posto in famiglia o nella società. Le situazioni che più frequentemente provocano la patologia sono le seguenti, agire controvoglia e/o contro la propria indole, agire vivendo resistenze interiori o trovando continui ostacoli esterni , agire sempre in balia di dubbi, paure e ripensamenti, agire contro la morale quando essa è molto sentita, agire seguendo schemi di comportamento tortuosi e nevrotici>>.
Cosa fare in caso di stanchezza cronica?
“Il manifestarsi della CFS indica, comunque, che le risorse energetiche del corpo sono effettivamente state intaccate e che ce n’è una concreta minore disponibilità. Perciò “tirare avanti” a tutti i costi banalizzando il problema, è quanto di più controproducente si possa fare. Allo stesso modo però, un breve riposo di uno o due giorni non solo può rivelarsi insufficiente ma addirittura dannoso perché il corpo non fa nemmeno in tempo a fermarsi e subito deve riprendere le sue attività. E’ necessario considerare seriamente la possibilità di un periodo non di stacco totale dall’attività, ma di parziale riduzione degli impegni e della velocità con cui vengono affrontati: lentezza che non vuol dire assolutamente immobilità. Naturalmente le energie riconquistate non devono essere messe al servizio del vecchio stile di vita – termina Vincenzo D’Amato – la strategia vincente terapeutica pertanto sarà quella di attivare metodiche psicosomatiche rivolte a migliorare la persona nella sua interezza, soprattutto però non sottovalutare l’intervento di un professionista che possa aiutarci in modo serio e concreto a venire fuori dalla situazione”.
Adriano Rescigno e Vincenzo D’Amato