Goletta verde lancia l’allarme.
In Italia sono 136 le piattaforme offshore per l’estrazione di petrolio e gas ripartite in 53 diverse concessioni di coltivazione o permessi di ricerca: 96 di queste strutture ricadono entro le 12 miglia mentre 43 sono oltre il limite delle acque territoriali. Delle 136 piattaforme in questione, 9 sono definite non produttive, 8 sono di supporto alla produzione di altre piattaforme e ben 119 risultano invece produttive. In tutto sono 710 i pozzi definiti produttivi su un totale di 730 installati.
Goletta Verde, in occasione del suo passaggio lungo le coste emiliane, lancia il dossier #Dismettiamole, ponendo al centro della sua mobilitazione il tema della dismissione delle piattaforme petrolifere dai mari italiani. Il dossier nasce dalla convinzione che il gioco portato avanti da molte delle compagnie petrolifere operanti nei mari italiani sia più incentrato sul posticipare il momento in cui una buona parte delle strutture presenti dovrà essere dismessa (con il ripristino delle aree da parte delle compagnie), che non sulla estrazione e produzione di idrocarburi.
Il tema dello smantellamento delle piattaforme è stato oggetto di una lettera di diffida a firma di Legambiente, inviata nel maggio 2016 al ministero dello sviluppo economico e, per conoscenza, al ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e a tutti gli enti competenti, con la quale si sottolineava come diversi titoli abilitativi, per lo più localizzati entro la fascia delle 12 miglia, fossero da rivedere e da controllare accuratamente per determinarne l’eventuale non compatibilità con le normative di settore, con conseguente revoca del titolo e obbligo di ripristino e bonifica delle aree da parte delle società titolari. Non solo, con la lettera si chiedeva allo Stato di esercitare un ruolo chiaro e attivo sul decommissioning delle piattaforme offshore, ritenendo non solo necessario inquadrare la gestione delle concessioni entro una strategia di decarbonizzazione della nostra economia, ma anche urgente intervenire sulla moltitudine di piattaforme presenti entro le 12 miglia, molte delle quali scarsamente o affatto produttive e per il 47% sprovviste di Valutazione di Impatto Ambientale.
Partendo da questi presupposti, Legambiente sottolinea come l’attività di decomissioning si dovrebbe poi estendere ad una serie di impianti, molti dei quali praticamente fermi, attraverso una rigorosa valutazione ambientale ed economica. Per fare tutto questo servirebbe però un piano trasparente di intervento per il ripristino integrale delle aree sfruttate dalle aziende petrolifere. Già nel 2016 Legambiente aveva individuato ben 38 piattaforme e 100 pozzi come possibili di smantellamento e, a distanza di un anno, la convinzione che la maggior parte di queste strutture sia sostanzialmente inutile ed improduttiva è confermata anche dall’analisi del 2017. Solo 4 piattaforme già individuate lo scorso anno nel frattempo hanno ripreso una parvenza di attività e produttività (Morena 1, Davide 7, Clara NW e Bonaccia NW). Per le altre 34 piattaforme ed i relativi pozzi invece nulla è cambiato. Inutili erano all’ora, ed inutili sono rimaste.
“Al di là dei numeri, delle classificazioni e delle considerazioni – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente – riteniamo che la valutazione sulla persistenza nei nostri mari di alcune infrastrutture estrattive, nonché la proroga delle concessioni, non possa e non debba essere svincolata da criteri di utilità e tutela dell’ambiente marino. In particolar modo prestando attenzione in termini di apporto al sistema energetico nazionale, gettito fiscale per i territori interessati, ricadute occupazionali ed ovviamente in termini di sostenibilità ambientale. Le strutture individuate e riportate nel nostro dossier #Dismettiamole, su cui siamo fermamente convinti che fino ad ora non rispondano ad alcuno di questi interessi specifici, sono un potenziale pericolo in termini di tutela ambientale, per la navi