Pino Daniele: Napoli, musica e denuncia

Quanti sono i suoni di Napoli! Fermarsi a qualsiasi ora del giorno ad un qualunque angolo di strada e socchiudere gli occhi significa ascoltare, assorbire i cento, mille suoni di una polifonia varie- gata, ma nello stesso tempo “armoniosa”, lontana dal tempo e dallo spazio, “sospesa” nell’aria, come un filo invisibile che unisce ascolto, anima e cielo: il tamtam delle auto, le voci dei restanti venditori ambulanti, il brusìo continuo di gente che affolla la città, la musica (bella o brutta a seconda del gusto) che invade intere strade e vicoli, suoni tradizionali che però s’incontrano con quelli nuovi, d’importazione, come quei lontani canti africani dei poveri cristi per le strade mondane della città.

CI-PIACE_gif-mi-piace-RTAlive
Un miscuglio, quindi, che ha però un qualcosa di “edito”, di conosciuto, di già ascoltato.
La musica di Pino Daniele, per esempio, cos’è se non una continua mescolanza di generi, suoni, linguaggi?
La continua comunicazione tra la tradizione musicale napoletana, il blues, l’Africa e quella che lo stesso Daniele chiama «La Grande Madre» (che include la tradizione meridionale nella sua integrità), ha riproposto l’idea di una Napoli non soltanto ancorata alla sua gloriosa storia culturale e musicale, ma che diventa un grande porto pronto ad accogliere le influenze esterne. La “lezione” di Pino Daniele in tal senso è certamente emblematica, anche per l’uso singolare e rivoluzionario del registro linguistico che continuamente oscilla tra il napoletano, l’americano e l’italiano, come lo stesso cantautore spiega:«Faceva parte di un progetto. Già cantavo in napoletano e sentivo forti emozioni. Perché capivo che fosse importante nella musica non dimenticare le radici[…]. A Napoli abbiamo le basi americane e io da giovanissimo ero sempre nei locali vicino al porto dove gli americani ascoltavano la loro musica. Ecco che poi quel blues-jazz è diventata anche la mia musica». Una musica che, anzitutto nei primi anni di carriera, è stata l’espressione degli ultimi, degli oppressi, dei vinti, dei «Furtunato tene ‘a robba bella e pe’ chesto ha da alluccà», degli uomini senza destino che «cammina, cammina, vicin’ ‘o puorto e redenno aspetta ‘a morte».
In questo scenario di anime perdute e di una Napoli che è « ‘na carta sporca e nisciuno se ne ‘mporta», brani come «Terra mia», «Saglie saglie», «Notte che se ne va», «Lazzari felici» diventano grida d’aiuto di un popolo allo stremo, ma che da secoli lascia aperta la dura porta della speranza.
Pino Daniele è esempio paradigmatico di una Napoli musicale che accantona l’atmosfera festivaliera, defenestra gli stereotipi delle barchette, dei mandolini, degli spaghetti e delle pizze e che comincia a denunciare apertamente le tante problematiche che l’attanagliano, riproponendo, in fondo, il messaggio eduardiano di una nottata che, seppur tra mille difficoltà, prima o poi «ha da passa’».

Ferdinando Guarino – Le Cronache

foto-dal web

pub_mediamax

loading ads