Era una delle più importanti aziende del settore nel Mezzogiorno ora è distrutta.
NOCERA INFERIORE. Da gioiello dell’industria a un cumulo di macerie. Un terremoto? No, la semplice incuria o malagiustizia. E’ quanto accaduto negli ultimi tre anni ad un’azienda nocerina, la Gelav, con stabilimento in via Alveo Santa Croce o, come viene comunemente chiamata, «la salita della Beton cave“. L’opificio era tra i più all’avanguardia nel settore delle lavanderie industriali nel Mezzogiorno. Una ditta che assicurava il lavaggio di tessuti di ogni genere e utilizzo a caserme, conventi, ristoranti e alberghi non solo del Sud e Centro Italia ma anche del Veneto.
Occupava una quarantina di dipendenti che aumentavano in estate con la stagione turistica. La Gelav, però, fallisce alle fine degli anni Novanta sotto il peso anche di un investimento di sei miliardi di lire per l’acquisto di macchinari di ultima generazione e a causa del ritardato pagamento da parte dello Stato delle forniture.
Da allora, la ditta ha iniziato un lungo e tragico iter.
Lo stabilimento passò per varie mani ma è rimasto sempre attivo e fu trasferito dal tribunale di Nocera con una licitazione privata, come lavanderia industriale gioiello. Visto il prezzo vile al quale era stato ceduto nonché l’illegittima procedura, nel 2012, la Corte d’Appello aveva revocato la cessione, su istanza dei vecchi proprietari. Questi ultimi, infatti, avevano l’interesse a far pagare il giusto prezzo per l’acquisto della loro azienda per soddisfare i creditori e quindi uscire dalla procedura fallimentare a testa alta e non da falliti. In questi anni nove anni (dal 2004 al 2013), l’opificio era stato dato in affitto dalla nuova proprietà (poi revocata) a una società dello stesso settore che pagava un fitto mensile di 12mila euro. Nel 2013, a seguito della revoca del trasferimento del bene sentenziato dalla corte d’appello, lo stabilimento e i macchinari ritornò alla curatela della Gelav. Il curatore, nel prendere possesso dell’azienda, dà atto del suo stato di conservazione definendolo «non in pessime condizioni».
Una definizione quanto mai astrusa, visto che fino poco prima era in attività la lavanderia e in più cosa significa non in pessime condizioni? Conseguenza di questo ritorno è la chiusura dell’attività onde consentire una nuova valutazione dell’immobile e dei macchinari in esso contenuti per venderli congruamente all’asta in maniera tale da soddisfare i creditori del fallimento. Mentre si studiava, però, il malato è morto. La stabilimento di via Alveo Santa Croce, infatti, è stato depredato di moltissimi macchinari. Asportato anche il quadro elettrico che, nel 1998, costò, solo quello, 800milioni di vecchie lire. Di quello che è rimasto molto è arrugginito e quindi il suo valore è bassissimo. Tutto questo, nonostante le denunce dei proprietari, i D’Urso di Nocera Inferiore. Per non contare l’immobile che, a causa delle infiltrazioni e dell’abbandono, è caduto in rovina.
Insomma, al danno dello Stato cattivo pagatore che ha fatto fallire la Gelav si è aggiunto quello sempre dello Stato che non è riuscito a valorizzare un bene per soddisfare i creditori, semmai salvando anche parte del patrimonio dei falliti.
«Agiremo in ogni sede -afferma l’avvocato Paride Annunziata, legale della famiglia D’Urso– a tutela dei proprietari della Gelav che sebbene falliti sono stati finora i soli a interessarsi della valorizzazione di un bene che avrebbe potuto, se bene conservato e amministrato, soddisfare al meglio i creditori del fallimento Gelav».