Fiume Sarno, l’inferno descritto vent’anni fa

Un articolo del 24 agosto del 1994 a firma di Ottavio Ragone, sul quotidiano “La Repubblica”, si occupò delle precarie condizioni del Fiume Sarno, già in quegli anni. Nel pezzo, un blitz dei Carabinieri, su mandato della Procura di Nocera, atto ad individuare gli sversamenti abusivi. Fu una vasta operazione, tesa a tenere sott’occhio il fiume dagli abusi perpetrati, anche negli anni a venire. Di seguito l’articolo completo, nel quale l’argomento è di una attualità straordinaria.

SARNO, IL FIUME DELL’ INFERNO

E’ un fiume in agonia, avvelenato dagli scarichi industriali. Una fogna che inquina il golfo di Napoli, intorbida il mare, rende l’ aria irrespirabile. Nel Sarno, il corso d’ acqua più sporco d’ Italia, finiscono i liquami di quaranta città, i rifiuti tossici delle aziende, i pesticidi usati dagli agricoltori. Quei ventotto chilometri di percorso sinuoso tra le province di Napoli, Salerno e Avellino costituiscono una miscela micidiale, un pericolo per la salute di migliaia di persone. A bordo di barche ed elicotteri i carabinieri hanno ispezionato le rive del fiume, a caccia dei responsabili dell’ inquinamento. Il censimento degli scarichi fuorilegge ha dato buoni frutti: sono centodieci gli avvisi di garanzia consegnati ad amministratori pubblici e titolari delle industrie, quarantotto le imprese sequestrate per danneggiamento, distruzione delle bellezze ambientali, violazione delle norme antinquinamento. Di queste alcune sono state dissequestrate e avranno a disposizione 40 giorni per mettersi in regola, evitando così ripercussioni sull’ occupazione locale. Un’ operazione massiccia, la prima dopo anni, che ha impegnato duecento carabinieri guidati dalla Procura di Nocera Inferiore. I sopralluoghi sono scattati alle prime luci dell’ alba, l’ orario ideale per sorprendere in flagrante i killer del Sarno. E non è che l’ inizio, spiegano i magistrati: d’ ora in poi il fiume sarà sorvegliato speciale. Tre sindaci e alcuni commissari prefettizi sono stati denunciati, quattro comuni (San Valentino Torio, Nocera Superiore, Angri e Scafati) hanno una rete fognaria devastata e riversano le acque nere direttamente nel Sarno. Nel fiume arrivano i liquami di quaranta città del bacino con duecentomila abitanti, carogne di animali, tonnellate di sostanze chimiche riversate dalle aziende. Sotto accusa gli stabilimenti conservieri dell’ agro nocerino, che proprio in questo periodo lavorano il pomodoro, ma anche le officine meccaniche, le lavanderie, gli autolavaggi, i cementifici. Ogni anno, di questi tempi, una scia rossastra di pomodori marci e pesticidi minaccia le spiagge del golfo e allontana i turisti. I carabinieri hanno accertato che le industrie trattano gli scarichi con depuratori poco efficienti, oppure sono prive di impianti antinquinamento. Gli affluenti del Sarno depositano i residui tossici della concia delle pelli effettuata a Solofra, vicino ad Avellino: 250 concerie scaricano cromo, zinco, piombo. Una nube asfissiante avvolge il corso d’ acqua, la cui portata è diminuita sensibilmente. Il Sarno non riesce più ad autodepurarsi, dal 1980 ad oggi l’ apporto delle sorgenti è calato del 90 per cento, passando da 8 mila ad appena mille litri di acqua al secondo. Tre delle cinque sorgenti che alimentavano il fiume sono scomparse. Quattro i poli produttivi sotto accusa. Dal nucleo industriale di Solofra parte il torrente Solofrana, un rivolo di sostanze tossiche. A Cava dei Tirreni le manifatture di ceramica e le vetrerie scaricano i residui della lavorazione nel torrente Cavaiola, altro affluente del fiume maledetto. Infine i due grossi poli conservieri, quello di Sant’ Antonio Abate e quello della zona Nocerino-Sarnese. Le aziende agricole utilizzano i canali di irrigazione come una fogna, i pesticidi avvelenano inesorabilmente i fondali. Ogni anno la falda acquifera cala di un metro, per i continui prelievi d’ acqua delle industrie e per i mille e più pozzi abusivi. E poi c’ è la marea rossa che assedia le coste del golfo di Napoli, spingendosi talvolta addirittura fino a Capri. Sono ventinove le industrie conserviere in provincia di Napoli, venti a Sant’ Antonio Abate, che forniscono oltre 250 mila tonnellate di conserve, il 15 per cento della produzione nazionale. Altre 68 fabbriche di pomodoro sorgono in provincia di Salerno. Uno schieramento imponente e incontrollato di scarichi e fognature che in vent’ anni ha distrutto ogni traccia di vita nel fiume danneggiando seriamente tutto il litorale. A contrastare lo scempio doveva pensarci un piano di disinquinamento del Golfo varato nel 1976. Ma di depuratori e collettori, sul fiume Sarno, nessuno ha mai visto traccia.

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