Big Jump 2015, dossier sul fiume Sarno: cattive acque

Il 2015 doveva essere l’anno in cui poter trovare refrigerio anche nelle acque di fiumi e laghi da Nord a Sud della Penisola. Niente da fare: l’Italia non ha centrato gli obiettivi di buona qualità delle acque previsti dalla direttiva 2000/60 e la percentuale dei corpi idrici superficiali che riesce a soddisfare tutti i requisiti qualitativi tocca appena il 10%. Ma un tuffo simbolico per accendere i riflettori sullo stato di fiumi e laghi verrà comunque organizzato questa domenica da Legambiente che, come ormai da tradizione, promuove in tutta Italia il Big Jump, iniziativa internazionale dell’European Rivers Network (ERN).

In Campania appuntamento Domenica 12 luglio alle ore 15:00, in contemporanea con i tuffi delle altre regioni nelle acque del Rio Santa Marina a Sarno (SA) in occasione del quale saranno organizzate escursioni in bicicletta e a piedi e degustazioni di prodotti tipici.
“Con il Big Jump vogliamo lanciare un appello a tutti i livelli istituzionali per un salto di qualità nella gestione delle risorse idriche – dichiara Antonio Gallozzi, direttore Legambiente Campania- Una seria politica di tutela dei fiumi dovrebbe prevedere azioni e strumenti concreti: piani che coinvolgano tutti gli attori interessati e perseguano l’obiettivo di ridurre i prelievi e i carchi inquinanti; un’azione diffusa di riqualificazione dei corsi d’acqua e di rinaturalizzazione delle sponde; fermare i numerosi scarichi industriali e civili che ancora oggi inquinano la risorsa idrica e realizzare la bonifica delle falde contaminate.”

In occasione del lancio di Big Jump 2015, Legambiente ha presentato dossier “Cattive Acque” sui casi di falde, fiumi e laghi inquinati ed il racconto di storie di acque salvate grazie ai buoni interventi di salvaguardia e recupero ambientale . Due i casi campani presenti nel dossier nazionale: il fiume Sarno e le Falde di Solofra. Il fiume Sarno definito “il fiume più inquinato d’Europa”, un altro primato a livello europeo di cui si può fregiare l’Italia. Quella del Sarno è una storia di inquinamento da reflui industriali, fertilizzanti e antiparassitari chimici utilizzati per l’agricoltura e scarichi civili che hanno contaminato le acque e i sedimenti, ma anche di dissesto idrogeologico, di forti modifiche date da interventi di rivestimento e tombatura degli alvei, di rettifica delle anse, derivazioni e captazioni, anche abusive, alle sorgenti. È una storia che coinvolge un bacino di 540 chilometri quadrati in cui insiste una popolazione che oscilla tra i 750.000 ed il milione di abitanti: 39 comuni distribuiti principalmente nelle province di Napoli e Salerno ed in minima parte nella provincia di Avellino (4 comuni a fronte dei 17 e 18 delle altre due province rispettivamente). L’inquinamento industriale – denuncia Legambiente- proviene essenzialmente dalle attività concentrate in due poli regionali, che sono, per altro, rilevanti a livello nazionale: il polo conciario di Solofra ed il polo conserviero, unitamente a quello dell’industria grafica e delle cartiere, nel territorio dell’Agro Nocerino-Sarnese. Per quanto riguarda i reflui la realizzazione di un sistema depurativo efficiente (impianti, reti di collettamento, reti fognarie) è in cima al piano di disinquinamento del fiume in corso. Sono state realizzate opere che consentono il trattamento del 60% dei reflui degli abitanti equivalenti (cittadini residenti più industrie) che insistono nel bacino. È necessario ricordare tuttavia che, ad oggi, ci sono ancora oltre un milione di abitanti equivalenti non depurati che gravano sul Sarno. Legambiente chiede con forza alla Regione Campania e agli enti preposti di avviare tutte le azioni per completare al più presto l’indispensabile rete di infrastrutture depurative e avviare controlli sempre più serrati contro chi continua a scaricare abusivamente. Occorre mettere in campo una complessiva opera di riqualificazione del bacino e del suo territorio, partendo dalle aree che si sono preservate fino ad oggi, per un rilancio non solo ambientale ma anche socio-economico di tutta l’area.

Il secondo caso denuncia di Legambiente riguarda le falde di Solofra, un comune della provincia di Avellino noto, come già detto, per essere uno dei principali poli italiani per la lavorazione delle pelli, attività da sempre presente in questo territorio. Oggi il distretto conciario di Solofra si estende su un territorio di quasi 115 km² e comprende anche i comuni di Montoro e Serino, interessando circa 38.700 abitanti. L’8 gennaio 2014, a seguito dei controlli effettuati dall’Arpa Campania, sono stati rilevati elevati tassi di tetracloroetilene in una fontana pubblica del centro di Solofra. Come conseguenza viene emessa immediatamente per il Comune di Solofra un’ordinanza sindacale di divieto di utilizzo dell’acqua a fini potabili per tutto il territorio comunale e la chiusura di tutte le fontane pubbliche, divieto rientrato dopo l’isolamento e la chiusura dei pozzi Consolazione e Sant’Eustachio, attualmente ancora chiusi e sotto sequestro giudiziario. Nei giorni precedenti lo stesso problema era stato riscontrato anche nel comune di Montoro Superiore ed era stata emessa la stessa ordinanza. La vicenda però ha avuto un inizio alquanto dibattuto in quanto la contaminazione era emersa dai controlli dell’Arpac ma non a quelli della Irno Service spa, gestore comunale solofrano, effettuati solo il giorno precedente a quelli dell’Arpa, in un luogo poco distante ma sempre a Solofra. Sebbene i controlli non siano stati realizzati sul medesimo punto di prelievo e nel medesimo momento, in ragione delle connessioni dirette tra i punti di prelievo utilizzati e della relativa persistenza dell’inquinante sia nella rete (serbatoi, condotte) che nelle fonti (pozzi), risulta difficile spiegare la differenza di esito analitico tra Gestore e ARPAC. A tutto ciò si aggiunge la chiusura di tutti i pozzi industriali che estraevano dalla stessa falda, poiché le acque risultano fortemente contaminate anche per utilizzarle nel ciclo di produzione. Legambiente preme affinché venga chiarito da quanto tempo la popolazione dei comuni di Solofra e Montoro abbiano utilizzato acqua al tetracloroetilene, ma soprattutto che si avvii il prima possibile una completa caratterizzazione dell’area con attenzione alle falde e ai suoli ricadenti nell’area interessata dalla contaminazione dell’attuale SIR (ex SIN Bacino del Fiume Sarno) per una futura opera di bonifica. Ulteriore richiesta è l’auspicata separazione delle reti idriche ad uso civile e industriale, con l’introduzione di strutture del Consorzio ASI (Area di Sviluppo industriale) di Avellino, già presenti sul territorio e mai andate in funzione, che potrebbero essere propedeutiche per la realizzazione di una barriera idraulica che possa controllare l’aumento della falda contaminata.

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