Vinitaly: mancano due settimane, 120 paesi per il wine&food

A due settimane dalla sua apertura, Vinitaly ha raccolto il sentiment dei buyer di Cina, Vietnam, Corea del Sud, Brasile, Messico, Australia, Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania, Svezia, Danimarca, Olanda, Belgio e Francia. Si tratta di un “assaggio” dei focus sui Paesi target in programma durante la Fiera di riferimento del vino a livello internazionale, in calendario dal 22 al 25 marzo prossimi a Veronafiere (www.vinitaly.com). Grandi le aspettative degli espositori, grazie al potenziamento dell’incoming realizzato da Veronafiere, che garantirà la presenza di delegazioni commerciali da 50 Paesi per incontri b2b programmati con le aziende, e all’arrivo di professionisti del wine&food da 120 Paesi.

«Il contatto con i mercati – spiega Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – è fondamentale per capire le tendenze e dare alle aziende le informazioni e i servizi di cui hanno veramente bisogno e per scegliere con cognizione di causa dove potenziare di anno in anno il nostro incoming di buyer, che per il 2015 ha visto un incremento degli investimenti del 34%. Per questo Vinitaly, con Vinitaly International, è una fiera ‘aperta’ tutto l’anno, che da Verona si sposta in Cina, Usa, Canada e in altri Paesi, per poi riportare il suo bagaglio di contatti e know-how. Un’attività inimmaginabile per le aziende, che fa di Vinitaly il momento commerciale più atteso dalle cantine».
Dall’indagine i feedback migliori arrivano dai nostri partner storici, come la Germania, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. L’India, invece, si dimostra a dir poco ostica e la Russia, che pure nel 2014 ha resistito, si trova in mezzo alla peggior svalutazione del rublo degli ultimi anni, mentre il Brasile paga dazi altissimi.
Un mondo a due velocità, quindi, ma in continua evoluzione.
Sentiment positivo. In questo viaggio virtuale nell’“atlante” del commercio enoico, il sentiment raccolto è decisamente positivo, ma per continuare a crescere bisogna imparare ad approcciare Paesi ed aree geografiche differenti.

In Cina, ad esempio, è importante sfruttare la debolezza manifestata nel 2014 dalla Francia, «lavorando sulla costruzione di brand forti», come racconta David Chow, di Altavis Fine Wines, perché questa, per i vini del Belpaese «è una nuova era di sviluppo, a patto che si parli di prezzi ragionevoli». Largo, quindi, ai vini «di qualità, come Barolo, Barbaresco, Brunello di Montalcino e Amarone della Valpolicella, sempre più popolari in Cina», come dice l’importatore Hideyuky Tsuji, di Enoteca Shanghai Co.

Ma l’Asia non è solo Cina, ed anche i piccoli scalpitano, a partire dal Vietnam, dove, come dice Nguyen Dui Tuan, di Top Wine Director, «il mercato del vino è cresciuto molto velocemente ed i protagonisti sono stati la Francia e l’Italia, ma c’è da fare i conti con una polarizzazione dei consumi, tra bottiglie sotto i due euro e vini sopra i venti». Anche in Corea del Sud «si sta sgonfiando la bolla dei vini francesi, e la gente guarda agli italiani, più accessibili», spiega Mang Shang Woon della World Liquor Co.

In Brasile «i vini rossi toscani stanno facendo bene, così come le bollicine di Lambrusco e Franciacorta – racconta Almir Luppi Dos Anjos, di Epicerie De Bebidas Ltda – ma l’aspetto più problematico è quello che riguarda la pressione fiscale, altissima in questo Paese, tanto che il prezzo medio delle bottiglie che acquistiamo si aggira sui due-tre euro».

Risalendo il Sud America, tra i Paesi più in salute c’è il Messico, dove «la cultura del vino sta crescendo velocemente, specie se si parla di vino italiano, in crescita costante, dalle etichette toscane a quelle del Nord Italia, come l’Amarone della Valpolicella, con un occhio ai vini del Sud», spiega Victor Osbaldo Treviño Rincon, della Value Wine S.A De C.V, che sottolinea anche come «il prezzo medio si attesti sui 12-22 dollari, mentre nella fascia più bassa non c’è competizione con i vini cileni ed argentini».

Tornando nell’emisfero Sud, c’è un Paese capace di essere, allo stesso tempo, competitor e partner: l’Australia, dove la passione per il vino italiano nasce, innanzitutto, dalla passione degli australiani per il Belpaese, scelto sempre più spesso come meta per le proprie vacanze, «e quando tornano in Australia vogliono continuare a bere i vini straordinariamente diversi scoperti durante il proprio viaggio», spiega Robert Damato, di Casa Italia Gourmet. «Ci vuole apertura mentale per apprezzare appieno il vino italiano, e voglia di scoprire, dai vini biologici al Chianti, passando per il Nero d’Avola, ben sapendo che il primo competitor siamo noi stessi».

Restando fuori dal Vecchio Continente, il nostro partner commerciale più solido sono senza dubbio gli Stati Uniti, dove «la grande presenza della ristorazione italiana è il primo veicolo di promozione per il vino – come spiega Ramin Dabiri, di Vitis Imports – e poi ci sono consapevolezza e dimestichezza con le tante diverse denominazioni, tanto che a fianco delle etichette più affermate stanno emergendo i vini di Sicilia, Puglia e Montepulciano d’Abruzzo per i rossi, e Alto Adige e Friuli per i bianchi. Dopo la crisi, però, si spende qualcosa in meno, e allora se la fascia 10-25 dollari va ancora forte, sopra i 40 dollari si fa più fatica».

Nord America non vuol dire solo Usa, anzi, e in Canada, ormai, «il vino italiano è diventato più importante di quello francese, grazie soprattutto grazie ai vini piemontesi, toscani e veneti – racconta Jean Louis Fortier, di Defori Selections -, ma bisogna tener presente che qui il vino è molto caro: se in Italia una bottiglia costa 4-5 euro, in Canada arriva a 25 dollari».

Chiudono questo viaggio i mercati del Vecchio Continente, dove il vino italiano è conosciuto da secoli. Come nel Regno Unito, dove, comunque, «c’è ancora tanto da far conoscere, adesso vanno forte alcune regioni emergenti della Toscana, Montecucco, Maremma e Morellino, ma – racconta Peter Ingram, di Vagabond Wines – il mercato si sta muovendo anche su vini bianchi di carattere, come il Timorasso”. E se il Prosecco “continuerà ad andare bene, vedo grosse difficoltà per i metodo classico, che non riusciranno a scalzare lo Champagne dalla sua posizione di leader».

Non sorprende più la Germania, dove «i vini italiani costituiscono una fetta importante del mercato – dice Nikola Birker, di Vino Donino – con un’offerta che arriva da ogni regione e praticamente su ogni fascia di prezzo sensibile».

Buono anche il feedback della Svezia, dove, secondo Giovanni Brandimarti, della Ward Wines Sweden, «non dobbiamo guardare alla Francia, ma alla crescita della Spagna; senza timori, ma valorizzando ciò che abbiamo di buono». La chiave di volta per la conquista della Danimarca, invece, sta nel food pairing: «il vino italiano va bene, il prezzo medio si aggira sui 5-8 euro, e i consumatori lo apprezzano molto perché si sposa benissimo con i nostri cibi», spiega Erik Sekkelund Andersen di Cavalcade Wines.

Rimonta sulla Francia anche in Olanda, dove «il prezzo è sì una variabile importante – dice Enrico Hujbrechts, di Dewijniengel Wijnkoperij -, meglio che sia al di sotto dei 10 euro, ma attenzione, perché il vero valore aggiunto è la ricchezza varietale». Più dura in Belgio, dove la concorrenza con la Francia è ancora impari, «ma il consumatore – spiega Karel Wilmots di Kwart Cgv – è molto preparato, e sa riconoscere e premiare il giusto rapporto qualità/prezzo, su tutte le fasce di prezzo, e non importa da che regione arrivi un vino».

La Francia, insomma, è l’eterna rivale, certo non l’unica da cui guardarsi, eppure, anche qui, c’è una nicchia di consumatori che hanno imparato ad apprezzare l’Italia del vino, «salita alla ribalta dopo il boom dei prezzi di Bordeaux: il consumatore francese – rivela Olivia Baldy di Millesima – ha trovato nel vino italiano esattamente ciò che cercava. Ottimi vini al giusto prezzo».
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