Luca Ward e Mario Riso, intervistati da Carlo Fumo, direttore artistico del Festival “ Italian Movie Award” a Pompei.
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Luca Ward, noto attore e doppiatore italiano, è stato premiato a Pompei con l’Italian Movie Award per la sua «prorompente, inconfondibile e irripetibile interpretazione di Ruggero Camerana nella fiction di successo “Le tre rose di Eva”». Di seguito l’intervista realizzata da Carlo Fumo, direttore artistico del Festival.
Il tuo successo lo conosciamo tutti, ma soprattutto quest’anno vieni da una fiction di successo, con il personaggio di Ruggero Camerana, per il quale abbiamo deciso di premiarti. Quale Luca Ward preferisci: attore di cinema, di fiction, di teatro, doppiatore, doppiatore di videogiochi?
Luca e basta. Noi a volte siamo in teatro, a volte siamo al cinema. In Italia siamo pieni di bravi attori, siamo pieni, da Nord a Sud, di migliaia di attori straordinari che conoscete e non conoscerete, purtroppo, perché non c’è spazio per tutti. Quindi ogni volta che sono in una sala di doppiaggio, su un palcoscenico o anche qui stasera mi ritegno una persona estremamente fortunata, perché non capita a tutti di ritrovarsi ad avere il confronto con il pubblico e a lavorare tutti i giorni, che è la cosa più difficile. Quando siamo dietro a una macchina da presa il pubblico non c’è. Poi ci dicono: “Vi hanno visti 6 milioni di persone”. Sì? E chi li ha visti? Con il doppiaggio è uguale, sei in una sala, da solo. Invece quando fai il teatro è come per i musicisti quando fanno i concerti. Il rapporto con il pubblico è la cosa più bella per un attore. Poi certamente non tutti gli spettacoli riescono al 100%. A volte facciamo cose belle, a volte meno, ma questo fa parte del nostro mestiere. Come a tutti voi, non è che tutti i giorni fate tutto perfetto. Per cui se mi chiedi quale Luca vuoi? Luca, e basta. “De” Ostia.
Una domanda sul Gladiatore, il film che parlava dell’Italia di un tempo. Oggi siamo a Pompei, proiettiamo Pompei, un film di produzione americana e tedesca. Perché vengono sempre dall’estero a fare questi colossal sull’Italia e in Italia non riusciamo a realizzare film così importanti che possono raccontare la grande storia di questa terra?
Intanto per fare film come Il Gladiatore serve un “botto de sordi”, che noi non abbiamo, non riusciamo a fare produzioni così imponenti. Le abbiamo fatte, certamente, quando c’erano i grandi produttori, Cristaldi, Ponti, De Laurentiis. Quelli si ipotecavano le case, dovevano fare per forza dei prodotti che potessero fare il giro del mondo. Noi non siamo in grado. Però siamo un polo d’attrazione per gli americani. Perché loro hanno Disney World, che per carità, è tanto figo, ci divertiamo quando andiamo lì. Ma noi abbiamo Roma, Napoli, abbiamo un patrimonio gigantesco che non siamo in grado di sfruttare, purtroppo. Ho sempre pensato una cosa, da quando ero ragazzino: che per il patrimonio che abbiamo noi in Italia nessuno di noi dovrebbe andare a lavorare. Però, se fosse gestito in maniera intelligente, noi a fine anno dovremmo andare ad un sportello comunale e ritirare dei soldi che ci servono per campare per tutto l’anno. Purtroppo questo non riusciamo a farlo e c’è da pensare. Però c’è da pensare al futuro: lasciamo tutto questo ai nostri ragazzi, non facciamolo deteriorare. Pompei casca a pezzi. Allora invece di fare lo sciopero della Rai, bisognerebbe fare lo sciopero per Pompei che cade a pezzi, perché quella è una parte importante, che non possiamo perdere, perché sarà il nostro futuro, sempre di più il nostro patrimonio diventa importante. E la cosa incredibile è che più diventa importante e più lo lasciamo cadere a pezzi. Ma se non siamo noi a dire: “Signori, che vogliamo fare con Pompei?”. Allora vorrà dire che un giorno di sciopero nazionale, i signori sindacati, lo possono anche indire per salvaguardare Pompei. Invece dobbiamo sempre andare a salvaguardare gli interessi dei singoli, facciamo gli scioperi per i tassisti, per la Rai… Facciamo lo sciopero perché il Colosseo casca a pezzi. C’erano degli imprenditori italiani che si erano offerti di restaurare il Colosseo in tempi anche molto brevi: non gliel’hanno permesso. Però non lo fanno nemmeno le Istituzioni. Quindi credo che qui bisogna fare una riflessione importante. Quando qualcuno dice: “la cultura porta denaro” dice assolutamente la verità. Il problema è, però, che poi bisogna far seguire a quel pensiero delle azioni che siano importanti.
Quanto è importante che gli artisti sensibilizzino verso il tema ambientale?
La Terra dei fuochi è un problema nazionale, non campano. Se non ragioniamo in questo senso non andiamo da nessuna parte. Noi possiamo fare molto, ma dobbiamo essere tutti insieme a fare qualcosa, altrimenti non si muove nulla. E’ importante che tutti noi diamo una mano. Io quando vedo la Terra dei Fuochi mi sento male, ma abbiamo alle porte di Roma la più grande discarica d’Europa a cielo aperto. E’ uno scandalo inaudito, abbiamo ricevuto multe per questo.
Quali sono i tuoi prossimi impegni artistici?
Riprendiamo a girare uno sceneggiato che è stato molto seguito, “Le tre rose di Eva”, e lo vedrete sicuramente a marzo. Con il Sistina di Roma portiamo in scena “The sound of Music”.
Come ti sei trovato all’Italian Movie Award e a Pompei?
Al Sud mi trovo sempre bene. Sono stato sempre attratto dal Sud, non so perché. Forse in un’altra vita ero di Napoli? Di Bari? Di Catania? Non lo so, però il Sud mi ha sempre affascinato tanto, con tutte le grandi difficoltà che ha, trovo che il Sud sia più allegro, più vivo del nord. C’è qualcosa di magico quaggiù.
Che consiglio possiamo dare ai giovani che si avvicinano al cinema e al doppiaggio?
Come in tutte le cose bisogna prepararsi. Studiare, prepararsi crederci, avere veramente la passione per quel lavoro. A volte il nostro mondo viene dipinto in maniera un po’ distorta, ma non è tutto oro quel che luccica. Questo vale un po’ per tutti i mestieri artistici in particolare. Di base deve esserci la voglia di prepararsi, di essere all’altezza. Quando andiamo a fare un’audizione, un voice test, dobbiamo essere all’altezza, sicuri di quello che stiamo portando. Solo così possiamo portare avanti il nostro lavoro e non rimproverarci nulla. L’amicizia serve fino a un certo punto. In video può servire di più. Per esempio nella musica, no. Un bravo cantante è un bravo cantante. Un bravo doppiatore è un bravo doppiatore, nel doppiaggio non ci sono compromessi, o lo sai fare o se fuori. Perciò dico ai ragazzi che si avvicinano a questo mondo, di studiare. Non basta fare i reality. Soprattutto bisogna parlare più di una lingua, bisogna prepararsi a tutti i livelli, se vogliamo essere concorrenziali con il mondo. Siamo stati i numeri uno nel mondo, oggi no. Quindi qualcosa è successo. Siamo andati verso il basso, abbiamo pensato che con poche cose o con le amicizie giuste si potesse andare avanti, ma non è così.
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Mario Riso, il batterista fondatore del progetto Rezophonic è stato premiato a Pompei con l’Italian Movie Award «per l’impegno sociale verso il tema ambientale e per la qualità del progetto discografico, in particolare per il brano “Dalla a me (io sicuramente non la spreco)”». Ecco di seguito l’intervista a Riso realizzata dal regista Carlo Fumo, direttore artistico del Festival.
Com’è nato questo progetto?
Ho fondato questo progetto perché sono stato in posti dove le persone rischiano di non riuscire ad arrivare al giorno dopo. Lì ho riflettuto su tante cose della mia vita. Ho suonato in oltre 150 dischi italiani, da Gianluca Grignani, a Jovanotti passando per la Pfm, tantissime band che mi hanno fatto felice ed hanno fatto sì che il mio sogno si realizzasse. Allora per me scoprire che ci sono tante persone che non hanno neanche la possibilità di sognare mi ha fatto riflettere, mi ha fatto costruire questo progetto. Con il primo disco abbiamo parlato dei pozzi in Africa, perché questo è uno degli aspetti che portiamo avanti, con il secondo abbiamo parlato di acqua che è un problema anche in tante zone italiane, dove è razionata. Questo terzo disco parla di spreco, che non ha giustificazioni: basta un po’ di attenzione e la nostra vita potrebbe migliorare. Non è vero che non possiamo fare a meno del superfluo. “Dalla a me, io sicuramente non la spreco” è un doppio senso, una provocazione, che nel videoclip ha coinvolto un sacco di amici del mondo della musica e della comunicazione, da Rocco Siffredi a Pippo Baudo, Nino Frassica, Xavier Zanetti, Marco Materazzi.
Oltre al successo artistico, cosa ti aspetti da “Dalla a me”?
Da quando ci siamo uniti con la nazionale del rock, che non finirò mai di ringraziare, chiedere agli altri di aiutare le persone meno fortunate donando tempo e soldi diventa una ricchezza e non tutti se lo possono permettere, quindi per me è importante iniziare a riflettere sulle piccole cose, sul fatto che con questa canzone facciamo riflettere tanto su alcune cose. Ad esempio ci lamentiamo di non avere la casa più grande, l’auto più potente e magari vogliamo cambiare tante cose. Ma quelle cose che vogliamo buttare, che per noi sono obsolete, per altri sono un “sogno”. Quindi dobbiamo imparare a valorizzare tutto ciò di cui disponiamo. Dobbiamo andare un po’ controcorrente, contro la legge del marketing, che ci rende schiavi per qualcosa che in realtà non ci serve.
Sotto il profilo musicale, cosa ha ispirato “Dalla a me”?
“Dalla a me” è stata, a livello musicale, la voglia di fare “crossover”: unire diversi mondi artistici e musicali e metterli assieme per qualcosa di speciale. Ho unito il mondo del rock, nella base suonata, ho unito l’hip hop, ci sono persone incredibili come Jack La Furia dei Club Dogo piuttosto che Caparezza, il Piotta… Ciascuno ha vissuto il tema dello “spreco” in modo personale, dal profilo di chi ha l’esigenza di comunicare qualcosa.